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Con gli avvocati che hanno seguito il procedimento giudiziario contro l'ex ministro al Tribunale romano indaghiamo le contraddizioni del decreto d'archiviazione
Con gli avvocati che hanno seguito il procedimento giudiziario contro l'ex ministro al Tribunale romano indaghiamo le contraddizioni del decreto d'archiviazione
L’iniziativa d’istituire una commissione di studio sulle reazioni avverse al vaccino anti Covid annunciata dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, darà finalmente asilo alle numerose analisi diffuse, e inopportunamente stroncate d’ufficio, sull’extra mortalità riscontrata in molti Paesi nel 2021 e 2022 e sulla ipotizzabile correlazione tra mortalità in eccesso e vaccinazione anti Covid. Sarà inoltre l’occasione per avere accesso, finalmente, ai dati grezzi su extra-mortalità, farmacovigilanza e vaccinazione che molti governi stanno colpevolmente trattenendo. Non a caso Schillaci, nell’intervista concessa al Giornale d’Italia, ha confermato che quest’anno l’adesione alla campagna vaccinale, anche antinfluenzale, è stata molto bassa e «quindi fare chiarezza sarebbe utile». Il concetto è chiaro: i governi non danno i dati? I cittadini non si fidano più (e hanno ragione).
Si prendano ad esempio i dati sulla farmacovigilanza. I report di Aifa parlano di un migliaio di decessi segnalati. Sembra poco credibile che su circa 150 milioni di dosi somministrate i decessi avvenuti in sequenza temporale, al di là di una attribuzione di causa, siano stati solo 971. Questo indica una sotto-segnalazione («underreporting») macroscopica, di cui sono responsabili in primis gli operatori sanitari - disincentivati in ogni modo dallo scrivere rapporti, che pure erano obbligatori - ma riguardo la quale Aifa non ha preso provvedimenti adeguati. Aifa aveva il dovere, per ogni morto in corrispondenza temporale con il vaccino, di scrivere un rapporto e di attribuire la morte al vaccino oppure no, perché il vaccino anti Covid è un farmaco nuovo con un principio attivo del tutto nuovo.
Lo stesso problema è stato registrato nel Regno Unito: gli epidemiologi britannici Carl Heneghan e Tom Jefferson, nella loro rubrica su Substack Trust the evidence, hanno rilevato che le segnalazioni degli eventi avversi sono sotto-notificate al 98% (cioè, su 100 sospetti eventi avversi ne vengono notificati soltanto 2) e, di quelli segnalati, ne viene valutato soltanto il 49%.
Tornando all’Italia, tutti i dati sono diffusi solo in forma aggregata, dal 2023 mai in forma grezza, il che permette poche analisi. Anche dati semplici come la mortalità per data, sesso, età, Regione, sono forniti dall’Iss all’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) in forma grezza, ma l’Infn non è autorizzato a distribuirli se non in forma aggregata (medie mobili). Il che è assurdo: non attribuire questa decisione ad esplicita cattiva volontà è davvero difficile. In fin dei conti, alle istituzioni si chiede soltanto di fornire i dati da cui derivano le tabelle che pubblicano, pratica standard per le pubblicazioni scientifiche, completamente disattesa.
Nel Regno Unito, le dichiarazioni dell’UkHsa (Health security agency, l’Iss inglese) ai membri della commissione Hallet hanno del surreale. Heneghan e Jefferson hanno raccontato che la rappresentante del governo, rispondendo a una richiesta di accesso ai dati, ha replicato: «L’UkHsa non può rilasciare le informazioni richieste perché sono “commercialmente sensibili”», sic. I pazienti, nei documenti ufficiali, sono diventati «customers», ossia «clienti», cui è proposta la vaccinazione. Lo avevamo già detto che più che una campagna vaccinale è stata una campagna marketing?
Quanto alla farmacovigilanza italiana, Aifa promette da gennaio 2023 un «documento mensile» di sorveglianza dei vaccini che non è mai stato pubblicato.
