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È possibile scaricare gratuitamente il volume scritto ed edito da Riccardo Ruggeri accedendo a questo link.
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Nell’ultimo anno, come editore puro (nel senso che Grantorino Libri non ha scopi di lucro o interessi politico-ideologici) non mi è capitato di pubblicare nessun libro riferito alla triade oggi di successo «Virus-Vaccino-Pass». Gli ormai celeberrimi virologi e infettivologi nostrani hanno preferito editori prestigiosi come loro. Poi c’è stato uno scoop, solo mio, da cui è nato questo libro.
È così iniziata una storia al limite del credibile. È contenuta nel libroincipit La pestilenza è finita. Sono tutti morti, quasi. Un libro non libro, dubbia la storia, dubbi gli autori, sarà un uomo o sarà un virus? E pure dubbio lo scoop: sarà andata effettivamente così o si tratta di una furbata letteraria, o peggio editoriale?
Nella mia lunga vita ho scoperto come sia difficile separare il vero dal falso, il sognato dal temuto. Sulla quarta di copertina c’è una sintesi impeccabile: «In una notte di luna piena, la variante Omega trasforma in granelli di cipria secca i sette ottavi dell’umanità». Detto brutalmente, la storia segue uno schema letterario tipico dei film del Tenente Colombo: lo spettatore scopre subito le modalità dell’omicidio e il nome dell’assassino, poi si gode il racconto investigativo di Colombo per arrivare alla verità e all’arresto del colpevole.
Qua l’incipit praticamente contiene già l’intera storia. Eccolo. «La pestilenza è finita. Sono tutti morti, quasi. All’alba del «Omega Day», terminato il suo lavoro di morte, la Variante Omega si è suicidata. La notte degli uccisi si è trasformata nell’alba dei sopravvissuti. In una notte di luna piena, Omega ha ucciso tutti gli scampati alla morte delle precedenti varianti, fatto salvo un piccolo manipolo, pare poco più del 10% della popolazione mondiale, selezionato secondo un suo criterio morale. Incredibile come sia stato mantenuto l’equilibrio preesistente. Il mondo si è risvegliato con il 90 per cento degli abitanti in meno, ma è stato subito operativo. Non un’ottusa strage. Forse un’intelligente operazione di chirurgia sociale?».
Essendo sopravvissuti non i più forti ma solo quelli perbene, radio, tv, giornali tacciono. Così le Ztl delle élite, in primis Davos, i loro palazzi, ville, casali sono sì intatti ma vuoti, cosi i palazzoni popolari delle periferie dove degli ignoranti pigiavano sulle loro tastiere, vomitando oscenità, sognando la rivoluzione purché la facessero gli altri. Spettrale la California, solo corvi su Silicon Valley, solo erbacce a Wall Street, abbandonati l’Onu, il Fmi, le Banche Centrali. Vuote Bruxelles, Washington, Pechino. Tutti morti. In questi luoghi Omega ha eliminato il 100% dei residenti.
Un piccolo mondo antico, rimasto però ipertecnologico, ha sostituito il precedente, eccessivo, debordante, invivibile per le persone perbene. Mettevi nei miei panni. Siamo in un anno qualsiasi dei Venti. È sera tarda, state per andare a dormire. Andate sul terrazzo, il mare sembra olio, date un ultimo sguardo a un cielo pieno di stelle. Nessun umano può immaginare cosa succederà dopo lo scoccare della mezzanotte. All’alba vi svegliate, andate sul terrazzo a odorare il vostro angolo di erbe officinali ed aromatiche. C’è un silenzio irreale, come prima dei terremoti. In realtà il terremoto è già avvenuto. Nessuna scossa, nessuna sirena d’allarme, gli umani sono tutti morti, quasi. In un silenzio irreale scoprite di essere vivo. Da vecchio scrittore prendete appunti, lo fate in modo febbrile, al limite del terrore. Poi, aprite il computer. Funziona! È la conferma che siete veramente vivo! C’è una sola mail, è appena arrivata, con allegato un Pdf, lo scorrete, è il racconto della notte assassina. È firmata Variante Omega! Lo scoop di una vita, avvenuto però quando sono tutti morti: di certo passerete alla storia, se ce ne sarà ancora una. Vi quietate, riprendete a vivere. Il cielo è terso, come prima della «strage dei colpevoli», la pestilenza è finita.
