2023-02-21
Quel debole per gli appalti degli uomini di Emiliano: i guai del «cerchio magico»
Michele Emiliano (Imagoeconomica)
Dall’ospedale anti Covid, alle mascherine, fino ai consorzi di bonifica: i fedelissimi del presidente Pd travolti dalle inchieste. E spunta una storia di sesso e aragoste.Malgrado i finanziamenti statali, a Taranto è record di cig I Giochi del Mediterraneo verso il flop. Stop ai lavori nel porto.Lo speciale contiene due articoliIl governatore pugliese Michele Emiliano ha dimostrato di aver perso il classico fiuto da pm (ruolo da cui non si è mai dimesso) nella scelta degli uomini satellite che ha piazzato nel corso della legislatura sulle poltrone più ambite e strategiche. A contare gli indagati non c’è record che tenga. La Puglia a trazione rossa sta facendo incetta di misure cautelari, processi e avvisi di garanzia, mentre l’orso Yoghi della sinistra pugliese, dall’alto del suo metro e 90 d’altezza, ogni qual volta i magistrati beccano qualcuno dei suoi (scelti personalmente per ruoli di grande potere e spesa) con le mani nella marmellata, si affretta a scaricarli, marcando una certa distanza. Da una punta all’altra della Puglia, da Foggia a Lecce, non c’è una sola area indenne. Come pure tutti i settori della pubblica amministrazione in qualche modo sono stati toccati. A partire dalla sanità. Con il mega scandalo dell’allestimento dell’ospedale Covid nelle strutture della Fiera del Levante di Bari, che ha risucchiato quello che Emiliano aveva individuato come l’uomo della macchina dell’emergenza: Mario Lerario, fratello del più noto don Tommaso, parroco dell’ospedale ecclesiastico Miulli, piazzato a capo della Protezione civile, e quindi di tutti gli appalti collegati alla struttura. Solo per la parte sanitaria e di Protezione civile, e solo per il 2020, la Regione Puglia ha speso per il Covid 369 milioni di euro, quasi tutti in affidamenti diretti giustificati dallo stato d’emergenza. Il caso più emblematico è proprio quello dell’ospedale temporaneo in Fiera, costato 25 milioni di euro per un anno di attività, e ora altri 5 milioni per essere smantellato. L’allora assessore regionale alla sanità il virologo Pier Luigi Lopalco si tirò fuori dalla pratica. Ed Emiliano affidò tutto a Lerario. Che proprio per gli appalti dell’Ospedale Fiera, della fabbrica di mascherine, e di molti altri nella gestione Covid è finito nei guai. Emiliano aveva puntato così tanto su Lerario da spingersi a farsi ritrarre con lui in imponenti gigantografie Nicolas Maduro style che ornavano gli esterni dell’unica fabbrica pubblica di mascherine italiana (realizzata a Bari in piena emergenza, costata 7 milioni, a regime avrebbe dovuto produrre 30 milioni di mascherine chirurgiche, 15 milioni di Ffp2 e 15 milioni di Ffp3, ma chiuse i battenti dopo sei mesi e solo 5 milioni di mascherine prodotte). Per ordinarne la rimozione coatta dopo gli arresti in pieno stile soviet: e le immagini con i due uomini d’azione, Emiliano e Lerario, in maniche di polo della Protezione civile sono sparite. D’altra parte Lerario è stato trovato con la mazzetta ancora in macchina per una storiaccia di appalti per i container dell’accoglienza a Borgo Mezzanone, il non luogo in cui di notte trovano rifugio gli immigrati che di giorno vengono sfruttati nei campi. E c’è un’intercettazione dell’agosto 2021, in particolare, che viene considerata una pietra miliare dagli investigatori, e che ha fatto pensare che di mazzette probabilmente ce ne fosse anche una terza: «Dottore questi sono 10, 25 l’altra volta e 10 questi [...] Non farti sgamare...». I conti arrivavano a 45.000 euro. Ed è partita l’inchiesta sull’Ospedale in Fiera. Il sospetto dell’accusa, che dovrà essere vagliata dal Tribunale, è che esistesse un vero e proprio «sistema» messo in piedi da Lerario, che, oltre alla Protezione civile, su indicazione di Emiliano, si era occupato pure dell’Economato, nonostante fosse già a processo per corruzione a Potenza per una indagine sull’Ente irrigazione. Uno scivolone, questo, che ha messo in luce una certa propensione dello Yoghi del centrosinistra in terra di Bari a importare uomini già a processo nella vicina Basilicata.L’altro caso controverso è quello di «Pierino la peste», ovvero Piero Quinto, manager