(Totaleu)
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.
Il ministro dell'Interno e' intervenuto, insieme al capo della Polizia Vittorio Pisani, alla presentazione dell'edizione 2026 del calendario della Polizia di Stato alle Terme di Diocleziano a Roma.
A sinistra circola uno strano concetto di democrazia. Va tutto bene fintantoché non sono intaccati i suoi interessi. Lo dimostra la rissa cercata ieri a Montecitorio dopo la vittoria incassata dalla maggioranza nel cammino della tanto agognata riforma della Giustizia. Ma le immagini degli spintoni, delle urla e degli insulti, che hanno fatto il giro dei telegiornali, anche se all’interno di una sceneggiata chiaramente organizzata ma non andata a buon fine, arriva in un contesto particolarmente sbagliato. Dove la tensione è già alta, soprattutto per quello che sta accadendo a livello internazionale, dall’omicidio di Charlie Kirk alla situazione a Est e in Medio Oriente.
In questo quadro - dopo la circolare emanata venerdì scorso dal Viminale, che disponeva «un riesame ed eventuale rafforzamento delle misure di profili di rischio» dopo l’assassinio di Kirk - ieri sono stati alzati gli apparati di custodia al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e ai due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini. La tutela inizialmente scelta per i tre leader di partito e vertici dell’esecutivo è ora ritenuta insufficiente da parte degli apparati di sicurezza. E ieri il premier e i due vice sono apparsi in pubblico, circondati da un dispositivo di protezione visibilmente più robusto del solito. Almeno sei gli agenti della scorta intorno a Meloni. Un settimo con una valigetta nera: al suo interno un telo antiproiettile pronto all’evenienza. «Non esattamente il clima migliore», è stato il commento del ministro degli Esteri, Tajani. Anche per questo è stata emanata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi la circolare a prefetti e questori che impone di analizzare la sicurezza delle scorte di esponenti di governo e istituzioni, valutando aumenti di personale e mezzi.
Tornando alla separazione delle carriere, per il governo questo voto rappresenta un ulteriore passo in avanti nel raggiungimento di un traguardo inseguito da anni. Forza Italia (soprattutto) esulta e dal suo scranno si festeggia per la «grande vittoria» in nome di Silvio Berlusconi. Dai banchi dell’opposizione urlano e un gruppo cerca di far finire la scena a schiaffi e insulti, mentre commessi e uscieri faticano a riportare l’ordine. Risultato: seduta sospesa.
È normale che quando un governo ottiene risultati significativi per la propria compagine, magari raggiungendo traguardi determinanti per la propria identità politica, l’opposizione si metta a menare le mani in segno di protesta? La risposta è no. E basta ripercorrere gli ultimi dieci anni di storia parlamentare italiana per avere conferme, quando al governo - in un modo o nell’altro - c’è stata la sinistra; con l’unica parentesi dell’esecutivo gialloverde, guidato da M5s e Lega.
In ordine cronologico. A fine novembre 2014 la Camera (e poi con il voto di fiducia al Senato a inizio dicembre) aveva approvato il Jobs act voluto dall’allora premier Matteo Renzi. A quel tempo i partiti di governo avevano esultato e le opposizioni, in segno di protesta, avevano abbandonato l’aula. Tra loro, oltre ai parlamentari leghisti, Sinistra ecologia e libertà, Movimento 5 stelle e Forza Italia, c’erano anche 40 deputati del Pd.
L’11 maggio 2016 veniva approvata il disegno di legge proposto dalla senatrice Monica Cirinnà sulle unioni civili. Con quella norma l’Italia era diventata il ventisettesimo Paese europeo a riconoscere legalmente le coppie dello stesso sesso. La Cirinnà garantiva per gli omosessuali uniti civilmente la reversibilità della pensione ed equiparava il partner dello stesso sesso al coniuge per il diritto di eredità. Nessuno a destra si era messo a picchiare gli esponenti della sinistra per il semplice fatto che fosse passata quella legge. Le unioni civili sono una battaglia identitaria della sinistra tanto quanto la separazione delle carriere nella magistratura lo è per la destra.
Dulcis in fundo, forse qualcuno ancora ricorda l’esultanza di Luigi Di Maio & Co., che dai balconi di Palazzo Chigi festeggiavano al grido di «Abbiamo sconfitto la povertà», quando entrò in vigore il reddito di cittadinanza. Quindi: a sinistra è permesso essere fieri dei propri traguardi politici e a destra no?
La chiamano «disobbedienza». In realtà è una violazione di legge. La nave Mediterranea della Ong Mediterranea saving humans, capomissione Beppe Caccia, ieri è stata fermata dal prefetto di Trapani per due mesi e colpita da una multa di 10.000 euro. È la prima volta che questa imbarcazione finisce ai ceppi, ma non è certo la prima volta che l’organizzazione che la gestisce si infila in rotta di collisione con il governo.
