Il governatore pugliese Michele Emiliano ha dimostrato di aver perso il classico fiuto da pm (ruolo da cui non si è mai dimesso) nella scelta degli uomini satellite che ha piazzato nel corso della legislatura sulle poltrone più ambite e strategiche. A contare gli indagati non c’è record che tenga. La Puglia a trazione rossa sta facendo incetta di misure cautelari, processi e avvisi di garanzia, mentre l’orso Yoghi della sinistra pugliese, dall’alto del suo metro e 90 d’altezza, ogni qual volta i magistrati beccano qualcuno dei suoi (scelti personalmente per ruoli di grande potere e spesa) con le mani nella marmellata, si affretta a scaricarli, marcando una certa distanza. Da una punta all’altra della Puglia, da Foggia a Lecce, non c’è una sola area indenne. Come pure tutti i settori della pubblica amministrazione in qualche modo sono stati toccati.
A partire dalla sanità. Con il mega scandalo dell’allestimento dell’ospedale Covid nelle strutture della Fiera del Levante di Bari, che ha risucchiato quello che Emiliano aveva individuato come l’uomo della macchina dell’emergenza: Mario Lerario, fratello del più noto don Tommaso, parroco dell’ospedale ecclesiastico Miulli, piazzato a capo della Protezione civile, e quindi di tutti gli appalti collegati alla struttura. Solo per la parte sanitaria e di Protezione civile, e solo per il 2020, la Regione Puglia ha speso per il Covid 369 milioni di euro, quasi tutti in affidamenti diretti giustificati dallo stato d’emergenza. Il caso più emblematico è proprio quello dell’ospedale temporaneo in Fiera, costato 25 milioni di euro per un anno di attività, e ora altri 5 milioni per essere smantellato. L’allora assessore regionale alla sanità il virologo Pier Luigi Lopalco si tirò fuori dalla pratica. Ed Emiliano affidò tutto a Lerario. Che proprio per gli appalti dell’Ospedale Fiera, della fabbrica di mascherine, e di molti altri nella gestione Covid è finito nei guai. Emiliano aveva puntato così tanto su Lerario da spingersi a farsi ritrarre con lui in imponenti gigantografie Nicolas Maduro style che ornavano gli esterni dell’unica fabbrica pubblica di mascherine italiana (realizzata a Bari in piena emergenza, costata 7 milioni, a regime avrebbe dovuto produrre 30 milioni di mascherine chirurgiche, 15 milioni di Ffp2 e 15 milioni di Ffp3, ma chiuse i battenti dopo sei mesi e solo 5 milioni di mascherine prodotte). Per ordinarne la rimozione coatta dopo gli arresti in pieno stile soviet: e le immagini con i due uomini d’azione, Emiliano e Lerario, in maniche di polo della Protezione civile sono sparite. D’altra parte Lerario è stato trovato con la mazzetta ancora in macchina per una storiaccia di appalti per i container dell’accoglienza a Borgo Mezzanone, il non luogo in cui di notte trovano rifugio gli immigrati che di giorno vengono sfruttati nei campi. E c’è un’intercettazione dell’agosto 2021, in particolare, che viene considerata una pietra miliare dagli investigatori, e che ha fatto pensare che di mazzette probabilmente ce ne fosse anche una terza: «Dottore questi sono 10, 25 l’altra volta e 10 questi [...] Non farti sgamare...». I conti arrivavano a 45.000 euro. Ed è partita l’inchiesta sull’Ospedale in Fiera. Il sospetto dell’accusa, che dovrà essere vagliata dal Tribunale, è che esistesse un vero e proprio «sistema» messo in piedi da Lerario, che, oltre alla Protezione civile, su indicazione di Emiliano, si era occupato pure dell’Economato, nonostante fosse già a processo per corruzione a Potenza per una indagine sull’Ente irrigazione. Uno scivolone, questo, che ha messo in luce una certa propensione dello Yoghi del centrosinistra in terra di Bari a importare uomini già a processo nella vicina Basilicata.