Nonostante l’assoluta mancanza di trasparenza delle istituzioni, è ormai stato unanimemente riconosciuto da tutte le istituzioni, a cominciare da Istat e Iss, che nel 2021 e nel 2022 c’è stata extra mortalità, soprattutto nella popolazione over 50. Lo snodo cruciale riguarda l’attribuzione delle cause e l’opacità istituzionale sui dati grezzi. Ufficialmente, in una lunga replica a un report inviato ad aprile 2023 da sei esperti coordinati dall’avvocato Olga Milanese dell’associazione Umanità e ragione (Uer), Istat addebita l’eccezionale e inattesa impennata dei decessi nel 2021 e nel 2022 al «caldo» e alla «flu». Uer aveva rilevato che l’eccesso di mortalità più devastante ha interessato proprio la fascia della popolazione sottoposta all’obbligo vaccinale, gli over 50. L’effetto «mietitura» (cosiddetto «harvesting») avrebbe dovuto far registrare una diminuzione della mortalità in questa fascia di età, ma questo calo non è avvenuto. L’altro dato di rilievo è la corrispondenza tra i picchi delle campagne vaccinali e i picchi di eccesso di mortalità.
Istat ha impegnato un gruppo di lavoro di diciotto esperti per rispondere a Uer e, a fine luglio 2023, ha risposto: «Per gli anni 2021 e 2022 si è effettivamente osservato un eccesso di mortalità […] in linea con quanto atteso», che sarebbe stato causato da «gli effetti dell’epidemia Covid-19, delle ondate di calore, dell’incidenza molto elevata (soprattutto a fine 2022) delle sindromi simil influenzali».
La replica di Uer non si è fatta attendere: innanzitutto, dire che l’extra mortalità è attribuibile al Covid significa confermare il fallimento della campagna vaccinale per prevenire le forme gravi della malattia. In secondo luogo, il rilevante numero di anziani e fragili deceduto nel 2020 avrebbe dovuto comportare una riduzione compensatoria di mortalità nel 2021. Inoltre, l’inverno 2021 è stato caratterizzato dalla predominanza della variante Omicron, molto più mite delle precedenti. Anche il fattore «caldo» è smentito dai dati di dettaglio sull’eccesso di mortalità, riscontrato in tutti i mesi dell’anno. Neanche il possibile impatto delle sindromi simil-influenzali trova riscontro nei dati.
«Il nostro report», ha spiegato Milanese, «non ha l’obiettivo di stabilire necessariamente una correlazione tra extra mortalità e vaccinazione, ma di raffrontare i dati per verificare se da questo raffronto potevano emergere dati importanti, formulare ipotesi e vagliarle con il supporto dei dati sulle cause di morte e sullo status vaccinale dei deceduti. Li abbiamo chiesti, speriamo che ce li diano».
Cinque medici sono indagati per la morte di Camilla Canepa e a quattro di loro è contestato il reato di omicidio colposo. I pm della Procura di Genova, Francesca Rombolà e Stefano Puppo, hanno concluso le indagini e la convinzione è che i dottori del pronto soccorso di Lavagna non avrebbero effettuato tutti gli accertamenti diagnostici necessari per permettere alla diciottenne di Sestri Levante di sopravvivere.
La giovane era deceduta il 10 giugno 2021, due settimane dopo la prima dose di Astrazeneca somministrata durante l’open day del 25 maggio, che si era svolto in diverse città liguri. Una folle iniziativa, suggerita dall’allora Comitato tecnico scientifico (Cts) e avvallata dall’ex ministro della Salute Roberto Speranza, che attirò negli hub migliaia di giovani di tutta Italia, pronti a porgere il braccio convinti che il vaccino fosse sicuro.
Secondo l’autopsia, la morte della studentessa per emorragia cerebrale, provocata da una trombosi al seno cavernoso, era «ragionevolmente da riferirsi a un effetto avverso da vaccino anti Covid», scrissero il medico legale Luca Tajana e l’ematologo Franco Piovella. La ragazza era sana, sottolinearono.
Camilla si era sentita male il 3 giugno, era stata portata all’ospedale di Lavagna con forte cefalea e fotosensibilità. Dopo una Tac senza contrasto era stata dimessa, ma il 5 giugno era tornata allo stesso pronto soccorso in condizioni disperate. Trasferita alla neurochirurgia dell’ospedale San Martino di Genova era stata operata alla testa, purtroppo senza esito positivo: la ragazza si spegneva pochi giorni dopo.
A tutti gli indagati, la Procura contesta anche il reato di falso ideologico per non avere segnalato, nella documentazione sanitaria, che la giovane era stata sottoposta a vaccinazione anti Covid. I pubblici ministeri devono aver ritenuto che la non punibilità non può essere invocata, da medici che non avrebbero seguito il protocollo terapeutico per il trattamento della sindrome da Vitt (Vaccine induced immune thrombotic trombocitopenia), che aveva colpito la povera ragazza dopo il vaccino.
