Alla fine ha ceduto. Mike Pence si è ritirato dalla corsa elettorale per la nomination presidenziale repubblicana del 2024: il prevedibile esito di una campagna elettorale mai effettivamente decollata.
"Mi è diventato chiaro che non è il mio momento", ha detto sabato l’ex vicepresidente americano. "Ho deciso di sospendere la mia campagna presidenziale a partire da oggi”, ha proseguito, per poi aggiungere: “Al popolo americano dico: questo non è il mio momento, ma è ancora il vostro momento". “Non smetterò mai di lottare per far eleggere leader repubblicani di principio in ogni carica nel Paese”, ha continuato. "Abbiamo sempre saputo che sarebbe stata una battaglia in salita, ma non ho rimpianti", ha inoltre detto. “Non so di Mike Pence. Dovrebbe appoggiarmi. Sapete perché? Perché ho avuto una presidenza fantastica e di successo e lui era il vicepresidente”, ha dichiarato Donald Trump, commentando il ritiro del suo ex vice. “Ma le persone in politica possono essere molto sleali”, ha aggiunto l’ex inquilino della Casa Bianca.
La campagna di Pence non era mai decollata. Sceso in campo lo scorso 5 giugno, l’ex vicepresidente ha sempre registrato risultati sondaggistici alquanto deludenti. Secondo la media di Real Clear Politics, da quando ha ufficializzato la sua campagna, non ha mai superato il 7% dei consensi. La situazione era addirittura peggiorata nelle ultime settimane: al 24 ottobre, Pence veleggiava attorno a un misero 3,5%. Un quadro disastroso che aveva portato molti finanziatori ad abbandonarlo. Secondo Reuters, “le cifre della raccolta fondi di Pence del terzo trimestre al 15 ottobre hanno mostrato che la sua campagna aveva un debito di 620.000 dollari, con solo 1,2 milioni di dollari cash a portata di mano”.
D’altronde, che l’ex vicepresidente fosse a corto di chances era abbastanza noto sin dall’inizio. Il diretto interessato aveva contro gran parte della base trumpista, che lo ha ripetutamente tacciato di tradimento per non essersi opposto alla certificazione dei voti elettorali a favore di Joe Biden il 6 gennaio 2021. Un fattore, questo, che ha azzoppato fin da subito la campagna di Pence. In secondo luogo, quest’ultimo è apparso come un candidato eccessivamente tradizionale. La sua stessa scelta di concentrarsi principalmente sul voto evangelico si è rivelata fallimentare: non dimentichiamo infatti che quella frangia elettorale gli era contesa da altri candidati in campo (non solo da Trump ma anche dal governatore della Florida, Ron Desantis).
Tra l’altro, è improbabile che l’uscita di scena dell’ex vicepresidente abbia effetti significativi sulle primarie repubblicane: come detto, il suo pacchetto di voti veleggiava ormai al di sotto del 4%. Una ben magra eredità. Ora, è scarsamente verosimile che questi pochi consensi andranno a Nikki Haley (che non condivideva la proposta di Pence di un divieto federale all’aborto) o a Vivek Ramaswamy (che era ai ferri corti con l’ex vicepresidente sulla politica estera). E’ quindi abbastanza probabile che quel 3,5% possa in gran parte convogliare su DeSantis. Il punto è che il governatore della Florida è attualmente al 12,6%: i voti dell’ex vicepresidente difficilmente potranno quindi dargli lo slancio necessario per tornare seriamente in partita. Ricordiamo infatti che, al momento, Trump è al 59% dei consensi e che sopravanza i rivali di quasi 47 punti.