Fate un giro della cittadina B. Nessuna indicazione del passaggio assassino di Omega, se non che si percepisce di essere pochi: infatti, prima eravamo 10.000 abitanti, ora siamo 500. I miei amici però ci sono tutti, il dottor B., il Farmacista T., il dentista B., la panettiera, il pescatore, la contadina, il ristoratore Federico. Leggendo il Pdf di Omega capisco che si è trattato di una «strage dei colpevoli», però …. Omega ha salvato solo le persone perbene, la teoria darviniana è stata ridicolizzata, i forti (che spesso coincidono con quelli permale, potenti, ricchi, poveri, ignoranti, delinquenti, poco importa) sono morti tutti, seccati da Omega nella sua notte assassina. Sono rimasti tutti quelli perbene, scopriamo così che eravamo meno del 10% dell’intera umanità.
Prendo il testo speditomi da Omega, lo risistemo, lo trasformo in un libroincipit in modo che lo si legga in 30 minuti, sciacquo nel mar ligure il suo italiano virale, mi concentro sul finale, imperativo quando il romanzo evolve da distopico ad utopico. Allora decido di firmarlo, come editore stabilisco che sia distribuito gratuitamente agli amici.
Nel mondo nuovo che andremo a costruire dovrà imporsi la cultura del dono in contrapposizione a quella dell’eccesso del possesso. Sarà un mondo liberal-laico-religioso per definizione, ove però le cose fondamentali della vita saranno tutte gratuite: la scuola, la medicina, la cultura, eccetera.
La parola che ci ha rappresentato per due millenni «forza» sarà sostituita da «amicizia». Amore è tumulto, l’amicizia è stupore. Torneremo a nascere nelle nostre case, quando sarà il momento qua torneremo, e moriremo nel nostro letto, con lenzuola fragranti di bucato, circondati dai nostri cari. La «strage dei colpevoli» via via la umanizzeremo, senza però dimenticarla, mai. Un solo dubbio. Che mondo sarà quello composto solo da persone perbene? Noia infinita o felicità perenne? Non so rispondere, andiamo a viverla. Prosit!
Malgrado la lunga esperienza di editore questo manoscritto mi ha spiazzato. L'ho letto d'un fiato, come fosse un giallo, poi l'ho riletto con calma, come si fa con un romanzo. Un romanzo neo gotico a pasta filante, il primo giudizio a caldo. Secondo l'autore il personaggio Achille K. è la versione maschile di Maria (Maria e l'Ingegnere, Grantorino Libri, collana Zafferano), due personaggi sui quali ha molto investito. Entrambi cercano di sopravvivere nell'osceno mondo del Ceo capitalism: come? Maria nobilitando il ruolo di Ceo, seppur solo al calare della sera, Achille K. scegliendo sempre e solo la «libertà», anche quando libertà e giustizia entrano in collisione.
Da 50 anni, da quando cioè questa storia si è accampata nell'immaginario di Achille K., lui e Kafka vivono in simbiosi, in un curioso rapporto di amorosi sensi. Il libro non sarebbe mai nato senza Il Processo di Joseph K. A lato di ogni pagina del testo c'è infatti un pensiero, una frase del grande boemo. È come se Joseph K. portasse per mano Achille K. nel suo viaggio nei meandri del potere, della giustizia, della libertà. È un libro doppio, un parto gemellare dizigote, le pagine a sinistra sono tutte di Joseph K., quelle a destra tutte di Achille K. A sinistra siamo nel primo Novecento, a destra a cavallo del Secondo Millennio, un mondo nato pigro che si trascina stancamente. Diverse ma speculari le storie dei due K. Il reato di cui è accusato Joseph K. è sconosciuto a tutti, imputato e giudice compresi, mentre l'altro viene confezionato a tavolino dai Quattro (il 4, numero esoterico, pronunciandolo fa risuonare, a mò di eco, la voce dei morti), sempre all'insaputa, sia del presunto imputato, sia del suo futuro giudice. Il lettore si trova subito spiazzato dal comportamento di Achille K. Costui dichiara essere assolutamente innocente, però sceglie di apparire colpevole per non andare in galera, rifiutando al contempo tanti quattrini, offerti dai Quattro, per rendergli dolce il ruolo di capro espiatorio. Infatti, studiato freddamente il «suo» caso, come fosse quello d'un altro, decide di dichiararsi