L’altro caso controverso è quello di «Pierino la peste», ovvero Piero Quinto, manager d’importazione considerato dai magistrati il ras della sanità lucana, dove le raccomandazioni, stando all’accusa, erano all’ordine del giorno. Aveva già assunto la qualifica di imputato quando è stato scelto da Emiliano per la postazione da primo commissario dell’azienda sanitaria per la prevenzione della Regione Puglia, un carrozzone che ha accentrato tutti i Dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie pugliesi. Emiliano non deve aver dato alcun peso al procedimento giudiziario che in Basilicata costò a Quinto la dirigenza dell’Asm e fece saltare la giunta guidata da Marcello Pittella (poi assolto). Alla fine Quinto ha rimediato una condanna in primo grado a 2 anni e 6 mesi, mentre la Corte dei conti, che l’ha condannato in appello, ha disposto un risarcimento all’erario da quasi 45.000 euro. E a quel punto il governatore pugliese si è visto costretto a congelare l’incarico.
Ma anche sul Policlinico Riuniti di Foggia si è abbattuta la mannaia delle toghe. Il direttore generale Vitangelo Dattoli, anche lui già in carica all’ospedale Miulli, definito da Emiliano al momento della nomina «uno dei migliori manager della sanità pugliese», dovrà affrontare uno spinoso processo con altri sette imputati per le gare bandite da Asl di Foggia e dal Policlinico tra il 2019 e il 2020 per l’affidamento del servizio quadriennale di elisoccorso e per il trasporto di organi. Un affare da 36 milioni di euro, il primo. E da 2 milioni e 600.000 euro, il secondo.
Altra provincia, altra inchiesta: nel luglio 2022 viene sbrogliato un ingarbugliatissimo intrigo che vede come protagonista l’ex direttore generale dell’Asl Rodolfo Rollo, che viene interdetto dal gip, accusato di corruzione impropria: avrebbe «favorito», attraverso l’intermediazione dell’ex senatore e assessore regionale Salvatore Ruggeri (un uomo passato alla velocità della luce dall’Udc ai Popolari per Emiliano), al quale Emiliano aveva affidato il Welfare regionale, l’accordo per l’acquisto da parte dell’azienda sanitaria delle prestazioni dialitiche extra-tetto del centro Santa Marcellina di proprietà dell’ospedale Panico di Tricase (diretto dalla potentissima suor Margherita Bramato), in cambio dell’assunzione del figlio in ospedale. Dimessosi dalla guida dell’Asl, Rollo era tornato a ricoprire il ruolo di direttore di distretto per poi essere autorizzato a esercitare l’incarico professionale di dirigente medico nella stessa Asl. Il succulento fascicolo giudiziario dal quale trasudano storie di sesso e aragoste in cambio di un posto di lavoro anche questa volta è a Lecce.
L’indagine su presunti illeciti parte dal mondo sanitario e dai centri di procreazione assistita e si allarga alla gestione di concorsi. E anche se la stampa locale si è concentrata sul gossip di provincia, l’indagine ricostruiva una compravendita di voti per le ultime elezioni regionali in Puglia con al centro proprio Ruggeri, che in passato ha dimostrato un certo attaccamento al governatore, tanto da avvisarlo della presenza del suo nome in una indagine in cui era finito per il pressing che riceveva per un incarico (mai assegnato) all’Asl di Foggia. Il procedimento finì in archivio. Ma la «soffiata» diede la possibilità a Emiliano di prendere le distanze, spiegando che la nomina non era passata. Nulla di illecito, ovviamente, ma una mossa astuta dell’ex assessore finito poi nel Cda di Acquedotto pugliese.
