I filmati che sbugiardano il Cts. Tutti conoscevano i rischi legati al vaccino Astrazeneca
Proseguiamo la pubblicazione delle riprese delle riunioni del Comitato tecnico agli ordini di Speranza. Nel pieno del caso di Camilla Canepa, i professori mostrano di essere perfettamente consapevoli della certezza statistica di effetti avversi sui giovani. Ma prevale la volontà di non compromettere la campagna.
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All’interno del Comitato tecnico scientifico, l’organismo creato dal governo di Giuseppe Conte nei primi giorni della pandemia, era emerso con chiarezza che il vaccino Astrazeneca era pericoloso, soprattutto per i giovani. Lo sapevano. Ne parlavano. Se ne preoccupavano. Ma si tirò dritto. Ecco come: lo svelano i video delle riunioni, che in quel momento erano segretate e che La Verità offre ai suoi lettori in esclusiva sul sito, descrivendoli qui: qualsiasi cittadino può verificare le contraddizioni rispetto alla linea ufficiale del governo. Spunta il lato nascosto dei dialoghi. Quelle stesse immagini e registrazioni, finite tra gli atti della Procura di Genova, sono state acquisite dai carabinieri del Nas e trascritte parola per parola. E confrontando le trascrizioni con i verbali di interrogatorio resi davanti ai pubblici ministeri, poi, è risultato un quadro coerente e inequivocabile: gli stessi dubbi che emergevano nelle riunioni tornano, confermati, nelle deposizioni. Non era dunque una percezione del momento, ma una consapevolezza radicata tra gli esperti. Il tutto mentre nei palazzi della politica si sosteneva che i vaccini fossero totalmente privi di effetti avversi, che andava tutto bene, che la campagna vaccinale era l’unica via d’uscita dalla pandemia. Dentro le call del Cts, invece, c’era la paura, concreta, che ci scappasse il morto. Se lo sono detti. Si sono confrontati sui pericoli. Intanto i giornali raccontavano la lotta disperata di Camilla Canepa, studentessa diciannovenne di Sestri Levante, vaccinata con Astrazeneca a un open day il 25 maggio 2021. Pochi giorni dopo aveva accusato forti mal di testa. Era corsa al Pronto soccorso due volte, fino al ricovero al San Martino di Genova. Il paradosso è che, proprio in quella settimana, tra il 24 e il 31 maggio, la circolazione del Covid in Italia aveva toccato i minimi storici: 36 casi ogni 100.000 abitanti. Uno scenario che, per una ragazza sana come Camilla, ribaltava il bilancio rischi/benefici: alla sua età era quasi più pericoloso vaccinarsi che ammalarsi di coronavirus. Il 7 giugno 2021, tre giorni prima che Camilla venisse dichiarata clinicamente morta, il presidente del Cts Franco Locatelli, dopo un siparietto dedicato a un gatto che si aggirava davanti alla telecamera di uno degli interlocutori, apriva la riunione con un tema delicatissimo: la possibilità di somministrare un vaccino a mRna come seconda dose a chi aveva già ricevuto Astrazeneca. «Il primo punto all’ordine del giorno», dice Locatelli, «riguarda la possibilità di impiegare, per la seconda dose, una dose di vaccino mRna. Sarebbe assai opportuno che ci fosse anche una presa di posizione concertata e condivisa rispetto all’Aifa e magari anche al Consiglio superiore di sanità per non andare incontro a dissonanze». Un anno dopo (il 7 giugno 2022), interrogato dai pm, Locatelli, rispondendo alla domanda sulla effettiva conoscenza, nel maggio 2021, degli effetti collaterali provocati da Astrazeneca sui soggetti più giovani, lo ha ammesso: «Sicuramente sì, e aggiungo che venne creato un gruppo di lavoro specifico sulle trombosi associate al calo delle piastrine […]. Io partecipai alla prima riunione di insediamento di questo gruppo verso fine aprile 2021». Poi dovette spiegare le ragioni che lo spinsero a inviare, come svelato candidamente durante la riunione del Cts, un sms al ministro della Salute Roberto Speranza di questo tenore: «Gli ho scritto letteralmente che trovavo inconcepibile aver proposto a una ragazza il vaccino Astrazeneca quando la stessa aveva quell’età». «Faccio presente», rispose Locatelli ai pm, «che umanamente quanto accaduto mi aveva profondamente colpito».