colpevole, perché, così facendo ha la ragionevole certezza di non andare in galera. È ovvio che se fosse stato colpevole avrebbe fatto di tutto per non andarci, se però finiva male l'avrebbe accettato, come in genere succede ai colpevoli. Invece, essendo innocente, è terrorizzato di andarci, da innocente appunto, perché sa che fisicamente non sopravviverebbe. E su questo aspetto si dimostra molto sicuro di sé. Pare convincente. In altri termini, lui sceglie la vita da finto colpevole, rifiuta il suicidio carcerario da innocente. Se avesse combattuto per la propria innocenza (vera, ma in quel momento indimostrabile) in galera ci sarebbe andato di sicuro. Certo, sarebbe stato poi prosciolto, tanti anni dopo, per non aver commesso il fatto (che in effetti non aveva commesso), ma che sarebbe successo a lui come persona? Nessuno può rispondere a questa domanda. […]
Il virus della libertà si era impossessato della sua vita tanti anni fa e l'aveva trasformato nel personaggio libertario, e al contempo poetico, che oggi ci appare. In corso d'opera, per fissare per sempre, su carta, la successione degli eventi, scrive un capitolo del libro che ha in cantiere da anni, trattando pure questo episodio. Si spoglia, lo riempie di vita, lo dettaglia, lo arricchisce di aneddoti, lo farcisce di personaggi al contorno, inserisce qua e là battute secondo lui memorabili. Non lo fa leggere a nessuno, mai lo pubblica. Non lo fa neppure ora, nel momento di quella che sa essere l'ultima possibilità di finire quel «libro della vita», come l'ha subito chiamato ma che mai nessuno ha letto. È talmente turbato dal ricordo, vissuto intensamente, del «capitolo mancante», come lo chiama, che non sapendo come uscire dal dilemma in cui si è cacciato, lo trasforma in un romanzo, ponendosi la domanda se deve bruciare il capitolo madre da cui tutto è nato. Questa storia racconta una lotta che ingaggia sul confine che c'è fra libertà e giustizia, questa lotta entra prepotentemente nella sua vita, senza che se ne renda conto, gli stravolge l'esistenza. Si accorge che quello che chiama il «libro della vita» non l'ha in realtà mai scritto: è rimasto un indice, con un centinaio di nomi. Lo può recitare a memoria, virgole comprese, ma non esiste nella realtà. È tutto nella sua testa, allora si dà l'obiettivo di riportarlo su carta. Prima di bruciare per sempre il capitolo, come fosse un feuilleton, ha cercato il conforto di me editore. La storia, specie se la racconta lui dal vivo (è uno straordinario novelliere gotico-contemporaneo), sembra addirittura vera, pare documentata, ma la lettura ti lascia un retrogusto di incredulità, di diffidenza, di cui non riesci a liberarti. Questo mi ha convinto che siamo in presenza di un grande romanzo d'amore, non per una donna o per un uomo, ma per la libertà di vivere e di scrivere, fuori dagli schemi del potere. È come se a lui non interessasse la giustizia, vuole che il suo fascicolo giudiziario non si chiuda mai, è disposto a qualsiasi confessione, a qualsiasi menzogna, purché gli allegati crescano, crescano a dismisura, fino ad assumere una dimensione talmente mostruosa da non essere più umanamente gestibili.
La Giustizia deve quindi ritirarsi per eccesso di prove e di confessioni, tanto, in gran parte sono false o di prossima falsificazione. È come si augurasse che il peso della burocrazia giudiziaria la seppellisca, per sempre. In certi momenti ho avuto l'impressione che fosse un furbacchione, di quelli che gettano il sasso e subito ritraggono la mano. Invece no, penso che ogni tanto sia preda di attacchi di pura poesia, e perda il lume della ragione. Il capitolo mancante lo ha esaltato e al contempo sconvolto. E se si fosse inventata questa storia, se ne fosse innamorato perdutamente, quindi la volesse valorizzare, arricchendola, ma pure manipolandola all'infinito? Sarà mica il suo cubo di Rubik letterario? Lui ne complica sempre di più la trama, per cercare di risolverlo in sempre minor tempo. E ogni volta ci riesce. Passo dopo passo sta diventando un autore kafkiano.
