Cosa ci dice il caso Garofani di ciò che avviene sul Colle? Ne discutono Giuseppe Cruciani e Massimo de' Manzoni.
Giorgia Meloni e Emmanuel Macron(Getty Images)
Vertice a Roma: baci a favore di telecamere, restano i contrasti Dialogo sui dazi e guerre, divide il bellicismo di Parigi e Berlino.
Baci e abbracci in favore di telecamere, bilaterale e cena di lavoro, insomma tutto quello che si può mettere in scena per dimostrare che le antipatie personali raccontate dalla stampa sono «panna montata», come ha detto il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ieri a Palazzo Chigi ha ricevuto il presidente francese Emmanuel Macron.
In realtà i momenti di frizione, le frecciatine, gli sguardi al veleno e, quel che più conta, le divergenze di opinione tra i due leader ci sono stati e ci saranno, ma il summit di ieri serve a riannodare i fili di una collaborazione, quella tra Roma e Parigi, che già da giorni alla Verità esponenti di primo piano del governo definiscono «naturale». Italia e Francia sono legate indissolubilmente non solo dal punto di vista storico e culturale, ma anche (e soprattutto, considerati i tempi), economico: entrambi grandi esportatori negli Usa nei settori dell’agroalimentare, della moda, dell’automotive, entrambi Paesi con un alto debito pubblico; la Meloni e Macron, dal canto loro, sono al momento i due leader più influenti del Consiglio europeo, considerato che il neocancelliere tedesco Friedrich Merz non ha ancora dimestichezza con gli equilibrismi della politica continentale. Nel corso del bilaterale, Meloni e Macron hanno discusso di tutte le questioni più attuali. La guerra in Ucraina e quella a Gaza sono emergenze scottanti, sulle quali i due hanno approcci diversi, ma il raggiungimento della pace è un obiettivo comune e, per quel che riguarda il conflitto tra Mosca e Kiev, ora che la Francia ha tolto dal tavolo l’ipotesi dell’invio di truppe sul terreno, l’Italia ha molta più agibilità nell’accostarsi al gruppo dei «volenterosi», naturalmente mantenendo la propria posizione di collante tra Ue e Usa, anche nei momenti più difficili delle relazioni transatlantiche.
Tra i temi affrontati, le maggiori priorità di politica europea, a partire dalla competitività, dalla Difesa, dal rafforzamento delle relazioni transatlantiche e dal contrasto all’immigrazione irregolare, il tutto con l’obiettivo di costruire un’Europa più sovrana, più forte e più prospera. Un altro argomento molto concreto affrontato nel corso dell’incontro è stato quello dell’avvio del negoziato sul prossimo Quadro finanziario pluriennale, il reperimento delle ingenti risorse necessarie a finanziare le priorità strategiche europee, attraverso un mix di investimenti privati e risorse comuni.
All’indomani dei colloqui di Istanbul tra Ucraina e Russia, la Meloni e Macron hanno fatto il punto sugli ultimi sviluppi e sulle prossime iniziative e hanno ribadito il continuo e incrollabile sostegno di Francia e Italia all’Ucraina e al percorso verso una soluzione giusta e duratura. Per quel che riguarda il Medio Oriente e la Libia, sono state esaminate le iniziative comuni a sostegno della stabilità e della sicurezza della regione mediterranea. «L’Italia è un partner importante con un ruolo cruciale da svolgere nelle decisioni europee, soprattutto nel conflitto ucraino», hanno sottolineato fonti della presidenza francese, parlando di un appuntamento deve permettere di verificare «che siamo capaci di procedere assieme sull’essenziale».
Un bilaterale lungo, quello di ieri, seguito poi da una cena di lavoro che, al di là dei contenuti, delle visioni convergenti su alcuni dossier e divergenti su altri, fa notizia in sé: Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron, con quest’ultimo che raggiunge il premier italiana a Roma, non potevano lasciare che la narrazione di un conflitto quasi personale tra due leader mettesse a repentaglio i rapporti tra Italia e Francia. Non solo: la Meloni, nel triangolo dei fondatori Italia-Germania-Francia, può esercitare un ruolo di riequilibrio rispetto a un asse franco-tedesco che Berlino sta portando verso posizioni radicali, soprattutto per quel che riguarda il conflitto in Ucraina, con Merz che ha parlato apertamente della possibilità di fornire a Kiev i missili a lungo raggio Taurus senza restrizioni e limiti, vale a dire dando la possibilità che vengano utilizzati anche per colpire il suolo russo.