Lo scudo penale per i fatti commessi durante l’emergenza Covid-19, previsto nella legge di conversione del decreto legge n. 44 del 2021, in base alla quale reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose «commessi nell’esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, sono punibili solo nei casi di colpa grave», escludeva la colpa grave se al momento del fatto c’era limitatezza delle conoscenze scientifiche sulle patologie da Sars-Cov-2 e sulle terapie appropriate.
Ma il 26 maggio 2021, l’Agenzia italiana del farmaco informava che assieme al Pharmacovigilance risk assessment committee, (Prac), ovvero la Commissione europea di valutazione della sicurezza e del rischio dei farmaci, aveva messo a punto un primo documento «finalizzato a fornire ai medici non specialisti e al personale sanitario le informazioni attualmente disponibili, per identificare precocemente e gestire nel modo più appropriato questo raro evento avverso».
Spiegava che soggetti vaccinati con l’anti Covid-19 di Astrazeneca «possono andare incontro a una importante sintomatologia trombotica», la Vitt, e che il Prac sottolineava l’importanza del riconoscimento tempestivo dei segni e sintomi indicativi di presenza di trombi. «L’insorgenza di una complicanza trombotica a livello del sistema venoso cerebrale o addominale va sospettata quando compaiono alcune manifestazioni cliniche», soprattutto «cefalea di particolare intensità, che in genere i pazienti riferiscono come “mai provata prima”».
Camilla si era presentata al pronto soccorso con una mal di testa lancinante. Sempre il Prac poneva l’accento: «Più spesso il dolore è ingravescente, aumentando progressivamente nell’arco di un paio di giorni». Sottolineava che le trombosi «vanno sempre sospettate in presenza di deficit neurologici di lato nei soggetti giovani, soprattutto se precedute o associate a cefalea» e che «in presenza di uno o più sintomi precedentemente descritti insorti nei giorni successivi alla somministrazione del vaccino […] è opportuno sottoporre rapidamente il paziente ad accertamenti diagnostici […] l’esame di prima scelta oggi è l’angio Tac cerebrale […] così da poter studiare correttamente con il mezzo di contrasto i distretti venosi».
A maggio, dunque, esistevano già le prime linee guida per diagnosticare la Vitt. Ma l’allora ministro Speranza era troppo occupato a spingere all’inverosimile la campagna vaccinale, per accertarsi che quelle raccomandazioni fossero messe in pratica negli ospedali. Era stato il Cts ad affermare, il 12 maggio 2021 «l’insussistenza di motivi ostativi all’organizzazione di iniziative in sede locale per la somministrazione di vaccini a vettore adenovirale a tutti i soggetti d’età superiore ai 18 anni», dando il via libera alle Regioni per organizzare open day su tutto il territorio. Speranza non si oppose, anzi, a giugno ribadiva: «Noi abbiamo la certezza che il vaccino funzioni e sia efficace e sicuro».
«Il vaccino Astrazeneca tiene ingiustificatamente lontane tante persone. Gli eventi avversi gravi di trombosi sono rarissimi, aveva dichiarato pochi giorni prima sul Corriere della Sera il suo sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. Aggiungendo: «Gli open day organizzati in varie Regioni sono la strada giusta».
Dopo la morte di Camilla, Walter Ricciardi consulente di Speranza dichiarò: «Non è stato un errore fare gli open day, ma ora c’è la possibilità di indirizzare meglio i vaccini e dare ai più giovani vaccini a mRna».
Il paradosso a Catania: il giudice stabilisce un nesso diretto tra il decesso del militare Stefano Paternò e una dose di Astrazeneca. Ma assolve sia i medici che l’hanno somministrata sia i vertici della casa farmaceutica.
