Il ricorso alla magistratura intentata dai fondi americani York sul Monte dei Paschi aveva i profili della lite temeraria e così il Tribunale di Milano li ha condannati in primo grado a pagare circa 1,5 milioni di euro. La sentenza, i cui dettagli sono stati diffusi ieri dall’agenzia Ansa, ha previsto circa 1,1 milioni per pagamento delle spese processuali in favore dell’istituto senese, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, Paolo Salvadori e Nomura International. A questi si aggiungono altri 460.000 euro ai sensi dell’articolo del codice di procedura civile relativo alle liti temerarie. Secondo i giudici, i fondi avevano gli strumenti per essere informati e la loro responsabilità è «aggravata per abuso del processo». Non solo. La domanda di risarcimento presentata dai fondi York è stata giudicata «priva di qualsiasi fondamento» e «deve essere respinta nei confronti di tutti i convenuti». E questo implica «la condanna degli attori al pagamento delle spese processuali». E a questo si aggiunge l’aspetto di lite temeraria. Il fondo americano York nell’estate del 2014 era stato per qualche mese primo azionista di Mps, grazie a un investimento di 520 milioni che gli era valso una quota del 5% del capitale. L’11 marzo del 2019 York aveva notificato un atto di citazione contro Mps, Nomura (controparte nella ristrutturazione del derivato Alexandria), Profumo, Viola e Salvadori, rispettivamente presidente, ad e presidente del collegio sindacale al tempo dei fatti contestati. Al Tribunale di Milano York aveva chiesto la loro condanna in solido a risarcire 186,7 milioni di danni e - previo accertamento del reato di false comunicazioni sociali - al risarcimento del danno non patrimoniale. La richiesta ricalcava quella da 434 milioni del fondo Alken e imputava le perdite a «un presunto comportamento illecito dei vertici di Mps che avrebbero falsato la rappresentazione finanziaria nei bilanci, alterando in modo determinante» il valore delle azioni della banca non iscrivendo in bilancio come derivati sintetici le operazioni di ristrutturazione dei derivati Santorini e Alexandria ma anche non accantonando correttamente gli Npl. A fare da consulente sia a Alken sia a York sarebbe stato Giuseppe Bivona, patron del fondo inglese Bluebell. Al quotidiano Domani, qualche anno fa, Bivona non aveva negato di aver firmato con Alken e con York dei contratti con success-fee (commissioni in caso di vittoria nelle cause), ma aveva aggiunto che «non c’erano conflitti di interessi».
Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, ex vertici del Monte dei Paschi e Paolo Salvadori, allora presidente del collegio sindacale, sono stati assolti in appello a Milano, assieme alla banca, nel processo per falso in bilancio e aggiotaggio sul filone delle indagini che riguarda la contabilizzazione dei derivati Santorini e Alexandria. È stata dunque ribaltata la sentenza di primo grado che nel 2020 aveva condannato i primi due a 6 anni, il terzo a 3 anni e mezzo di reclusione e Monte Paschi a 800.000 euro di sanzione pecuniaria. La decisione dei giudici arriva dopo la conferma della Cassazione delle assoluzioni di tutti gli imputati nel procedimento «madre» sul caso dell’istituto di credito. La Corte ha assolto gli imputati con la formula «perché il fatto non sussiste». Sono stati respinti anche i risarcimenti nei confronti delle oltre 2.000 parti civili.