Il faccia a faccia di ieri, in sostanza, è stata l’occasione per i due di trovare dei punti di convergenza e di ribadire gli argomenti sui quali tra i due leader non c’è identità di vedute. Del resto, in una fase geopolitica così complessa, con il quadro internazionale in continua evoluzione, le sensibilità sui numerosi dossier aperti sono, spesso, inevitabilmente diverse. Quello che è certo è che il bilaterale segna un punto di svolta nei rapporti tra Roma e Parigi e tra la Meloni e Macron: un riavvicinamento necessario, fisiologico, tra due grandi potenze europee e tra due leader che, è vero che attraversano fasi molto diverse tra loro, con il premier italiano in grande ascesa e il presidente francese in declino, ma che sono in grado di dare le carte al tavolo europeo e non solo.
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Giorgia Meloni (Ansa)
Dopo l’incontro con Donald Trump, Giorgia Meloni tornerà a Roma dove domani vedrà il suo vice. Al via sabato il summit sul nucleare di Teheran.
Un blitz vero e proprio quello di Giorgia Meloni a Washington: l’aereo di Stato con a bordo il presidente del Consiglio è decollato ieri mattina alle 11 ed è atterrato alla Joint base Andrews camp spring alle 16 locali, le 22 circa in Italia. L’agenda della Meloni prevede il bilaterale con Donald Trump alla Casa Bianca all’ora di pranzo, con arrivo alle 12 (ora americana); successivamente dovrebbe tenersi il briefing con la stampa, e poi il presidente del Consiglio ripartirà immediatamente alla volta di Roma, dove domani riceverà a Palazzo Chigi il vicepresidente James David Vance, insieme con il vicepremier Matteo Salvini.
Un tour de force per la Meloni a Washington, e ieri in molti si chiedevano se ci sarà il tempo per un saluto con Elon Musk: propendiamo per il sì considerati i rapporti cordiali tra i due. Al centro del colloquio tra la Meloni e Trump i dazi, l’acquisto di gas naturale liquido americano, le spese per la Difesa. La missione è estremamente delicata, l’imprevedibilità di Trump è già diventata proverbiale, e sulla Meloni poggiano anche le speranze di una gran parte della Unione europea, che confida sui buoni rapporti tra il presidente Usa e il nostro capo del governo per «ammorbidire» la posizione del tycoon verso l’intero continente (i dazi sono stati sospesi per tre mesi). C’è chi gufa, leggi Emmanuel Macron, ma per il resto possiamo dire che l’Europa fa il tifo per Giorgia. Nella tarda serata dell’altro ieri, la Meloni ha sentito nuovamente al telefono la Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen: «La presidente Von der Leyen è stata in contatto con il premier Meloni», ha detto ieri a Bruxelles la portavoce della Commissione europea Arianna Podestà, «come avevamo già detto nei giorni scorsi, in preparazione della visita. Ieri sera (l’altro ieri, ndr) hanno avuto una nuova conversazione telefonica. Non riveleremo alcun dettaglio specifico ma il messaggio è in linea con quanto detto nei giorni precedenti, e cioè che hanno coordinato questa visita. Come è noto», ha aggiunto la portavoce, «abbiamo già detto più volte che qualsiasi contatto con l’amministrazione statunitense è molto gradito. La stessa presidente Von der Leyen lo ha affermato. Naturalmente, la competenza per quanto riguarda il negoziato spetta alla Commissione, ma i contatti sono estremamente positivi, e quindi la presidente e la premier si sono coordinate».
La Podestà dice una mezza verità: come abbiamo più volte sottolineato, se è vero che le tariffe imposte dalla Ue valgono per tutti i Paesi membri non è vero il contrario, e quindi Trump in teoria potrebbe decidere un trattamento privilegiato per l’Italia. L’atteggiamento dell’Europa nei confronti dell’amicizia tra Trump e la Meloni, visto con una certa diffidenza in diverse cancellerie, è cambiato ora che i Paesi membri sono terrorizzati dai dazi, come testimonia l’articolo apparso su Politico.eu, nel quale si legge che «il coinvolgimento personale di Meloni con Trump ha creato tensione in altre capitali dell’Ue. Ma mentre l’Unione si trova ad affrontare una guerra commerciale potenzialmente rovinosa, anche le sue controparti più caute stanno iniziando a credere che lei potrebbe essere l’unica leader europea che Trump sia disposto ad ascoltare». «Il viaggio di Meloni a Washington in questo momento è un segnale importante», ha affermato Johann Wadephul, esponente dei Cristiano-Democratici molto vicino al cancelliere tedesco in pectore Friedrich Merz, «il primo ministro italiano ha un buon rapporto con il presidente americano Trump, che ora può mettere al servizio dell’Europa».