Ma chi pensa che la politica poltronistica di Emiliano abbia toppato solo sulla sanità si sbaglia. I Consorzi di bonifica, per esempio, in Puglia hanno uno storico buco di bilancio monstre, mai risanato, da 200 milioni di euro. Motivo che spinse Emiliano a un commissariamento. Qui dal cilindro l’uomo delle nomine che prima di fare il sindaco di Bari e poi il governatore indossava la toga ha tirato un fuori un nome: Alfredo Borzillo, uno che fece flop nonostante la sua compagna elettorale godesse delle strategie di Bruno Tabacci. È stato interdetto dai pubblici uffici per una presunta turbativa d’asta. L’accusa: un presunto appalto truccato nel quale sarebbe stata favorita un’azienda emiliana in cambio di appoggio elettorale e assunzioni pilotate. Dopo la notizia dell’indagine, la Regione sospese temporaneamente Borzillo dal suo incarico nominando il sub commissario Antonio Renna che, però, è stato in sella davvero poco, prima di essere arrestato per una presunta corruzione nei concorsi in ambito sanitario (settore dal quale proveniva). Poi è toccato al napoletano Gavino Nuzzo, ex sindaco di Camposano (Napoli) e direttore amministrativo di una università telematica. Quando fu scelto da Emiliano per ricoprire il ruolo di direttore generale dell’Adisu Puglia, l’azienda per i servizi universitari, in molti per la provenienza storsero il naso. A leggere le accuse, Nuzzo avrebbe falsificato dei titoli per permettere la partecipazione di alcuni candidati a gare e concorsi dell’agenzia che dirigeva, in accordo con il marito di Anita Maurodinoia, che Emiliano ha nominato assessore regionali ai Trasporti.
Avrebbe abusato del suo ruolo di assessore regionale all’Ambiente per pilotare due gare d’appalto aggiudicate a imprenditori amici dai quali avrebbe ricevuto in cambio sostegno elettorale, invece, Filippo Caracciolo, capogruppo del Pd in consiglio regionale, che rischia un processo per corruzione e turbativa d’asta. Dopo le dimissioni da assessore gli è stato affidato il gruppo dem in Consiglio, dove si è trovato la Corte dei conti a contestargli l’irregolarità di 8.747 euro per un rimborso forfettario all’autista del governatore Emiliano. E che i rapporti tra Caracciolo e il governatore siano strettissimi lo prova una nomina arrivata last minute qualche giorno fa. Emiliano ha portato a sorpresa l’ordine del giorno in giunta per un tassello che mancava nel Consiglio d’amministrazione di Aeroporti di Puglia. La scelta ricade su Ruggiero Dicorato, imprenditore nel settore delle calzature ed ex consigliere comunale a Barletta con il centrodestra, ma molto vicino a Caracciolo. «Quisquiglie», liquidano le questioni negli ambienti dem. Che, però, non hanno lasciato indenne neppure il campo dei rifiuti: il direttore della partecipata dei rifiuti Ager, Gianfranco Grandaliano, dovrà difendersi dall’accusa di essersi fatto pagare da un imprenditore il ricevimento per il suo cinquantesimo compleanno. In un’inchiesta della Procura di Bari il manager è accusato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio. Nonostante la tegola giudiziaria è stato riconfermato alla guida dell’Ager. La sua vicinanza al governatore risale al 2004, quando diventa consigliere del sindaco del Comune di Bari, ovvero di Emiliano, per la sicurezza e lo sviluppo della legalità. Poi, da presidente della Regione, Emiliano lo nomina presidente dell’Amiu, ente che si occupa dei servizi ambientali. E quando si libera la poltrona all’Ager, gli affida pure l’incarico da commissario ad acta.
L’opposizione rilevò delle presunte incompatibilità per il doppio mandato in enti che dovrebbero controllarsi l’un l’altro. Alla fine Grandaliano molla l’Amiu e sceglie Ager. Mentre Emiliano continua a firmare decreti d’urgenza per gestire il ciclo dei rifiuti che non chiude.
L’unico a cui è riuscito a fornire lo scudo dell’immunità, però, è il suo ex capo di gabinetto, Claudio Michele Stefanazzi (indagato insieme a Elio Sannicandro, commissario straordinario dell’Asset Puglia, per la costruzione del nuovo ospedale di Taranto, e insieme allo stesso Emiliano, a Torino, per finanziamento illecito), inserito nella listino bloccato alla Camera nonostante non fosse neppure iscritto al Pd, e mantenendo l’incarico di consulente del presidente pm.