Al centro del processo, per cui ora sono stati tutti assolti, c’è la presunta «erronea» e «persistente» contabilizzazione nei conti della banca senese di Alexandria e Santorini (che erano stati sottoscritti con Deutsche Bank e Nomura dalla precedente gestione, quando presidente dell’istituto era Giuseppe Mussari) come operazioni di pronti contro termine sui titoli di stato, e quindi a saldi aperti, e non come derivati, e quindi a saldi chiusi. Contabilizzazione avvenuta nel 2012, 2013 e 2014 e nella prima semestrale del 2015, quando Viola e Profumo erano ai vertici, e che avrebbe avuto, secondo l’accusa, lo scopo di coprire le perdite di Rocca Salimbeni dopo l’acquisizione di Antonveneta. Le operazioni di finanza strutturata chiamate Alexandria e Santorini, Chianti Classico e Fresh erano al centro del procedimento principale - da cui sono poi nati gli altri - che si è concluso con una assoluzione definitiva. «Sono emozionato, dopo otto anni di sofferenza, ma ho sempre avuto fiducia nella giustizia e sono molto contento anche per la banca, perché si chiude questa penosa vicenda», ha commentato Profumo. «Resta la profonda amarezza di essere stato condannato in primo grado per reati che la sentenza di appello ha dichiarato essere inesistenti. Purtroppo, questa amarezza mi accompagnerà per il resto della vita nella consapevolezza che i danni soprattutto reputazionali subiti non me li restituirà nessun tribunale», ha dichiarato Viola.
Il risanamento del Monte è stato minato anche dalla pesante eredità del passato in termini di contenziosi legali che sin qui ha contribuito a spaventare possibili cavalieri bianchi sul mercato. La sentenza di ieri è dunque un bel regalo anche per l’ad del Monte, Luigi Lovaglio. Che ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con un utile netto di 929 milioni (rispetto al rosso di 334 milioni dello stesso periodo del 2022). In seguito alla sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte di Cassazione nei confronti degli ex vertici Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, il petitum complessivo era già sceso a fine settembre a 2,9 miliardi da 4,1 miliardi di fine giugno. Nella nota sui conti, la banca ha spiegato di aver dimezzato del 50% il rischio specifico legato all’esito di quel procedimento da 1,6 miliardi a 800 milioni. Peraltro, dall’11 ottobre scorso (giorno in cui è stata emessa in Cassazione la sentenza di assoluzione di Mussari e Vigni), tutte le pretese stragiudiziali, notificate alla banca successivamente al 29 aprile 2018, sono da considerarsi prescritte. L’assoluzione dell’ex tandem Profumo-Viola avrà un ulteriore impatto positivo sul conto economico: secondo gli analisti di Mediobanca, «può innescare la riclassificazione di un massimo di 2,9 miliardi di euro di petitum» legato alle informazioni finanziarie date da Siena al mercato. «Ora il prossimo catalizzatore è rappresentato dai risultati del quarto trimestre 2023, quando sarà annunciato il rilascio delle riserve», che può oscillare tra un minimo di 200 milioni e un massimo di 550 milioni, nel caso in cui oltre a un miliardo di euro di richieste giudiziarie dovessero essere riclassificati anche 1,9 miliardi di reclami extragiudiziali. Per gli esperti di Intermonte «d’ora in avanti Mps può generare organicamente 200 punti base di Cet1 all’anno che dà un’impressionante spinta alla prospettiva di fusioni o acquisizioni». Con la banca «in una forma migliore per trovare un partner, ci chiediamo perché il governo dovrebbe vendere», hanno aggiunto i broker. Intanto in Borsa il titolo Mps ha chiuso la seduta con un rialzo del 2,9% a 3,3 euro. Lo scorso 20 novembre il Tesoro ha collocato il 25% dell’istituto presso circa 150 investitori istituzionali, con un incasso di circa 920 milioni. Attualmente lo Stato possiede ancora il 39% della banca. Il verdetto di ieri e quello su Mussari e Vigni non possono però mutare la verità storica: tra dissesti e tentativi di risanamento - costato fior di miliardi a azionisti e contribuenti - il Monte dei Paschi di Siena tiene la ribalta da oltre sedici anni, a partire da quell’acquisto di Antonveneta nel 2007 che ha fatto anche emergere il lato oscuro dei grovigli armoniosi tra finanza e politica (non solo locale) e con il quale si fa coincidere l’inizio della crisi della banca più antica del mondo. Crisi che, secondo la giustizia, non ha colpevoli.
La recente assoluzione in cassazione dell'ex presidente di Mps Giuseppe Mussari e quella dell'ex direttore generale Antonio Vigni, faceva ben sperare anche i loro successori. Bisognerà però attendere il 27 novembre. La presentazione di 4 memorie da parte delle parti civili ha fatto slittare l'udienza.