Roma insomma torna ad essere il fulcro della politica internazionale: il 18 aprile a Palazzo Chigi arriva J. D. Vance, convertitosi al cattolicesimo nel 2019, che incontrerà anche il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, e prenderà parte insieme con la sua famiglia alle cerimonie di Pasqua. Considerato che la Santa sede, attraverso l’impegno di papa Francesco, è stata tra i più incessanti sostenitori della ricerca di un percorso di pace per l’Ucraina, è probabile che Vance e Parolin discutano anche di questo. Non è escluso che Vance riesca a incontrare anche lo stesso Bergoglio. Sempre a Roma, sabato, è in programma il secondo colloquio, importantissimo, della trattativa sul nucleare iraniano, dopo il primo del 12 aprile in Oman. Nella capitale (dove già ci sarà J. D. Vance) arriveranno l’inviato di Donald Trump, Steve Witkoff, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi e il ministro degli Esteri dell’Oman, Badr Albusaidi, mediatore tra Washington e Teheran. Un incontro ancora più delicata se si pensa che ieri l’Aiea ha lanciato l’allarme dicendo che l’Iran «non è lontano» dal possedere la bomba atomica. Tutte le strade portano a Roma, dunque, e la stabilità del governo italiano è certamente un valore aggiunto a livello internazionale.
La finanza è sempre un indicatore prezioso, e non è certo un caso se ieri il Tesoro ha collocato complessivamente in due tranche Btp per 11 miliardi (uno a 7 anni e uno a 30 anni) a fronte di una domanda che ha superato i 103 miliardi di euro, dimostrazione di quanto siano appetitosi i titoli italiani sul mercato globale.
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Giorgia Meloni (Ansa)
Il premier resta fortemente contrario all’invio di truppe a Kiev. Ma la videocall di questa sera si annuncia come già operativa.
La certezza granitica è che la maggioranza resta contraria all’invio di truppe in Ucraina. È stato ribadito con forza da più membri dell’esecutivo in rappresentanza di tutti e tre i partiti del centrodestra. Dai vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani al ministro della Difesa, Guido Crosetto.
Per questo un grande dubbio ha tormentato il premier, Giorgia Meloni, che ieri a Torino ha incontrato gli atleti degli Special Olympics, le gare sportive internazionali per atleti con disabilità intellettive: partecipare o meno al vertice dei volenterosi convocato per oggi in videocall dal leader britannico, Keir Starmer. Presenza che, mentre andiamo in stampa, resta ancora incerta.
La questione è legata all’agenda del summit. Se si parlerà di sicurezza e difesa europea in senso ampio il premier parteciperà, se invece l’obiettivo è discutere solo dell’eventuale invio di truppe europee in Ucraina, è improbabile che decida di collegarsi. Nessuna notizia ufficiale ma secondo il Kyiv Independent, il piano dei «volenterosi» dovrebbe prevedere di fornire assistenza finanziaria, truppe, aerei o navi per aiutare a difendere l’Ucraina da una nuova aggressione russa. La riunione coinvolgerà circa 37 Paesi europei, asiatici e membri del Commonwealth.
In occasione della riunione di Parigi di martedì scorso con i generali di una trentina di Paesi, organizzata dalla Francia, il capo di Stato maggiore della Difesa, Luciano Portolano, ha partecipato solo come «osservatore». Quella riunione è stata definita «meno operativa del previsto», ma ad ogni modo, alla riunione di oggi di Londra, non sono previsti «osservatori».