d’importazione considerato dai magistrati il ras della sanità lucana, dove le raccomandazioni, stando all’accusa, erano all’ordine del giorno. Aveva già assunto la qualifica di imputato quando è stato scelto da Emiliano per la postazione da primo commissario dell’azienda sanitaria per la prevenzione della Regione Puglia, un carrozzone che ha accentrato tutti i Dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie pugliesi. Emiliano non deve aver dato alcun peso al procedimento giudiziario che in Basilicata costò a Quinto la dirigenza dell’Asm e fece saltare la giunta guidata da Marcello Pittella (poi assolto). Alla fine Quinto ha rimediato una condanna in primo grado a 2 anni e 6 mesi, mentre la Corte dei conti, che l’ha condannato in appello, ha disposto un risarcimento all’erario da quasi 45.000 euro. E a quel punto il governatore pugliese si è visto costretto a congelare l’incarico.Ma anche sul Policlinico Riuniti di Foggia si è abbattuta la mannaia delle toghe. Il direttore generale Vitangelo Dattoli, anche lui già in carica all’ospedale Miulli, definito da Emiliano al momento della nomina «uno dei migliori manager della sanità pugliese», dovrà affrontare uno spinoso processo con altri sette imputati per le gare bandite da Asl di Foggia e dal Policlinico tra il 2019 e il 2020 per l’affidamento del servizio quadriennale di elisoccorso e per il trasporto di organi. Un affare da 36 milioni di euro, il primo. E da 2 milioni e 600.000 euro, il secondo.Altra provincia, altra inchiesta: nel luglio 2022 viene sbrogliato un ingarbugliatissimo intrigo che vede come protagonista l’ex direttore generale dell’Asl Rodolfo Rollo, che viene interdetto dal gip, accusato di corruzione impropria: avrebbe «favorito», attraverso l’intermediazione dell’ex senatore e assessore regionale Salvatore Ruggeri (un uomo passato alla velocità della luce dall’Udc ai Popolari per Emiliano), al quale Emiliano aveva affidato il Welfare regionale, l’accordo per l’acquisto da parte dell’azienda sanitaria delle prestazioni dialitiche extra-tetto del centro Santa Marcellina di proprietà dell’ospedale Panico di Tricase (diretto dalla potentissima suor Margherita Bramato), in cambio dell’assunzione del figlio in ospedale. Dimessosi dalla guida dell’Asl, Rollo era tornato a ricoprire il ruolo di direttore di distretto per poi essere autorizzato a esercitare l’incarico professionale di dirigente medico nella stessa Asl. Il succulento fascicolo giudiziario dal quale trasudano storie di sesso e aragoste in cambio di un posto di lavoro anche questa volta è a Lecce.L’indagine su presunti illeciti parte dal mondo sanitario e dai centri di procreazione assistita e si allarga alla gestione di concorsi. E anche se la stampa locale si è concentrata sul gossip di provincia, l’indagine ricostruiva una compravendita di voti per le ultime elezioni regionali in Puglia con al centro proprio Ruggeri, che in passato ha dimostrato un certo attaccamento al governatore, tanto da avvisarlo della presenza del suo nome in una indagine in cui era finito per il pressing che riceveva per un incarico (mai assegnato) all’Asl di Foggia. Il procedimento finì in archivio. Ma la «soffiata» diede la possibilità a Emiliano di prendere le distanze, spiegando che la nomina non era passata. Nulla di illecito, ovviamente, ma una mossa astuta dell’ex assessore finito poi nel Cda di Acquedotto pugliese.Ma chi pensa che la politica poltronistica di Emiliano abbia toppato solo sulla sanità si sbaglia. I Consorzi di bonifica, per esempio, in Puglia hanno uno storico buco di bilancio monstre, mai risanato, da 200 milioni di euro. Motivo che spinse Emiliano a un commissariamento. Qui dal cilindro l’uomo delle nomine che prima di fare il sindaco di Bari e poi il governatore indossava la toga ha tirato un fuori un nome: Alfredo Borzillo, uno che fece flop nonostante la sua compagna elettorale godesse delle strategie di Bruno Tabacci. È stato interdetto dai pubblici uffici per una presunta turbativa d’asta. L’accusa: un presunto appalto truccato nel quale sarebbe stata favorita un’azienda emiliana in cambio di appoggio elettorale e assunzioni pilotate. Dopo la notizia dell’indagine, la Regione sospese temporaneamente Borzillo dal suo incarico nominando il