2025-08-08
In passato i giudici non calpestavano la ragion di Stato come fanno adesso
Da Sigonella a Öcalan, passando per il Cermis, più volte i governi hanno dovuto prendere decisioni scomode per proteggere il Paese. Ma in nessun caso premier e ministri sono finiti sotto inchiesta.Ma a chi spetta il compito di tutelare l’interesse nazionale? Alla giustizia o alla politica? È ovvio, non starò neppure a discuterne: è l’autorità politica, cioè il governo, che si incarica di definire e difendere l’interesse nazionale. E la storia recente è disseminata di esempi in cui l’esecutivo del momento ha scelto di far prevalere il bene del Paese, chiudendo un occhio e a volte tutti e due su alcune faccende che avrebbero potuto essere oggetto di interesse della magistratura. E allo stesso tempo, i giudici si sono ben guardati dal mettere bocca su una decisione che era di pura competenza politica. Il caso più simile a quello che oggi viene contestato ai ministri dell’Interno e della Giustizia Matteo Piantedosi e Carlo Nordio e al sottosegretario Alfredo Mantovano è la liberazione del capo dei sequestratori dell’Achille Lauro. Stiamo parlando di una vicenda avvenuta quarant’anni fa, quando a Palazzo Chigi c’era Bettino Craxi. Un gruppo di terroristi palestinesi prese il controllo della nave da crociera e assassinò un ebreo americano, minacciando di uccidere altri passeggeri. Dopo una lunga e delicata trattativa il commando si arrese in Egitto, liberando tutti in cambiò dell’impunità. Due giorni dopo, mentre i dirottatori stavano per essere trasferiti in Libano, due caccia statunitensi costrinsero il Boeing su cui viaggiavano ad atterrare nella base aerea siciliana di Sigonella. Beh, prima Craxi fece circondare l’aereo dai carabinieri, impedendo ai Marines l’arresto dei sequestratori, poi fece ripartire il capo del commando con una scorta militare di F14. Craxi, che non era certo molto amato dai pm, come abbiamo avuto modo di riscontrare pochi anni dopo, non fu certo perseguito dalla magistratura per aver liberato un terrorista, assassino e sequestratore e di certo aveva agito in nome dell’interesse nazionale. Lo stesso si può dire di ciò che accadde dopo la strage del Cermis. Ricordate? Nel 1998 un aereo americano, mentre i piloti giocavano a fare i top gun volando a bassa quota, tranciò i cavi di una funivia vicino a Cavalese: morirono 20 persone. Tuttavia, il governo dell’epoca, che aveva Romano Prodi come presidente del Consiglio, Walter Veltroni come vice, Giorgio Napolitano ministro dell’Interno e Giovanni Maria Flick alla Giustizia, si guardò bene dal far arrestare i piloti americani, i quali furono fatti tornare a casa senza che nessuno si chiedesse perché ai bulli in uniforme fosse stato consentito di andarsene. Ancora una volta l’interesse nazionale prevalse, senza che la magistratura aprisse un procedimento per capire se fossero intercorse pressioni da parte degli Stati Uniti e se ci fossero state delle lacune nel mancato fermo di due militari che, come minimo, erano colpevoli dell’omicidio colposo di venti persone.Strana disattenzione alle norme e al diritto internazionale si registrò anche pochi mesi dopo la strage del Cermis quando, accompagnato dal deputato di Rifondazione comunista Ramon Mantovano, giunse a Roma Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, organizzazione che sia la Turchia che gli Stati Uniti consideravano di natura terroristica. Il capo del Pkk era inseguito da una serie di mandati di cattura emessi da Ankara e segnalato anche all’Interpol. Mosca, che lo aveva accolto, lo invitò a far le valigie e nessun altro Paese si dichiarò disposto a ospitarlo. Ma in Italia si era da poco insediato il governo di Massimo D’Alema. Vicepresidente del Consiglio Sergio Mattarella, con delega ai servizi segreti, ministro della Giustizia Oliviero Diliberto mentre all’Interno c’era Rosa Russo Jervolino. All’inizio, probabilmente in nome del comune credo politico, D’Alema e compagni sembrarono disposti a offrire ospitalità al fuggiasco, ma poi, di fronte alle pressioni della Turchia, invece di trattenerlo, come sarebbe stato normale in quanto accusato di gravi reati, lo lasciarono fuggire in Kenya, dove poi fu arrestato dai servizi segreti turchi. Anche in questo caso a nessuno venne in mente di chiedere conto a D’Alema, Mattarella, Diliberto e compagni bella le ragioni del loro comportamento. La Procura di Roma – che ancora non era retta da Francesco Lo Voi – non mi risulta che abbia aperto alcun fascicolo, né mi pare che siano stati chiesti lumi sul mancato arresto. Evidentemente, anche senza segreto di Stato, l’interesse nazionale che imponeva di non litigare con i turchi aveva trionfato nel completo disinteresse della magistratura.Potrei continuare con altri esempi (come il respingimento di migliaia di albanesi rinchiusi nello stadio di Bari senza che nessun giudice si sia posto la domanda se l’Albania dell’epoca fosse o meno un Paese sicuro: non lo era), ma credo che bastino quelli citati per rispondere a una domanda semplice: nella vicenda Almasri ha ragione Giorgia Meloni a parlare di iniziativa politica o hanno ragione i magistrati? Dopo quello che vi ho raccontato, decidete voi e poi interrogatevi se non sia giunta l’ora di fare una riforma della giustizia che faccia l’interesse degli italiani e non solo quello delle correnti della magistratura.
Matteo Salvini (Ansa)
«È un peccato perché noi veniamo a portare 12 miliardi di investimento sul territorio toscano che riguardano anche Pisa e Livorno, poi in un giorno particolare come il 7 ottobre, dove la politica dovrebbe solo ricordare e pregare per 1.200 innocenti uccisi da terroristi islamici. Invece, c’erano questi qua con la bandiera della Palestina, una volta uno aveva la bandiera della squadra di calcio. Ci gridavano fascisti a noi, mentre ci impedivano di parlare. Lancio di fumogeni e bomba carta contro la polizia, un poliziotto ferito, due arrestati, passanti colpiti, uno andato al pronto soccorso: non sono scene di città libere e belle come quelle toscane nel 2025. Spero che ci sia domenica una reazione dei tanti toscani che non sono così.»
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