Dopo che la Cassazione aveva confermato poche settimane fa le assoluzioni dell'ex presidente di Mps Giuseppe Mussari e quella dell'ex direttore generale Antonio Vigni, come deciso in appello il 6 maggio 2022, anche gli altri vertici sotto processo Alessandro Profumo e Fabrizio Viola si aspettavano un’assoluzione in appello. Del resto, la Corte d’appello aveva già deciso di rinviare la sentenza, per attendere gli esiti della Cassazione. Così, il 27 ottobre erano entrambi presenti in aula. Ma dovranno aspettare almeno fino al 27 novembre, perché durante l’udienza di oggi i giudici della seconda sezione penale hanno deciso di rinviato di un mese per l'udienza in cui dopo l'ultimo intervento di repliche, quello della difesa di Mps, entreranno in camera di consiglio per il verdetto.
Lo scorso 31 marzo il sostituto pg Massimo Gaballo aveva chiesto di confermare le condanne di primo grado per i due manager. Per il terzo co-imputato Paolo Salvadori, ex presidente del collegio sindacale dell'istituto di credito, condannato dal tribunale a tre anni e sei mesi, invece, il rappresentante dell'accusa ha richiesto la nullità della condanna per incompetenza territoriale in favore di Siena. A pesare sul rinvio della sentenza è stato il deposito di 4 memorie da parte delle parti civili che rispondevano punto per punto alle difese, anche perché l’avvocato Gaetano Longobardi ha voluto ribadire in aula come si insista «a negare che le operazioni fossero derivati e dovessero essere contabilizzate a ‘saldi chiusi» e come gli imputati «Profumo e Viola avessero agito con dolo e malafede».
Longobardi, di fondo, ha insistito sul fatto «che Profumo, Viola ed in generale la Banca sapessero che le operazioni erano derivati: è anche questo un fatto che possiamo dare per scontato ed acquisito. Come ricordato se lo scrivevano nei documenti interni ‘riservati e confidenziali’ e nelle carte altrettanto riservate per il Consiglio d’Amministrazione». E soprattutto ha ribadito che la natura del derivato era stata riconosciuta dai primi procuratori, «i Sostituti procuratori Giordano Baggio, Stefano Civardi e Mauro Clerici che ad agosto 2016 pur chiedendo l’archiviazione non esitavano a riconoscere che “gli elementi acquisiti nel corso delle indagini” dimostravano “la natura di derivato”». Concetto che era stato ribadito, da Gip Livio Cristofano che ha invece disposto il rinvio a giudizio coattivo, secondo cui possiamo «dare per scontato ed acquisito” che l’operazione sono derivati». Ad affermarlo sono state anche le autorità di controllo a cui era affidata la vigilanza prudenziale e informativa di Mps o delle sue controparti. In particolare, lo hanno detto la Banca d’Italia la Banca Centrale Europea la Bafin e ultimo la Consob.
La mina californiana è scoppiata proprio mentre il Monte dei Paschi sta cercando di scrivere il capitolo finale di una telenovela che va avanti ormai dal 2007, anno dell’acquisto di Antonveneta considerato l’inizio di tutti i guai dell’istituto di Rocca Salimbeni. L’effetto Svb sui mercati, alimentandone la sfiducia e i timori, potrebbe allontanare la ricerca di un cavaliere bianco da parte della banca senese e rendere ancor più impervia la discesa del Mef dal Monte (che intanto ieri in Borsa ha perso il 7,3%).
Non sarebbe, tra l’altro, la prima volta. A maggio 2022 gli ex manager di Mps, tra cui anche l’ex presidente Giuseppe Mussari, erano stati tutti assolti dalla Corte di appello di Milano nel processo sulle presunte irregolarità nelle operazioni di finanza strutturata effettuate da Rocca Salimbeni tra il 2008 e il 2012 per coprire le perdite dovute all’acquisto di Antonveneta. I giudici avevano sposato le tesi difensive secondo cui lo scopo del Monte era quello di diminuire i rischi in una fase di crisi globale di mercato innescata dal crac di Lehman Brothers.