La proposta che uscirà dal summit di Londra verrà poi presentata a Donald Trump, nella speranza che si possa convincere a garantire il sostegno statunitense sotto forma di potenza aerea, intelligence e sorveglianza dei confini, senza tuttavia dover includere truppe statunitensi nella forza di pace. Sulla tregua messa sul tavolo da Washington il dubbio di molti Paesi europei è che il Cremlino possa approfittarne per riarmarsi e continuare ad attaccare. In questo scenario resta incrollabile il sostegno di Meloni nei confronti di Kiev, ma oggi è altrettanto cruciale evitare di mettersi contro lo storico alleato statunitense. Lo ha ribadito Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei, coesione e Pnrr, in un’intervista al Corriere della Sera. «Noi abbiamo sostenuto l’Ucraina dal primo momento, anche quando eravamo opposizione. Adesso lo facciamo cercando di evitare di ampliare il solco tra Usa ed Europa con documenti che sembrano fatti per rompere anziché per ricomporre». Spiega così l’astensione sulla risoluzione sull’Ucraina di Fdi sulla mozione del Parlamento europeo che attacca gli Usa e impegna a difendere Kiev. «Occorrono sforzi diplomatici», spiega Foti, «per tenere assieme i Paesi che hanno aiutato l’Ucraina a respingere l’aggressione russa. Se ci spacchiamo non si fa un favore a Zelensky, ma solo a Putin. Trump vuole portare al tavolo le parti in conflitto e il suo metodo è usare bastone e carota. Lo fa a modo suo, ma questa è la sua strategia». La strategia della maggioranza invece è ancora poco chiara. Su un piano sembrano essere d’accordo: quello di come finanziare la difesa Europea. «Sul piano Von der Leyen», aggiunge Foti, «dobbiamo distinguere: noi abbiamo sempre detto che le spese per la difesa vanno estrapolate dal Patto di stabilità e benvenuta Europa che finalmente ci arriva. Così come siamo contrari a che si distolgano fondi di coesione, almeno non lo faremo noi. Poi altri perimetri della discussione vanno calati nel concreto. Per ora c’è quello finanziario, gli 800 miliardi, ma bisognerà vedere come si declineranno queste spese. Perché in ogni caso si tratta di debito, che ha un peso, soprattutto per Paesi come l’Italia».
Questa posizione era già stata espressa dalla Lega con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ed è per questo che gli europarlamentari del Carroccio sulla risoluzione del Parlamento europeo che appoggia il piano Von der Leyen hanno deciso di votare contro.
Una prima prova di compattezza potrà essere provata con la risoluzione che il centrodestra presenterà prima al Senato e poi alla Camera in occasione delle comunicazioni del premier in Parlamento, in vista del prossimo Consiglio europeo. Sarà probabilmente un testo sintetico, secondo quanto trapelato, la Lega dovrebbe proporre di approvare semplicemente le comunicazioni del presidente del Consiglio. Sicuramente non si tratterà di un testo divisivo. «Come al solito troveremo la sintesi come abbiamo sempre fatto sulla politica europea», ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, riferendosi al dossier sul Rearm Europe. Il vicepremier Matteo Salvini ha visto il responsabile degli Esteri ungherese. Entrambi «hanno accolto favorevolmente gli sforzi dell’amministrazione Usa e del presidente Trump a favore del cessate il fuoco tra Russia e Ucraina con l’obiettivo di avviare i negoziati di pace tra le due parti».
Non divisioni quindi ma «differenti sensibilità» tra Fdi e Fi da una parte e la Lega dall’altra sul piano di riarmo, che però non dovrebbero emergere nel dibattito alle Camere. Dopo lo scontro acceso che ci sarebbe stato tra Meloni e Giorgetti a margine del Consiglio dei ministri di due giorni fa (smentito da Palazzo Chigi), si invita tutti alla calma. Obiettivo abbassare i toni.
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Giorgia Meloni (Ansa)
Il capo dell’esecutivo non indietreggia: «I magistrati desiderano governare, ma non funziona così». Fdi attacca Francesco Lo Voi sulle sue richieste per i voli speciali: «Troppe anomalie». Antonio Tajani: «Segreto di Stato? Sceglie il premier».
Giorgia Meloni si paragona a Penelope per commentare la sua (piccola) Odissea giudiziaria di questi giorni: «Penelope», dice il premier, ospite di Nicola Porro all’evento La Ripartenza, «in confronto a me avrebbe tessuto le tende dello stadio Olimpico. Mi ritrovo sulla prima pagina del Financial Times», argomenta la Meloni, «con la notizia che sono stata indagata, e se in Italia i cittadini capiscono perfettamente cosa sta accadendo all’estero non è la stessa cosa. Quello che sta accadendo è un danno che si fa alla nazione. Ecco quello che mi manda un po’ ai matti». Il presidente del Consiglio, che ammette di «sentirsi cascare le braccia», torna a commentare l’inchiesta sul caso Almasri: «Era chiaramente un atto voluto», sottolinea il premier, «tutti sanno che le Procure hanno la loro discrezionalità come del resto è dimostrato dalle numerosissime denunce che i cittadini hanno fatto contro le istituzioni e sulle quali si è deciso di non procedere con l’iscrizione nel registro degli indagati. Ci sono alcuni giudici, fortunatamente pochi», sottolinea ancora la Meloni, «che vogliono decidere la politica industriale, ambientale, dell’immigrazione, la riforma della giustizia. In pratica vogliono governare loro, ma c’è un problema: se io sbaglio gli italiani mi mandano a casa, se loro sbagliano nessuno può fare o dire niente. Se alcuni giudici vogliono governare si candidino alle elezioni e governino, l’hanno fatto in alcuni casi. L’unica cosa che non si può fare», sottolinea il premier, «è che loro governano e io vado alle elezioni».
