
Se il conservatore Brett Kavanaugh salirà alla Corte suprema, Donald Trump sarà in grado di spostare gli equilibri del Paese. Pur di abbattere il candidato del presidente vale tutto: dall'accusa di «tentato stupro» nel 1982 al fuoco amico dei repubblicani ostili al loro leader.Con Donald Trump alla Casa Bianca gli Stati Uniti sembrano diventati il Paese delle identità nascoste. Prima il durissimo articolo contro il presidente pubblicato sotto anonimato sulle pagine degli editoriali del New York Times, poi le accuse di molestie sessuali contro Brett Kavanaugh, il candidato di Trump alla Corte suprema. Sul primo caso aleggia il mistero. Che si tratti di un membro dell'amministrazione Usa è l'unica certezza: c'è chi sospetta di qualche figura secondaria in cerca di ricchi contratti futuri giocandosi la carta dell'anti Trump, chi addirittura punta il dito contro il vicepresidente Mike Pence, che diventerebbe presidente nell'eventualità (a oggi piuttosto remota) dell'impeachment di The Donald. Del secondo caso, invece, c'è da poche ore un nome: quello di Christine Blasey Ford, 51 anni, docente di psicologia clinica all'università di Palo Alto (California). È lei la donna che ha scritto confidenzialmente una lettera a Dianne Feinstein, esponente del Partito democratico e membro della commissione giudiziaria del Senato (quella che vaglia le nomine per la Corte suprema), accusando Kavanaugh di aver tentato di molestarla sessualmente ben 35 anni fa, nel 1982, quando i due erano adolescenti. Fu un segreto fino a sei anni fa, nel 2012, quando la donna raccontò la storia durante una seduta di terapia di coppia con il marito. Nelle note del terapeuta di allora, pubblicate dal Washington Post, non compare il nome di Kavanaugh ma si parla di una violenza tentata da studenti «di una scuola di ragazzi d'élite» che sono diventati «membri di alto livello della società a Washington». La donna soltanto ora ha deciso di raccontare al Washington Post l'episodio, dopo che il contenuto della lettera inviata alla Feinstein è divenuto pubblico senza il suo consenso. Ecco la sua storia: nel 1982 il giovane Kavanaugh con un amico avrebbero chiuso la Ford in una camera da letto durante una festa e «cercato di aggredirla». La ragazza fu però in grado di lasciare la stanza prima che potesse accadere altro. Ieri l'avvocato della Ford, Debra Katz, durante il programma Today sulla Nbc ha parlato di un «tentativo di stupro» evitato - qui il legale ha riportato le parole della sua assistita - soltanto per via del pesante stato di ubriachezza di Kavanaugh. In una dichiarazione condivisa dalla Casa Bianca, Kavanaugh aveva replicato definendo il racconto del tutto falso: «Nego categoricamente e inequivocabilmente questa accusa. Non l'ho fatto né a scuola né in qualsiasi altra circostanza».Il legale ha fatto sapere che la donna è pronta a testimoniare davanti alla commissione del Senato e ha definito la Ford «credibile» («è stata sottoposta al poligrafo», cioè la macchina della verità, ha riferito), negando la natura politica dell'operazione. Ma molti nel Partito repubblicano sono convinti si tratti di una manovra per bloccare l'ascesa alla Corte di Kavanaugh, cattolico, grande oppositore dell'ex presidente democratico Bill Clinton e consigliere del repubblicano George W. Bush, laureatosi a Yale e di tradizione originalista, sostenitore cioè della lettura testuale e quindi non evoluzionista (questa è, invece, la corrente più «di sinistra») della Carta. Kavanaugh è l'uomo scelto da Trump dopo il ritiro del giudice Anthony Kennedy, nominato nel 1988 dal presidente Ronald Reagan e considerato per 30 anni l'ago della bilancia nei dibattiti tra i nove togati, quasi sempre divisi, quattro liberal e quattro conservatori.Forse più delle parole della Ford, ieri a spiazzare la Casa Bianca è stata Kellyanne Conway, consigliere del presidente finita ai margini dell'amministrazione dopo aver guidato la campagna elettorale di Trump negli ultimi mesi di sfida alla candidata democratica Hillary Clinton. La Conway, il cui marito George, influente avvocato, aveva poche ore prima attaccato Trump via Twitter, ha detto che la Ford non va ignorata ma ascoltata al Senato. Da settimane i senatori democratici stanno tentando di fermare la nomina di Kavanaugh, chiedendo un rinvio del voto di conferma. Il problema per la sinistra statunitense è l'eccezionalità del mandato di Trump, che in meno di due anni si è ritrovato a poter nominare due giudici della Corte suprema su nove. Approvata ad aprile 2017 la nomina di Neil Gorsuch in sostituzione del faro del mondo conservatore Antonin Scalia, ora i democratici provano a mettere i bastoni fra le ruote al presidente. Tanto che la Feinstein, dopo aver prontamente trasmesso la lettera della Ford all'Fbi (la stessa agenzia che sta cercando di avvicinarsi sempre più al presidente Trump con l'inchiesta sul Russiagate), ora chiede, assieme al collega Chuck Schumer, leader dei dem al Senato, un'inchiesta prima del voto.La commissione giudiziaria dovrebbe votare giovedì per passare poi la palla per il voto finale al Senato. Qui serve una maggioranza semplice e i repubblicani sono in sofferenza: il loro vantaggio è di 51 a 49 e già scricchiola, i grandi giornali del Paese ritengono la nomina a rischio, e intanto la Casa Bianca ha pronta la lista dei senatori repubblicani da tenere d'occhio. Quello dell'Arizona, Jeff Flake, è stato il primo a suggerire un rinvio dopo le accuse della Ford, seguito dalla collega dell'Alaska Lisa Murkowski. Si è detta sorpresa delle accuse e in attesa di approfondire, invece, Susan Collins del Maine. Il partito, rivela il sito Axios, è pronto alla strategia aggressiva per timore di veder sfumare la nomina. Anche perché il rinvio spaventa, e non poco, visto che mancano soltanto sette settimane alle elezioni di medio termine di martedì 6 novembre, che potrebbero cambiare gli equilibri al Senato regalando la maggioranza ai democratici.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