Ho provato tenerezza per lui quando ha dedicato il romanzo a Franz Kafka. Alla consegna del manoscritto l'ho visto felice, come si fosse sgravato di un peso. La storia che 50 anni fa l'aveva eccitato, mi ha confessato, ora non gli interessa più, peggio se ne vuole liberare. Come fu per Ernö Rubik con il suo cubo. Ma, se lo conosco, sono convinto che presto cambierà idea, lo vorrà indietro, per aggiungere un verbo, una locuzione, un paragrafo. L'hotel Negresco, la trama, i quattro colpi di scena in successione che connotano il romanzo, permettono di approfondire l'anima dei personaggi e l'anima dei luoghi. Sono tutti simil kafkiani. Geniale l'idea dei due «Castelli» (è Kafka in purezza), ove la storia si snoda. Uno di una sconosciuta «Società», di cui nulla si sa, né come tipo di business, né come dimensioni, né dove sia ubicata, l'altro di una non meglio identificata «Procura.» I famosi Quattro non sono descritti come singoli, ma presentati a mò di ente burocratico con tratti umanoidi, solo e sempre come minaccia procedurale alla libertà. Sullo sfondo l'autore, sfocato nel suo pallore, pensoso, ricorda quello che George Simenon chiamava homme tout nu. Per la desolante solitudine che lo percorre sembra vivere nel quartiere di Boston, ove un tempo c'era il Drug Store di Edward Hopper. E se Achille K. non fosse uno scrittore, ma un poeta che sogna di essere un imputato a vita? Si sarà mica innamorato del contesto giudiziario, del Palazzo, dei magistrati, dei cancellieri, dei burocrati giudiziari, dei suoi muri, dei suoi odori? E di lì non vuole uscire? È terrorizzato di andare in galera, ma vorrebbe passare le sue giornate nel Palazzo della Procura a leggere fascicoli, a copiarli, come gli studenti di pittura fanno agli Uffizi. Per poi tornare a casa ogni sera.
Sono passati quasi 50 anni da quando dice che i fatti si svolsero, e iniziò la storia. Quasi 40 da quando iniziò l'inchiesta, il processo e la successiva sua condanna. Pochi mesi, invece, da quando Achille K. ha deciso di non chiedere la riapertura del processo, che avrebbe ottenuto con estrema facilità, e di conseguenza sarebbe stato riabilitato agli occhi del mondo. Non certo per sfiducia verso la magistratura, anzi nel romanzo essa appare impeccabile. Anche i magistrati, come lui, vengono gabbati dai Quattro, ma non se ne accorgono. Così lui preferisce uscire di scena da colpevole certificato, vivere nei suoi amati interstizi, piuttosto che convivere con questo tipo di mondo, ulteriormente peggiorato, con l'arrivo, proprio 30 anni fa di quello che lui chiama «l'oscenità del politicamente corretto», descritto come fosse un'ideologia nazicomunista. Avvicinandosi al fine vita, può permettersi queste scelte libertarie per età, status, censo. E lui ci sguazza. Comunque Achille K. è un parente di sangue di Joseph K., e si disvela nel penultimo capitolo, quando si materializza nella sua camera da letto addirittura Franz Kafka. Il grande boemo chiude la vicenda con un ordine esecutivo, al quale Achille K. si adegua, finalmente succube di qualcuno: del suo mito. Finalmente è felice. Comunque non è finita, nell'ultimo capitolo tornano, a modo loro, i Quattro, e il mosaico iniziale della storia si ricompone. Ieri, Achille K. mi ha mandato uno dei suoi tweet criptici: «Difendi la libertà, tu che puoi, così si invertirà il segno della giustizia». Buona lettura.
C'era una volta il Signor G. Fintamente ingenuo e davvero affascinato dalla stupidità umana, metteva a nudo a teatro (e in Tv quando la censura era distratta) le contraddizioni della società e della politica anni Settanta, con particolare attenzione all'allegra ferocia del potere. Volto e voce di Giorgio Gaber. Oggi, con la stessa leggerezza, sul caotico pianeta di Twitter passeggia il Signor Ceo, che con raffinato realismo fotografa lampi e miserie della rete, nuova bibbia della cultura popolare. Volto e voce di Riccardo Ruggeri, manager e commentatore di successo, inventore di Zafferano.news, che con Tommy Cappellini (giornalista e manager culturale svizzero) ha trasformato i tweet in un libro: Il Signor Ceo. Cinguettii dalla città proibita (editore Grantorino Libri), da oggi in regalo ai nostri lettori.