sub commissario Antonio Renna che, però, è stato in sella davvero poco, prima di essere arrestato per una presunta corruzione nei concorsi in ambito sanitario (settore dal quale proveniva). Poi è toccato al napoletano Gavino Nuzzo, ex sindaco di Camposano (Napoli) e direttore amministrativo di una università telematica. Quando fu scelto da Emiliano per ricoprire il ruolo di direttore generale dell’Adisu Puglia, l’azienda per i servizi universitari, in molti per la provenienza storsero il naso. A leggere le accuse, Nuzzo avrebbe falsificato dei titoli per permettere la partecipazione di alcuni candidati a gare e concorsi dell’agenzia che dirigeva, in accordo con il marito di Anita Maurodinoia, che Emiliano ha nominato assessore regionali ai Trasporti.Avrebbe abusato del suo ruolo di assessore regionale all’Ambiente per pilotare due gare d’appalto aggiudicate a imprenditori amici dai quali avrebbe ricevuto in cambio sostegno elettorale, invece, Filippo Caracciolo, capogruppo del Pd in consiglio regionale, che rischia un processo per corruzione e turbativa d’asta. Dopo le dimissioni da assessore gli è stato affidato il gruppo dem in Consiglio, dove si è trovato la Corte dei conti a contestargli l’irregolarità di 8.747 euro per un rimborso forfettario all’autista del governatore Emiliano. E che i rapporti tra Caracciolo e il governatore siano strettissimi lo prova una nomina arrivata last minute qualche giorno fa. Emiliano ha portato a sorpresa l’ordine del giorno in giunta per un tassello che mancava nel Consiglio d’amministrazione di Aeroporti di Puglia. La scelta ricade su Ruggiero Dicorato, imprenditore nel settore delle calzature ed ex consigliere comunale a Barletta con il centrodestra, ma molto vicino a Caracciolo. «Quisquiglie», liquidano le questioni negli ambienti dem. Che, però, non hanno lasciato indenne neppure il campo dei rifiuti: il direttore della partecipata dei rifiuti Ager, Gianfranco Grandaliano, dovrà difendersi dall’accusa di essersi fatto pagare da un imprenditore il ricevimento per il suo cinquantesimo compleanno. In un’inchiesta della Procura di Bari il manager è accusato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio. Nonostante la tegola giudiziaria è stato riconfermato alla guida dell’Ager. La sua vicinanza al governatore risale al 2004, quando diventa consigliere del sindaco del Comune di Bari, ovvero di Emiliano, per la sicurezza e lo sviluppo della legalità. Poi, da presidente della Regione, Emiliano lo nomina presidente dell’Amiu, ente che si occupa dei servizi ambientali. E quando si libera la poltrona all’Ager, gli affida pure l’incarico da commissario ad acta.L’opposizione rilevò delle presunte incompatibilità per il doppio mandato in enti che dovrebbero controllarsi l’un l’altro. Alla fine Grandaliano molla l’Amiu e sceglie Ager. Mentre Emiliano continua a firmare decreti d’urgenza per gestire il ciclo dei rifiuti che non chiude.L’unico a cui è riuscito a fornire lo scudo dell’immunità, però, è il suo ex capo di gabinetto, Claudio Michele Stefanazzi (indagato insieme a Elio Sannicandro, commissario straordinario dell’Asset Puglia, per la costruzione del nuovo ospedale di Taranto, e insieme allo stesso Emiliano, a Torino, per finanziamento illecito), inserito nella listino bloccato alla Camera nonostante non fosse neppure iscritto al Pd, e mantenendo l’incarico di consulente del presidente pm.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/quel-debole-per-gli-appalti-degli-uomini-di-emiliano-i-guai-del-cerchio-magico-2659444567.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pioggia-di-miliardi-ma-opere-al-palo-i-fondi-per-il-sociale-usati-per-i-concerti" data-post-id="2659444567" data-published-at="1676965875" data-use-pagination="False"> Pioggia di miliardi, ma opere al palo. I fondi per il sociale usati per i concerti Tra sanità, fondi coesione, Pnrr e rischio idrogeologico, sono miliardi i fondi europei e statali che la Regione Puglia gestisce. Ma la vera Dubai dello Stivale è Taranto. La narrazione che da dieci anni la racconta come la «terra del sacrificio», nonostante l’Ilva, è praticamente spenta e ha fruttato a chi amministra la città e la Regione miliardi di risorse da gestire. Il primo fu Matteo Renzi nel 2015 quando