Non è stato nessuno. Alla fine, il caso di un soldato morto a Catania dopo essere stato vaccinato e che, secondo una sentenza del tribunale locale, è deceduto a seguito dell’iniezione anti Covid, non ha alcun responsabile. Sì, il poveretto non aveva patologie in grado di spiegare il repentino decesso e la sola correlazione possibile è quella dell’inoculazione del siero anti pandemico. Però il giudice non se l’è sentita di buttare la croce addosso ai sanitari che hanno inserito l’ago nel braccio della vittima. E nemmeno è riuscito a trovare altri colpevoli. Dunque, alla fine, sebbene sia accertato che l’uomo è morto a causa del vaccino, il magistrato non ha condannato né i sanitari che avevano vaccinato la vittima, né i vertici del ministero che hanno preordinato le iniezioni. Tutti assolti, dunque, per non aver commesso il fatto. Ma il fatto esiste, ed è quel corpo che giudici e medici hanno davanti agli occhi, ma che rifiutano di vedere. E che invece andrebbe visto, fino alle indagini sulle cause del decesso e sulle estreme conseguenze avvenute per un forcing vaccinale che sarebbe poi diventato obbligo, imposto al fine di consentire di lavorare e viaggiare. Già, forse qualcuno dimentica che l’Italia è stato il solo Paese democratico a imporre l’obbligo di offrire il braccio alla patria, pena essere privati del diritto al lavoro e della libertà di salire su un mezzo pubblico. Nel caso della vittima, l’uomo aveva già contratto il Covid, ma avere un alto numero di anticorpi naturali non era comunque considerato un lascia passare sufficiente per poter esercitare i diritti sanciti dalla Costituzione. Dunque, si sottopose all’iniezione e, come previsto per poter ricevere il vaccino, fu costretto a sottoscrivere una liberatoria in cui si assunse tutti i rischi delle conseguenze collaterali, morte compresa. Così, sgravata la coscienza e la responsabilità dei sanitari e pure quelle delle autorità che disposero l’obbligo di farsi inoculare il siero, la colpa del decesso cade in capo alla vittima, che firmando la liberatoria non si è resa conto di sottoscrivere una condanna a morte.
Sì, lo so che la situazione risulta paradossale. Pensare che il colpevole sia il deceduto è un insulto al buon senso oltre che alla logica. Ma purtroppo la legge è legge e le liberatorie che vengono fatte sottoscrivere a ignari pazienti spesso servono a questo, ossia a lavarsene le mani e sgravare le istituzioni dalle possibile conseguenze.
Nel caso di specie, era noto che le multinazionali del farmaco avevano già ottenuto per contratto una sorta di salvaguardia dalle responsabilità dei possibili effetti collaterali. Adesso apprendiamo che anche chi ha eseguito l’iniezione e pure le strutture che l’hanno disposta sono garantite da uno scudo penale.
Tutto ciò dimostra una cosa, ossia che c’è urgente bisogno di una commissione d’inchiesta parlamentare che scandagli le responsabilità di quanto è accaduto. Per due anni abbiamo assistito, con il beneplacito delle istituzioni che dovrebbero vigilare sul rispetto della Costituzione, alla violazione dei diritti delle persone e adesso, a epidemia ormai lasciata alle spalle, assistiamo alle conseguenze delle forzature di legge. Dai licenziamenti abusivi, oggi sanzionati nei tribunali, ai decessi sospetti, ora indagati negli ospedali. Molto resta da scoprire di quella stagione e anche se, approfittando della guerra in Ucraina e in Palestina c’è chi spera di avviare la commissione d’inchiesta su un binario morto, ora più che mai c’è la necessità di fare luce su ciò che è accaduto. Sappiamo che Mattarella non vuole (lo ha detto) ed è noto che i giornali sono a caccia più dell’ultima registrazione fuori onda di Andrea Giambruno che della penultima annotazione sulle morti inspiegabili. Però, prima o poi, qualcuno dovrà rispondere di quello che è successo. E di certo sarà più interessante delle ultime battute dell’ex compagno del premier.
La correlazione con il vaccino anti Covid c’è, ma per la morte di Stefano Paternò, avvenuta 12 ore dopo l’inoculo, non ci sono colpevoli. Non lo sono un medico e un infermiere dell’ospedale militare di Augusta dove avvenne la somministrazione e neppure un medico del 118 che tentò di rianimarlo, infatti le loro posizioni risultano già archiviate.
Non è colpevole l’amministratore delegato di Astrazeneca, Lorenzo Wittum: il procedimento penale a suo carico è stato archiviato dal gup di Siracusa, Carmen Scapellato, accogliendo la richiesta del pm presentata il 2 agosto del 2022. «La notizia di reato è infondata», i familiari del sottufficiale della marina militare di Augusta, deceduto a 43 anni in provincia di Catania per sindrome da distress respiratorio acuto (Ards), potranno semmai contare su un indennizzo e un risarcimento da reazione avversa al vaccino.
«Ce lo aspettavamo», commenta Dario Seminara, avvocato della famiglia. «Nella denuncia pensavamo che il lotto di Astrazeneca (codice lotto/fiala ABV2856, ndr) presentasse dei problemi, ma dalla verifica risultò che non era contaminato. La perizia disposta dal pm ha accertato che il decesso era stato provocato dal vaccino, però la Procura ha richiesto l’archiviazione perché non risulta violata nessuna norma del codice penale».