Prima della Mediterranea, toccò alla storica Mare Jonio del commodoro ed ex tuta bianca Luca Casarini, cocco di Papa Francesco e della Conferenza episcopale italiana che, come prova l’inchiesta di Ragusa, dalla quale saltarono fuori le intercettazioni svelate in esclusiva dalla Verità, finanziava le attività del gruppo. L’ex rimorchiatore è stato sequestrato e multato più volte, già nel 2019 e di nuovo nel 2024. Sempre lo stesso copione: ordine delle autorità da una parte, rifiuto della Ong dall’altra.
La vicenda è semplice: il Centro di coordinamento marittimo di Roma aveva assegnato Genova come porto di sbarco. L’equipaggio, ovviamente, ha deciso che non gli stava bene. Ha tirato dritto su Trapani, ha sbarcato i dieci migranti tirati a bordo durante un’operazione nel Mediterraneo e poi, a giochi fatti, ha messo le mani avanti: «Onde alte tre metri, impossibile arrivare in Liguria». Una giustificazione che fa a pugni con la realtà: la Mediterranea non è un pedalò traballante, ma una ex nave da rifornimento offshore riconvertita, da 55 metri per undici e progettata per affrontare ben altro che un po’ di mare mosso.
Il decreto Piantedosi parla chiaro: il porto lo stabilisce l’autorità. Lo hanno ribadito Tar e Consiglio di Stato. Non spetta a chi comanda la nave decidere dove attraccare. Eppure dalla Ong si ostinano a raccontare un’altra storia, quella del gesto eroico, della ribellione al «giogo disumano» imposto da Roma. Una narrazione che serve a mascherare la realtà: un ordine disatteso, un illecito amministrativo, una sanzione conseguente. «Abbiamo detto Signor no!», scrive la Ong in una nota che suona più come un comunicato politico. Rivendica la disobbedienza come se fosse una medaglia, dimenticando che al terzo fermo scatterà il sequestro della nave appena comprata dalla tedesca Sea-Eye. Per ora l’armatore ha fatto ricorso e toccherà ai giudici decidere. «Ci viene contestata», si lagna la Ong, la «grave, premeditata e reiterata disobbedienza all’ordine del Viminale di raggiungere il porto di Genova».
Gli attivisti raccontano di migranti «soccorsi a oltre 690 miglia di distanza, la notte di giovedì 21 agosto in acque internazionali al largo della Libia e sbarcate nel porto di Trapani nella serata di sabato 23, reduci da detenzione in Libia e persino da un tentato omicidio in mare». Il solito copione: vittimismo, accuse al Viminale e la domanda retorica: «E dunque quale sarebbe il grave reato che abbiamo commesso?». La valutazione che fa la Ong è propagandistica: si tratterebbe di un «provvedimento di vendetta, abnorme e illegittimo sotto ogni punto di vista».
E le opposizioni, che sognano l’anarchia in mare, si sono subito tuffate a sostenere il taxi del mare. Angelo Bonelli, leader di Alleanza dei Verdi e Sinistra, non ha dubbi: «Il fermo e la multa inflitti oggi alla nave Mediterranea sono un atto gravissimo che conferma la logica disumana del governo Meloni, punire chi salva vite in mare». La solita solfa: leggi definite «ingiuste e crudeli», Mediterranea presentata come eroina solitaria, e il governo accusato di trasformare il Mediterraneo in un «cimitero». Bonelli arriva a dire che il governo «colpisce chi porta in salvo persone invece di lasciarle annegare», ribaltando completamente il senso delle regole e dimenticando che a più partenze corrispondono sempre più tragedie. E Nicola Fratoianni, pure lui di Avs, accusa il governo di essere «feroce contro i naufraghi che vengono salvati dalle Ong». E perfino di «vendicarsi». «Una decisione che segnala la disumanità e la crudeltà di un governo che blocca le navi che salvano le vite umane, mentre rispedisce in Libia con aereo di Stato torturatori come Almasri, nonostante sia ricercato dalla Corte penale internazionale», è l’interpretazione di Riccardo Magi (+Europa). Polemiche definite «patetiche» dal vicesegretario della Lega Silvia Sardone, che aggiunge: «Chi oggi parla di scandalo, dittatura, atto gravissimo o vendetta del governo straparla. Come sempre la sinistra si schiera con chi viola le regole, come accaduto nel caso Leoncavallo a Milano». Riccardo De Corato, capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione parlamentare antimafia e vicepresidente della Commissione Affari costituzionali, invece, ribadisce «che il rispetto delle indicazioni delle autorità marittime e dei porti assegnati è la condizione necessaria per coniugare salvataggio delle persone, sicurezza e legalità». Poi ricorda: «L’osservanza delle procedure non è un formalismo, evita il caos operativo, scoraggia traversate azzardate che mettono a rischio vite umane e indebolisce i circuiti dei trafficanti». Secondo De Corato, «la fermezza nell’applicazione delle norme, unita al pieno rispetto degli obblighi internazionali di soccorso e dei diritti fondamentali, non contrasta con l’umanità del salvataggio, ma la rafforza». E, così, mentre Mediterranea si autocelebra come paladina del soccorso in mare e si presenta come vittima, in realtà recita sempre la stessa parte. Più che una missione di soccorso sembra una tournée: cambiano i porti e le violazioni, restano uguali gli applausi della sinistra.