istituì il Cis di Taranto, Contratto istituzionale di sviluppo per la riqualificazione del territorio. Da quanto riportato dalla Relazione sullo stato di attuazione della politica di coesione europea e nazionale 2023, pubblicata dal ministro Raffaele Fitto, tra fondi europei e nazionali, il Cis di Taranto, gestito per lo più dal Comune, ammonta a 1 miliardo 397 milioni per opere quasi tutte edilizie. Il commissario straordinario alle bonifiche di Taranto ha invece un fondo di 400 milioni di euro, di cui 187 sono andati al porto, mentre è stata sospesa senza motivo l’unica opera che andava fatta: la bonifica del mar piccolo, inquinato dall’arsenale della marina militare, mentre continuano a coltivarci abusivamente le cozze piene di Pcb. Altri 30 milioni sono andati da Invitalia alle industrie per l’area di crisi complessa. E 30 dal governo, tramite Ilva in amministrazione straordinaria, ai Comuni per i progetti sociali alle famiglie disagiate (lo scorso Natale una parte utilizzata per i concerti musicali). Altri 70 milioni solo per la strumentazione negli ospedali di Taranto. Di 160 milioni invece è l’appalto per l’ospedale San Cataldo. Doveva essere pronto in 400 giorni, e invece a metà strada si sono accorti che servivano altri 105 milioni per i collaudi. Sarà il più grande presidio del sud Italia su una superficie di 250.000 metri quadrati ma sempre a metà opera si sono accorti che mancavano le aule per l’università e quindi altri 30 milioni per una nuova palazzina. Dal 2022 Taranto è destinataria di 850 milioni del Just Transition Fund, dedicato dall’Europa alle aree soggette a transizione energetica e destinati alla rioccupazione. Taranto infatti già oggi prima di qualunque transizione è la prima città d’Italia per numero di cassintegrati. Il sindaco Rinaldo Melucci (Pd) ha fatto sapere di aver messo in sicurezza già 250 milioni di euro del Just Transition in quattro interventi definiti dall’amministrazione comunale: la «Green Belt», il «Sea Hub» per potenziare la filiera del mare, la «Biennale del Mediterraneo» e il «Campus ionico della ricerca». A quanti nuovi posti di lavoro e rioccupati corrispondano questi progetti non è dato sapere. Ma sarebbe il caso che il ministro Fitto se ne occupasse togliendo la responsabilità al Comune. Come pure sarebbe il caso che Fitto commissariasse i Giochi del Mediterraneo 2026, sempre a Taranto. Il masterplan della candidatura indicava 290 milioni, di cui 120 statali, 142 dagli enti locali e 28 privati. Ma finora ci sono solo i 150 messi dal governo. Ma gestiti dal sindaco e da Elio Sannicandro, direttore generale Asset e anche direttore del comitato dei Giochi del mediterraneo. Nonostante nella candidatura ci fosse solo il ripristino dell’attuale stadio, il nuovo progetto prevede l’abbattimento dell’esistente (rifatto un anno fa con un milione di euro) per un nuovo impianto da 85 milioni con meno posti dell’attuale ma un albergo di 80 metri d’altezza (altri 18 milioni serviranno per ripristinare l’area a forte rischio idrogeologico). Mentre ex novo andrà fatta la piscina. Altra grande idrovora di soldi pubblici è il porto di Taranto. Che da dieci anni continua ogni anno a perdere traffico (tanto da rischiare di perdere l’Authority) ma a macinare finanziamenti per i lavori: nel 2015 ebbe 500 milioni, 80 milioni per il rifacimento del IV sporgente, 45 milioni per elettrificazione, 219 milioni per la piastra logistica, 45 milioni per lo yard Belleli, 38 milioni per il molo San Cataldo e altri 178 milioni dal Pnrr. Per un porto che muove solo 14 milioni di tonnellate di merci, e con 500 portuali in cassa integrazione dal 2016. E se mantiene l’Authority, il ministero delle Infrastrutture sarebbe il caso cambiasse il presidente. Proprio la settimana scorsa ha sospeso i lavori del dragaggio (grande bubbone ambientale) dopo aver speso 50 milioni. Mentre si discute ancora del progetto decennale del districtpark. E per diversificare Giuseppe Conte decise l’investimento al porto di Taranto per gli yacht Ferretti: 137 milioni di finanziamento pubblico e 67 privati. Ovviamente la prima firma l’ad Ferretti l’ha messa, e fotografata, con Emiliano.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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