A Paternò venne somministrata la prima dose di Astrazeneca l’8 marzo 2021, morì alle 3 di notte del giorno seguente. «La morte del militare non può che essere ascrivibile alla risposta individuale al vaccino, indotta da uno stato di sensibilizzazione al Sars-CoV-2», si legge nella perizia depositata il 25 maggio del 2021.
Il sottufficiale ebbe «una risposta infiammatoria abnorme al vaccino, stimolata dal pregresso contatto con il virus (dimostrato dalla positività all’Rna su tampone e dalla presenza di IgG a titolo significativo) e sostenuta da una risposta citochinica che ha indotto un eclatante e drammatico danno polmonare, con la conseguente Ards». Paternò era stato un positivo asintomatico, ma «un complesso meccanismo di risposta immunitaria certamente esagerata» gli risultò fatale. Gli esperti, autori della perizia richiesta dalla Procura, dedicano ampio spazio all’Ade, l’Antibody dependent enhancement, ovvero la produzione di anticorpi che invece di proteggere l’individuo ne peggiorano le condizioni cliniche. Il cosiddetto effetto paradosso, che sarebbe responsabile di molto eventi avversi post vaccinazione. Il ruolo dell’Ade in Sars-CoV-2 non è chiaro», scrivono, «ma i report precedenti su altri coronavirus mettono in guardia sulle complicazioni associate all’Ade. Quindi, dovrebbe essere assicurata ogni dovuta cura prima di sviluppare vaccini e mAbs (anticorpi monoclonali, ndr) per la profilassi ed il trattamento di Covid-19».
Non si poteva accertare la presenza di anticorpi con un test sierologico prima di vaccinare Paternò? Era nella Marina, tra i primi ad aver risposto all’appello e quando gli inoculi ancora si facevano all’interno di un ospedale militare, tenuto ad applicare un rigido protocollo di vaccinazione. Lo aveva stabilito il decreto dei ministri della Difesa e Salute il 16 maggio 2018, che tra l’altro impone di «compilare l’anamnesi patologica e pre vaccinale con particolare attenzione alla ricerca di controindicazioni e precauzioni alla specifica vaccinazione».
Prassi poi disattesa, quando i militari finirono vaccinati negli hub e le reazioni avverse si moltiplicarono in modo esponenziale. Il capitano di vascello che curò l’anamnesi non pensò di sottoporlo a un test sierologico? «In quel momento l’Oms riferiva che il vaccino Astrazeneca fosse sicuro nelle persone con precedente infezione da SarS-CoV-2», scrive il pm Gaetano Bono, solerte nel precisare che «anche gli accertamenti relativi alla farmacovigilanza hanno consentito di escludere la sussistenza di problematiche da riconnettere al vaccino Astrazeneca».
Un vaccino indirizzato a target di popolazione diversi, con provvedimenti contraddittori proprio per questioni di sicurezza dopo una serie di decessi. Quelli di Paternò, dell’agente della Squadra mobile Davide Villa, del maresciallo dei carabinieri Giuseppe Maniscalco, di Francesca Tuscano, di Camilla Canepa, solo per ricordare le morti di cui più si è parlato.
Archiviata anche la posizione dell’ad dell’azienda farmaceutica. Il Rivm in Olanda, laboratorio deputato al controllo e rilascio di ogni lotto di vaccino anti-Covid-19 Astrazeneca, ha escluso contaminazioni. Eppure, un altro militare con gravi reazioni avverse dopo la somministrazione con lo stesso lotto racconta alla Verità di essere stato inserito nella Rete nazionale di farmacovigilanza che ha accolto la segnalazione. Forse non è casualità.
Il pubblico ministero riconosce che «in teoria, un’ipotesi di responsabilità penale», a carico di AstraZeneca, «potrebbe consistere nell’avere omesso di indicare nelle avvertenze […] la sussistenza di un rischio di potere sviluppare l’Ards in soggetto positivo al Covid-19 sia pure asintomatico o paucisintomatico e, dunque, avere impedito al vaccinando di potere scegliere se sottoporsi precauzionalmente a tampone […] e potersi dunque vaccinare in sicurezza […] sulla scorta di un consenso informato completo ed effettivo, o sottoporsi a test sierologico per accertare […] l’eventuale presenza di anticorpi già sviluppati quale segno di una pregressa infezione». Però «mancherebbero dati oggettivi».
Il militare era morto subito dopo la prima dose ma questo non basterebbe. «Anzi, se volessimo trarre una conclusione tenendo conto dell’insieme delle risultanze tra cui l’analisi dei dati della farmacologia, possiamo dire che i vaccini sono sicuri», si dice certo il pm Bono.