Intanto il volo di Stato di Almasri e quello del procuratore Francesco Lo Voi si incrociano nei cieli politici assai nuvolosi di questa settimana di fine gennaio. Diventano roventi i toni della maggioranza di centrodestra nei confronti di Lo Voi, con la parola «vendetta» pronunciata pubblicamente dal vicecapogruppo di Fratelli d’Italia in Senato, Salvo Sallemi: «Le indiscrezioni di stampa», attacca Sallemi, «sulla questione voli di Stato di Lo Voi evidenziano quanto di fosco ci possa essere dietro le indagini che hanno colpito Giorgia Meloni e il suo governo. Occorre fare piena chiarezza su questo punto. Sarebbe imbarazzante scoprire», aggiunge Sallemi, «che il procuratore è in contrasto con Palazzo Chigi, perché vuole utilizzare l’aereo di Stato il fine settimana per tornare a casa nella sua Sicilia. Il che spiegherebbe l’anomala procedura, se non una vendetta giudiziaria, messa in campo contro il presidente del Consiglio e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Mantovano». «Ci vuole davvero», sottolinea il vicecapogruppo vicario di Fdi a Palazzo Madama Raffaele Speranzon, «una bella faccia tosta. L’avviso di garanzia al premier Meloni riguarda anche il peculato per aver utilizzato il volo di Stato per rimpatriare il capo della polizia giudiziaria libica, Almasri. Lo Voi, in passato, aveva chiesto di utilizzare l’aereo dei servizi segreti per volare da Roma a Palermo e il sottosegretario Mantovano glielo aveva negato per i costi, ammontanti ad almeno 13.000 euro. Bisogna fare piena chiarezza su questa situazione imbarazzante: il procuratore», aggiunge Speranzon, «in contrasto con Palazzo Chigi perché vuole utilizzare l’aereo di Stato il fine settimana per andare a casa, che si rende protagonista dell’anomala procedura contro il presidente del Consiglio e contro proprio il sottosegretario alla presidenza del Consiglio».
Dal Senato alla Camera, il vicecapogruppo di Fdi, Manlio Messina, utilizza sfumature diverse ma esprime lo stesso concetto: «È doveroso fare chiarezza», sottolinea Messina, «sulla vicenda che coinvolge il procuratore Lo Voi, il quale sarebbe entrato in contrasto con Palazzo Chigi per l’utilizzo dei voli di Stato per fini personali. Se fosse confermata», sottolinea Messina, «avremmo forse la spiegazione per l’anomala procedura nei confronti del presidente del Consiglio e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Mantovano». Sulla stessa lunghezza d’onda i comunicati di altri esponenti di Fratelli d’Italia.
Il segreto di Stato sulla vicenda Almasri? «Se ne occuperà il presidente del Consiglio», risponde ai cronisti il ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani, che picchia duro anche sulla Corte penale internazionale: «Certamente è singolare», sottolinea Tajani, «l’atteggiamento della Cpi, visto che questo signore che noi abbiamo espulso girava per l’Europa da parecchio tempo. Perché non si è intervenuti prima? Bisognerebbe chiedere alla Corte penale internazionale perché non ha chiesto alla Germania di fermare Almasri, visto che girava per l’Europa indisturbato. Guarda caso, quando è arrivata in Italia c’è stata una richiesta, e fatta male».
Alla Meloni replica attraverso i social il leader del M5s, Giuseppe Conte: «Meloni dice che la notizia dell’indagine sul caso Almasri è un danno all’immagine del Paese all’estero che la manda ai matti. Era un danno d’immagine anche quando Fratelli d’Italia mi portava in tribunale da premier a suon di esposti e fake news? Era un danno di immagine anche quando gridava paonazza che l’Italia aveva un premier criminale? Meloni«, aggiunge Conte, «non sei sopra la legge. Sei in una democrazia. Ricomponiti!». «Della vicenda Almasri», commenta il segretario del Pd, Elly Schlein, «un trafficante di esseri umani, un torturatore che il governo ha liberato, Giorgia Meloni dovrebbe riferire al Paese nelle sedi istituzionali e non ai propri follower. E invece Meloni continua ad attaccare i giudici e a fare dirette sui canali social. Il Parlamento, non è Instagram», sottolinea la Schlein, «è il luogo in cui le opposizioni hanno chiesto al presidente del Consiglio di chiarire il suo operato, ma continua a evitarlo, a scappare».
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