La macabra contabilità era già nota. A metà maggio la lista contava 34 vittime: 22 donne e 12 uomini. E il presidente dell’Aifa Giorgio Palù, proprio quel 7 giugno, ritenne di «valutare l’opportunità di allinearsi agli altri Paesi europei che già avevano limitato Astrazeneca». Ma avvertì: se il Cts si esprimesse in maniera troppo netta, sarebbe «la pietra tombale sul vaccino Astrazeneca». Sentito in Procura il 9 giugno 2022 è stato più deciso: «Io sono sempre stato contrario all’utilizzo di vaccini a vettore adenovirale su soggetti con età inferiore a 60 anni». Ma «i vaccini a mRna», aggiunse Palù, «non erano sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale mentre le massive scorte di quelli a vettore adenovirale potevano dare un impulso importante alla campagna vaccinale». Tutto ruotava attorno alla campagna. È l’immunologo Sergio Abrignani, durante la riunione, a sollevare la questione: «C’è il motivo sicurezza […]. Oggi avete letto sui giornali di quella ragazza… sembra essere messa male con la trombosi dei seni cavernosi cerebrali, ha ricevuto Astrazeneca». Poi la frase che pesa come un macigno: «Soltanto una ragazza che muore, una soltanto, sapendo che gli si poteva dare come seconda dose Rna… io mi sentirei molto più confident a suggerire per motivi di sicurezza… pur sapendo che sarebbe la pietra tombale se noi lo scriviamo… però in qualche modo va detto… perché insomma, è vero che oggi sappiamo curare… gli diamo immunoglobuline, i corticosteroidi, però ogni tanto qualcuno morirà nonostante l’immunoglobulina endovena perché magari sta in un centro che non se ne accorge in tempo, gli danno l’eparina, come hanno fatto con questa ragazza e la fanno secca».
Poco dopo torna sull’argomento: «Noi siamo ancora… che è raccomandato al di sopra dei 60 anni e al di sotto chiunque lo può usare quando c’è l’Astra day, ce n’è ovunque, una ragazza di 18 anni va lì se lo fa e può farlo… non le dicono di no… Al di là della logistica dei vaccini, perché a me oggi ha impressionato leggere di questa ragazza operata d’urgenza perché ha fatto Astrazeneca». La proposta: «Perché non agganciamo al prime buster un forte suggerimento, allineato a quanto ha fatto la Gran Bretagna alla luce dei motivi di sicurezza, che sconsigliamo i vaccini a base di vettori in soggetti al di sotto dei 40 anni… sconsigliamo, non è che non raccomandiamo. Tutto qui». Infine ribadisce: «Vi assicuro che io oggi la sento come una cosa giusta dire agli under 30 almeno di non dare questo vaccino, almeno la prima dose […]. Ma ci terrei tanto che uscisse dal Cts, e lo dico con una parola che in genere non uso, per motivi morali. Abbiamo il dovere di dirlo, ovviamente diciamolo bene ma diciamolo».
L’anno seguente, il 25 maggio 2022, Abrignani ha confermato ai pm: «Eravamo a conoscenza dei rischi ma a fronte di un vaccino autorizzato dall’Ema non potevamo impedire che le persone intenzionate a vaccinarsi su base volontaria si vaccinassero». Poi ha aggiunto: «I pericoli erano conosciuti, in particolare si iniziavano ad accumulare dati circa il rischio di eventi avversi severi nei soggetti sotto ai 60 anni». L’epidemiologo Giovanni Rezza, sempre nella stessa riunione, sui rischi di eventi avversi, precisò: «Insomma, ancora la mano sul fuoco non ce la metterei». E avvertì: «Decidere d’emblée significa anche la fine definitiva di Astrazeneca. Ci saranno ripercussioni sui vaccini… però dare questo vaccino ai giovani probabilmente qualche problema in più può comportarlo». Ai pm, il 13 giugno 2022, invece, ha chiarito: «Nell’aprile 2021 il ministero raccomandò in via preferenziale l’uso sopra i 60 anni. La struttura commissariale chiese di valutare la fascia 50-59 anni, ma il Cts rispose negativamente. La circolare dell’11 giugno 2021 che sospese Astrazeneca sotto i 60 anni fu emessa anche a seguito della vicenda della ragazza deceduta a Genova». L’epidemiologo Donato Greco, però, sempre durante la riunione ricorda: «C’è anche il tema del cambiare ancora una volta parere, che come sapete già ci è costato caro in termini di comunicazione. E infine c’è il tema della logistica, in fondo ha motivato molti questi Astra day». Ma subito dopo aggiunge: «Certamente dobbiamo rivalutare se è il caso di insistere su riservare questo vaccino alle persone anziane e a questo punto interrompere drasticamente