È stato un fedelissimo di Matteo Renzi, che lo fece vicepresidente nazionale del Pd. Dal «Bomba» di Rignano - il soprannome del capo di Italia Viva - qualcosa deve aver pur preso. Così Matteo Ricci, il marchigiano sconfitto, va alla ricerca di un capro espiatorio e si attacca ai suoi guai giudiziari strumentalizzati dalla stampa di destra cinica e bara per farlo perdere. Concedendo un’intervista a Repubblica, ha fatto però una gaffe. Gli chiede Gabriella Cerami: «Le Marche sono una battuta d’arresto nella corsa verso le politiche?». Risponde: «Le Marche sono una Regione piccola, i dati politici veri li vedremo con altre Regioni».
È tornato quello dei tempi del «Bomba». Matteo Ricci nel 2014 appoggiò senza riserva l’idea di Renzi di ridurre le Regioni e, come gli ricorda l’onorevole Antonio Baldelli (Fdi), disse: «Il numero delle Regioni è eccessivo, dobbiamo riformarle e ridurle. Partiamo da Marche e Umbria, che sono piccole e perciò vanno unite». Hai visto mai che ai marchigiani è tornato a mente?
Ricci ha un’altra «bomba»: «Il mio avversario non era Acquaroli, ma Giorgia Meloni, lo hanno capito tutti». Il governo si è impegnato allo spasimo: «Per ogni manifesto nostro ce n’erano dieci degli altri». Occhio alle dichiarazioni iperboliche perché forse fra qualche giorno la Procura di Pesaro si rifarà viva e allora bisogna misurare le parole. Lui - spiega - non ha nulla da temere: «Bisogna sempre avere rispetto per il lavoro che fa la magistratura, un po’ meno per coloro che l’hanno strumentalizzata».
Eccolo il capro espiatorio. Lui non ha perso perché i marchigiani non l’hanno votato, ma perché la gogna mediatica lo ha stritolato. Tra quelli che non l’hanno votato probabilmente ci sono molti pentastellati, anche se Ricci sostiene: «Il M5s si è impegnato tantissimo e ha ottenuto un risultato dignitoso. Conte ha letto le carte e ha capito subito che non c’erano elementi per chiedere un mio passo indietro». Altro che Cassazione: Qui c’è la sentenza del supremo giudice di Volturara Appula! Però Matteo Ricci proclama: «C’è amarezza per quello che mi è successo: ricevere un avviso di garanzia in piena campagna elettorale mi ha colpito profondamente, soprattutto la strumentalizzazione che c’è stata per almeno un mese e mezzo sui media, in particolar modo dall’altra parte politica. Purtroppo qualche effetto l’ha avuto».
Viene però da ricordare al candidato trombato cosa il Pd ha fatto a Giovanni Toti. Francesco Acquaroli, peraltro, mai ha tirato in ballo l’accusa di concorso in corruzione che grava sul suo avversario. Semmai lo ha fatto lui. Alla cena elettorale a Pesaro ha cercato di passarci da vittima: ha detto che non conosceva Stefano Esposto, l’amministratore di Opera Maestra che ha avuto incarichi per oltre mezzo milione senza alcun controllo - sostiene l’accusa -, eppure ci andava a cena e a correre in bicicletta insieme. Si è dichiarato essere parte lesa, ma il mezzo milione è dei contribuenti e forse sono loro gli «offesi». A Pesaro - dove è stato Sindaco per dieci anni e presidente della Provincia per cinque - se ne sono accorti e lì, nella presunta roccaforte, Matteo Ricci ha perso 10.000 voti. Pare che il Pm - che ha tenuto l’inchiesta «in sonno» fino all’esito del voto - voglia chiedergli qualcosa anche sull’associazione Ungranbelpo’, il suo comitato elettorale per le Europee aperto e chiuso in gran fretta. Lui a scanso d’equivoci il biglietto per Strasburgo ce l’ha pronto. Ha detto che organizza l’opposizione poi deciderà se stare ad Ancona o in Ue. Però tra consigliere regionale ed eurodeputato ballano circa 12.000 euro al mese e soprattutto l’immunità. In campagna elettorale qualcuno gli ha chiesto: vuoi i voti ma se perdi che fai? Non ha risposto. Forse Matteo Ricci sarà il primo politico che invece di difendersi nei processi si difende dagli elettori.