E a proposito di processi, restano in piedi anche i filoni giudiziari che vedono coinvolto il successore di Mussari, Alessandro Profumo. Nonostante l’assoluzione di maggio che abbiamo ricordato sopra, il prossimo 31 marzo prenderà il via davanti alla seconda sezione della Corte d’appello di Milano il processo di secondo grado a carico degli ex vertici Profumo, Fabrizio Viola e Paolo Salvadori proprio per la vicenda dei derivati Alexandria e Santorini (in primo grado, il 15 ottobre 2020, l’attuale ad di Leonardo era stato condannato a sei anni di reclusione e 2,5 milioni di multa). Il 12 maggio ci sarà, invece, l’udienza dove lo stesso Profumo dovrà rispondere, insieme con l’ex ad Viola, di false comunicazioni, falso in prospetto e aggiotaggio sui crediti deteriorati. Nel suo caso, però, una sentenza potrebbe far primavera. Vediamo perché. A fine dicembre un giudice ordinario del Tribunale di Milano ha emesso una sentenza nella causa civile promossa nel 2020 contro Mps da una piccola risparmiatrice milanese, Alessandra Saraval, per i presunti danni subiti nell’acquisto di azioni del Monte avvenuto nel 2014 e stimati in almeno 14.517, 42 euro (più interessi). Saraval denuncia che sarebbe stata indotta a investire «dall’assoluta falsità della situazione patrimoniale e finanziaria» dell’istituto. Di qui la richiesta di risarcimento, «per la perdita dell’intera somma investita che non avrebbe mai impiegato per l’acquisto di azioni Mps» e per «la perdita di chance di investimenti alternativi che le avrebbero consentito di realizzare guadagni pari, quantomeno, al rendimento dei titoli di Stato». Ebbene, il 22 dicembre 2022 il giudice ordinario ha rigettato tutte le domande proposte da Saraval e l’ha condannata a pagare alla banca 7.617 euro di spese processuali «per compenso oltre al 15% per spese generali e oneri di legge». Il motivo? «La domanda risarcitoria svolta dall’attrice», si legge nella sentenza, «è priva di fondamento perché avuto riguardo alla scansione temporale delle operazioni di investimento e disinvestimento compiute sulle azioni» Mps «non era configurabile alcuna alterazione decettiva, in relazione ai profili di falsità denunciati, nel quadro informativo fornito dalla banca al mercato nel periodo in cui vi ha operato». Non solo. Nella sentenza viene evidenziata anche «l’ambiguità delle alluvionali difese svolte dall’attrice, aggravata dal tentativo di adattamento in extremis agli esiti e alle risultanze istruttorie dei procedimenti penali in corso sulla vicenda». Negli atti si ricorda anche l’orientamento già espresso per la richiesta dei fondi Alken che avevano agito in giudizio chiedendo 430 milioni di euro di risarcimento danni dopo l’acquisto di azioni Mps tra il 2012 e il 2016. Il Tribunale ha rigettato tutte le domande degli attori, condannandoli alla rifusione delle spese legali, con sentenza del 7 luglio 2021. E da questa, viene aggiunto, «non si ravvisano ragioni per discostarsi». In conclusione, la domanda di Seraval è stata giudicata «priva di fondamento e deve essere respinta perché nel breve lasso di tempo in cui ha investito e disinvestito nelle azioni Mps in occasione dell’aumento di capitale 2014 e successivamente nel mese di ottobre dello stesso anno, le carenze informative che l’avrebbero indotta a confidare in una situazione patrimoniale e finanziaria» del Monte «più promettente erano già state colmate e le circostanze denunciate già ben note al mercato che ne aveva da tempo assorbito il rischio nella quotazione di Borsa del titolo». La perdita da lei subita è dunque «presumibilmente riconducibile all’oscillazione del valore delle azioni propria dei titoli quotati in Borsa di cui l’investitore assume specificamente il rischio».