questi movimenti spontanei di Astra day che pure hanno questo impatto mediatico così straordinario». Anche Greco, sentito in Procura il 9 giugno 2022, non ha potuto negare: «In quel periodo si stavano studiando gli effetti anche a livello europeo e non mi spiego la coincidenza tra il decesso della giovane Canepa e le indicazioni del ministero diramate il giorno successivo con cui si indicava di procedere alla vaccinazione della popolazione con età avanzata». D’altra parte, proprio Locatelli, una bizzarra soluzione per smaltire i vaccini Astrazeneca l’aveva ipotizzata: essendoci il rischio di ritrovarsi con un certo numero di dosi «inutilizzate», si poteva valutare di metterle «a disposizione di Paesi meno fortunati dell’Italia». Cinzia Caporale, invece, è per un approccio fermo: «Io credo che dobbiamo prendere una posizione coraggiosa… quella di prendere posizione su questi Astra day…». Il 9 giugno, due giorni dopo quella riunone, il ministro Roberto Speranza entrò nella sala della Protezione civile. Camilla era in coma. «Abbiamo tra le mani un patrimonio da non sciupare», sentenziò. Il patrimonio è la campagna vaccinale. «C’è entusiasmo, dobbiamo spingere il più possibile». Poi, l’annuncio: «Io mi vaccinerò domani, ho 42 anni, e voglio vaccinarmi con Astrazeneca». Non era un under 30. E ci è andato a cuor leggero. Più preoccupato del patrimonio comunicativo che dell’allarme «sicurezza» scattato nel Cts. Camilla muore il 10 giugno. E le punture non si fermarono. Tra giugno e ottobre furono somministrate altre 1.244 prime dosi di Astrazeneca. Anche a 44 ragazzi tra i 12 e i 19 anni. Anche a 239 under 40 e a 340 under 50. In fascia 20-29 anni, fino a dicembre, furono 216 under 60 a rischiare eventi gravi. Le carte, i verbali e gli interrogatori ora consegnano una verità amara: i membri del Cts sapevano quali fossero i rischi. Locatelli lo dice e lo comunica al ministro, Rezza lo ammette, Palù lo conferma, Abrignani lo ribadisce più volte, Greco lo sottolinea. Ma il mantra era uno: non sciupare il «patrimonio» della campagna vaccinale. Astra day compresi. Nonostante i rischi. Nonostante le vittime.
A leggere le trascrizioni delle discussioni che avvenivano all’interno del Comitato tecnico scientifico che affrontò l’emergenza Covid, c’è da rimanere agghiacciati. Infatti, il dibattito fra i cosiddetti esperti nelle riunioni che si tennero tra maggio e giugno del 2021, e di cui c’è testimonianza nei verbali redatti dal nucleo per la tutela della salute dei carabinieri di Genova, verte tutto intorno agli effetti collaterali. Cioè, i «tecnici» che lavoravano al fianco di Roberto Speranza sapevano perfettamente delle reazioni collaterali provocate dal vaccino, in particolare da Astrazeneca, il farmaco appena ritirato dal commercio in tutto il mondo dalla multinazionale anglosvedese. E però dopo ampia e approfondita valutazione decidono di non fare niente, di lasciare che le iniezioni proseguano, ritenendo che i rischi fossero tutto sommato eccezionali.
Attenzione: i rischi di cui parliamo sono il decesso di alcune persone, un «danno indesiderato» che non solo era noto e calcolato, ma considerato alla fine sopportabile nonostante fosse possibile evitarlo. Lo spiega bene Sergio Abrignani, immunologo con una sfilza di titoli il quale, in una delle riunioni del Comitato tecnico scientifico agli inizi di maggio di tre anni fa disse, testualmente: «Io rimango dell’idea che vista la presenza di questi eventi rari, ma che esistono, perché rischiare anche un solo morto? Perché andare a causare anche un solo morto quando ho altre alternative». Già, perché? La risposta è agli atti: c’è il problema di consumare le dosi già acquistate, di Astrazeneca e di Johnson & Johnson, cioè dei vaccini che più hanno causato trombosi e che l’opinione pubblica, allarmata dalle notizie di reazioni avverse pubblicate dalla stampa, non vuole più. E allora Giuseppe Ippolito, altro luminare, propone di dare il farmaco della multinazionale con base a Cambridge, alle persone in età più avanzata. «Se lo diamo a ottantenni e settantenni, non commettiamo un reato», spiega, «perché se noi entriamo col diritto di scelta del vaccino, alla fine non ne veniamo fuori. La decisione va presa per fascia di età, anche per consumare queste dosi. Se diamo quelle che ci avanzano, […] facciamo solo un bene».