È il momento che le banche portino «benefici concreti a favore delle famiglie». Così si è espresso il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha partecipato in video collegamento al Meeting di Rimini.
I tempi sono maturi visto lo scenario economico italiano, che si riflette nel calo dello spread e nei i giudizi favorevoli da parte delle agenzie internazionali di rating, cosa che «ha portato risultati positivi per le imprese, le famiglie, per le istituzioni finanziarie e anche per le banche stesse che mutuano a condizioni più favorevoli» ha fatto presente. Quindi se da una parte «il lavoro del governo è stato percepito all’estero», dall’altra «tutto questo deve riflettersi in aiuti reali per i cittadini».
E anche in tema di pensioni «sarebbe importante che anche questi fondi di previdenza complementare, finanziati con i contributi dei lavoratori, guardassero e investissero magari più al sistema Italia che all’estero», ha dichiarato il titolare del Mef. Per esempio, ha fatto presente che «ci sono fondi pensionistici stranieri, come un fondo canadese, che investono in infrastrutture italiane con ottimi risultati». L’invito è quindi di considerare «quelli che sono investimenti infrastrutturali di lungo periodo che danno un rendimento sicuro, certamente non speculativo, ma garantito nel lungo periodo». Con il governo che ha costruito «fondamenta solide con serietà, responsabilità e umiltà, lavorando in silenzio», la finestra di opportunità si apre «se facciamo sistema, e non semplicemente come Stato, ma in tutte le istituzioni e anche il Terzo settore», visto che l’Italia «ha delle energie ancora inespresse che potranno ancora migliorare non solo la percezione ma la realtà della nostra situazione». Riguardo ai dazi, Giorgetti crede che siano «un elemento di imprevedibilità che nuoce soprattutto alle aspettative economiche prima ancora che in termini effettivi in merito alle esportazioni o meno negli Usa».
Presente al Meeting anche il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che prima di intervenire nel convegno dedicato all’integrazione si è esposto sul caso del presunto video di Almasri: nel filmato il generale libico sembra uccidere un uomo a mani nude. Secondo il ministro «sembra risalire a molti anni fa, forse cinque». In ogni caso ha dichiarato che sono in corso accertamenti per stabilire la veridicità e risalire al periodo in cui è stato girato il video. Piantedosi ha biasimato i «giudizi affrettati» visto che sembrano volti esclusivamente a screditare il governo. «Nessuno ha mai pensato che quel personaggio fosse un personaggio meritevole di qualche considerazione. Io ho firmato un decreto di espulsione che si fondava in quota parte anche sugli elementi di pericolosità del soggetto. Sono stato anche un po’ discusso per questo». E ha aggiunto che fa parte della giustizia «tutelare l’interesse degli italiani in Italia e all’estero», con il rimpatrio che è stato dunque deciso «per garantire la sicurezza degli italiani».
In tema di immigrazione, durante il convegno a fianco del presidente della Regione Emilia-Romagna, Michele De Pascale, Piantedosi ha ribadito i risultati raggiunti dal governo italiano. Che «accanto al tentativo di contenere gli arrivi irregolari, ha messo in campo la programmazione su due trienni dell’arrivo di 927.000 migranti da inserire nel mercato di lavoro». E ha annunciato che «nessuno l’aveva mai fatto prima nella storia repubblicana». L’attenzione del governo, ha continuato Piantedosi, si è anche focalizzata sul fatto che «i posti previsti da questi “decreti flussi” non fossero preda di organizzazioni criminali, pronti a usarli strumentalmente». Rispondendo all’idea di De Pascale di lanciare dei permessi di soggiorno di merito, il ministro ne ha sottolineato l’irrealizzabilità: sia per l’impossibilità di «creare un sistema alternativo di canale di ingresso», sia perché «avremmo mezza Africa che cercherebbe di venire qui». Ha poi ricordato che da quando è diventato ministro «abbiamo espulso per motivi di sicurezza nazionale oltre 200 cittadini stranieri, a cui abbiamo revocato la cittadinanza italiana» precedentemente concessa. Si trattava di individui con «tendenza alla radicalizzazione». Motivo per cui «il lavoro non basta per dare integrazione», altrimenti «viviamo un’illusione ipocrita».
Peraltro, ha aggiunto Piantedosi, non solo in Italia, ma anche in Europa in generale, chi sceglie di arrivare, lo fa «perché sceglie la libertà, la democrazia, una società eguale e quindi non solo per il lavoro». Ha concluso che gli italiani non devono «essere spaventati» ma non devono neanche «avere la sensazione che agli altri vengano date opportunità che non sono state date ai loro figli».