La scorsa settimana per Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, rispettivamente ex presidente e amministratore delegato di Mps, era arrivata la richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura di Milano nel filone sulla corretta contabilizzazione dei crediti deteriorati del Monte tra il 2012 e il 2017.
E sempre in questi giorni, quasi in contemporanea, è stata fissata al 31 marzo prossimo l’appello per il procedimento dove i due sono già stati condannati il 15 ottobre del 2020 a 6 anni di reclusione con le accuse di aggiotaggio e false comunicazioni sociali (in relazione alla prima semestrale 2015 della banca senese). La condanna prevedeva anche 2,5 milioni di multa, il risarcimento delle parti civili ammesse, l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e dalle cariche direttive nelle imprese per altri 2 anni. Gli ex vertici di Mps - insieme a loro fu condannato anche l’ex presidente del collegio sindacale Paolo Salvadori (3 anni e 6 mesi) -, dovranno quindi presentarsi a Milano in primavera.
A distanza di quasi 7 anni dall’inizio delle indagini, quindi (e a più di 2 anni dalla condanna in primo grado), la macchina della giustizia milanese si rimette in moto sul Monte dei Paschi di Siena. Il ritardo è macroscopico. Soprattutto se messo a confronto con il processo gemello a carico degli altri ex vertici dell’istituto di credito Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, già assolti in appello con formula piena nel maggio di quest’anno. I due erano stati condannati alla fine del 2019 a 7 anni di reclusione. La giustizia in questo caso è stata decisamente più veloce. Tanto che il mese scorso la Procura generale di Milano ha avuto anche il tempo di impugnare in Cassazione la sentenza con cui la Corte d’Appello aveva assolto tutti gli imputati. Al centro dell’inchiesta, in questo caso, c’erano invece le presunte irregolarità nelle operazioni di finanza strutturata, Alexandria e Santorini, Chianti Classico e Fresh, effettuate da Rocca Salimbeni tra il 2008 e il 2012 per coprire, questa era l’ipotesi degli inquirenti e della sentenza di primo grado, le perdite dovute all’acquisizione di Antonveneta.
Da tempo si aspettavano novità sui procedimenti che riguardano l’attuale amministratore delegato di Leonardo, il cui mandato è in scadenza il prossimo anno. Va sottolineato, infatti, che la data dell’appello coincide con le settimane che fanno da preambolo all’assemblea di maggio e al consiglio di amministrazione che dovrà decidere proprio sul futuro di Profumo. Appare evidente, quindi, come la decisione della Corte d’appello milanese potrebbe influire sulle decisioni del governo Meloni, che dopo la manovra economica dovrà iniziare a mettere mano al dossier sulle nomine nelle partecipate statali. Il colosso della difesa è solo una di quelle in scadenza, insieme con Eni, Poste e Enel. Quando Profumo e Viola furono condannati, al governo c’era ancora Giuseppe Conte e la pandemia non era ancora finita. I pm avevano chiesto l’assoluzione per tutti i capi d’accusa, ma il tribunale di Milano aveva ribaltato la decisione. A detta dei giudici della seconda sezione penale presieduta da Flores Tanga, infatti, da parte del management di Mps ci sarebbe stato dolo e intenzione di inganno, finalizzato a «rassicurare il mercato in vista dell’incetta di denari che si sarebbe da lì a poco perpetrata con gli aumenti di capitale». In pratica, secondo il tribunale, i nuovi vertici avrebbero fornito «un falso quadro informativo al mercato, in merito alla reale sostanza delle operazioni» Alexandria e Santorini e non avrebbero esitato a usare «artifizi altamente sofisticati per indurre in errore la platea degli investitori, destinatari di comunicazioni sociali che sistematicamente sovrastimavano le principali voci di bilancio». Profumo e Viola si sono sempre difesi, ricordando che avevano ricevuto l’incarico «per spirito di servizio» nel 2012, su invito della Banca d’Italia «in un quadro macroeconomico difficilissimo», garantendo alla fine la sopravvivenza di Montepaschi.