Il problema dunque è vaccinare tutti, ma anche smaltire le scorte. Lo illustra bene Cinzia Caporale, della commissione etica del Cnr, la sola donna presente. Dice la dottoressa: «Noi stiamo facendo i conti con le dosi di Astrazeneca che abbiamo in casa, ma poi ne arriverà una nuova fornitura». Abrignani spiega che le dosi non si esauriranno in fretta, perché presto l’Italia riceverà altre 26 milioni di dosi, più 16 milioni di Johnson & Johnson. Quindi? Si rinvia a due giorni dopo, quando l’Aifa rilascerà le ultime informazioni sulle reazioni avverse: 34 casi di trombosi venose, 29 celebrali e 5 splancniche.
Donato Greco, direttore del laboratorio epidemiologico dell’Istituto superiore di sanità, avverte: «Il rapporto di farmacovigilanza del governo francese riporta una incidenza di Astrazeneca di tromboflebiti molto più elevata di quella che abbiamo visto in Italia». E c’è sempre una forte prevalenza femminile in tutti i casi, anche in quelli inglesi e tedeschi. E allora, che si fa? Qui interviene Rezza. «A me avevano dato indicazione effettivamente preferenziale al di sopra dei 60 anni, il che non vuol dire che Astrazeneca stessa non possa essere usata al di sotto, cioè nel senso l’autorizzazione e l’approvazione rimane sempre dai 18 anni in su, quindi se vogliamo fare l’Astrazeneca day, lo si può fare. Non è che adesso mettiamo una prescrizione, cioè dai 60 anni in giù non si può fare. C’è l’indicazione preferenziale dai 60 in su, tenendo conto del fatto che il beneficio aumenta con l’aumentare dell’età; quindi, è chiaro che più andiamo su con l’età, maggiori sono i benefici, più andiamo giù sono minori i benefici e quindi automaticamente i rischi sono maggiori».
Chiaro, no? E allora Franco Locatelli, il coordinatore del Cts, dice di scrivere nel verbale che non c’è limitazione all’uso sopra i 18 anni di età «e il secondo punto che metterei è che i dati attualmente disponibili dimostrano che vi è un vantaggio nel rapporto benefici-rischi che è incrementale con l’aumento dell’età». Fin qui tutti d’accordo, chiede? No, non sono tutti d’accordo. E addirittura c’è chi propone di differenziare le prescrizioni in base al genere sessuale. Cioè vaccinare con Astrazeneca solo i maschi, ma Rezza dice no. E quindi un altro dirigente propone di vaccinare con Johnson & Johnson un’altra «popolazione speciale», come gli studenti dell’Erasmus, nonostante gli studenti siano quelli che, secondo Rezza, hanno minori benefici e si assumono i maggiori rischi. Infatti, solo su una cosa sono tutti d’accordo, e cioè che per quanto rarissimi, i rischi ci sono e sono legati all’età. «Non possiamo dire che c’è equipollenza di rischio, perché non corrisponde a verità» spiega Locatelli «al massimo possiamo dire che non possiamo escluderla, che è un concetto diverso».
Così, si va verso l’Astrazeneca day, quello in cui morirà Camilla Canepa. Nessuno, sebbene i dubbi siano molti, si prende la briga di dire che il vaccino non va fatto ai più giovani. Solo dopo si spaventano, perché è evidente la connessione. Abrignani si dice turbato, forse perché ha figli di 21 e 22 anni. Ma quando legge sul sito del Corriere di questa ragazza di 18 anni operata per trombosi (morirà dopo alcuni giorni) si ricorda che in Gran Bretagna non si dava Astrazeneca al di sotto dei 30 anni. Fabio Ciciliano dice che se le cose fossero state fatte bene, quella ragazza non sarebbe morta.
Perché i membri del Cts abbiano esitato tanto a dire che il vaccino era utile per chi aveva almeno sessant’anni e non per i ragazzi lo spiega incidentalmente il presidente del comitato, Giorgio Palù, parlando liberamente senza accorgersi che il microfono della riunione è aperto. A uno sconosciuto a cui chiede un incontro parla di pressioni che non capisce per portare più in basso l’età dei vaccinati con Astrazeneca e Johnson & Johnson. Chi fece quelle pressioni? E soprattutto perché, pur conoscendo i rischi, non si presero i necessari provvedimenti?
Astrazeneca ritira in tutto il mondo il suo prodotto e ammette gli effetti avversi. Che il nostro Cts conosceva. Ma siccome verificare la predisposizione alle trombosi avrebbe rallentato la campagna, si è tirato dritto.