Il Signor Ceo ha 60 anni, un carattere d'anguilla, è sempre in volo per affari, ha nostalgia di Winston Churchill, rispetta Vladimir Putin, disprezza Xi Jinping, ha come pontefice di riferimento Benedetto XVI, legge Jorge Luis Borges e Michel Houellebecq. E fa parte del Mamil (middle aged men in lycra, i fanatici che incroci alle sei di mattina mentre fanno jogging con la tutina fucsia). Il pamphlet è originale, punge il politicamente corretto dominante, la stampa maintream e strappa il sipario sulle omeriche fanfaronate digitali degli economisti. Tre tweet imperdibili. Sui tagli dei lavoratori: «La parte datoriale si è avvalsa della flessibilità in uscita per dire che un Ceo ha licenziato dei dipendenti. Ci stiamo suicidando con le parole». Sul rapporto lettori-giornalisti: «Il Signor Ceo ha finito di leggere 5 giornali italiani, 4 anglosassoni e la Nzz. Sul caso Ilva scuote la testa e mormora: “Italia, un grande Paese ove i cittadini sono nettamente migliori della classe dominante che li guida. Questa da sempre campa scimmiottando il peggio di quella euroamericana"». E quando il sistema entra in crisi? «Spegnere il motore e affidarsi alla corrente».
Cinguettii dalla Città Proibita. La struttura del testo è piuttosto originale, per non dire marziana. Ce la spiega?
«È il libro più folle del 2020. Credo che sia il primo libro figlio diretto di un social network. Di solito gli editori classici reclutano blogger o influencer, li aiutano a confezionare un volume qualsiasi e glielo pubblicano sperando nel botto. Qui è andato tutto al contrario. Senza Twitter - questa fucina di sputi come lo chiamo io, e gli sputi sono i tweet - il Signor Ceo, personaggio e libro, non esisterebbe».
E allora come è nato?
«L'estate scorsa avevo iniziato a twittare pensieri, riflessioni, strategie, segreti, gioie e dolori di un Ceo generico che diceva cose che in altri contesti non avrei mai potuto dire. Mancava però un quid che tenesse tutto insieme. A settembre io e Tommy Cappellini ci siamo visti per la nostra solita cena in un grotto svizzero e parlando in libertà, complice l'ottimo merlot della regione, finimmo con l'aggiungere a questo anonimo Ceo un piccolo appellativo che cambiò tutto».
Fu in quel momento che nacque il personaggio?
«Sì. Il Signor Ceo è un Ceo al quadrato, metà whistleblower metà pallone gonfiato, che come i giullari di corte nel Medioevo ha il permesso di dire al Re, cioè al Ceo capitalism, le verità più terribili sul suo conto. La valanga di tweet che seguì a quella cena mi venne fuori assolutamente spontanea».
È stato un gran successo di follower e di cuori.
«Si è perfino fatta avanti un'azienda digitale a proporre una possibile collaborazione. Ho preferito lasciar cadere la proposta, mentre con Tommy abbiamo deciso ricavarne un libro per gli abbonati - e abbonarsi è gratis - a Zafferano.news. Sono autorizzati, se lo vogliono, a donarlo ai loro amici e conoscenti, purché sempre gratuitamente».
Niente di più opportuno, siamo a Natale.
«Il Signor Ceo è molto più di un libro strenna. Dal punto di vista editoriale è un'operazione zafferaniana in purezza. È un libro a costo zero e impatto zero: l'estremizzazione di Greta Thunberg, che se fosse coerente con sé stessa userebbe solo Youtube. Lungo tutta la catena del valore l'intermediazione è zero: gli autori fanno servizio pubblico gratuito, l'editore è come se non esistesse, le pressioni dell'establishment sono escluse».
Il sistema editoriale dove lo mettiamo?
«In solaio. I giornalisti possono recensirlo o meno; il distributore, tipo Amazon e compagnia, è bypassato; il rapporto editore-lettore è diretto. Come su Zafferano.news. Non essendoci in nessun momento passaggio di denaro, pure Fisco e Agenzia delle entrate sono fuori gioco».
Autarchia pura che nemmeno gli Amish.
«Suggestivo parallelo, ma la vedo diversamente. Con Il Signor Ceo siamo nel pieno di una comunicazione e di una cultura circolare che si esalta riciclandosi in continuazione e che rende la vita durissima al Ceo capitalism, che ci vuole non più cittadini-lavoratori ma consumatori-zombie. Detto questo, Il Signor Ceo non ha connotazioni politiche, non si pone nessun obiettivo, è puro divertissement, tra l'altro portatore di preziose criptocitazioni letterarie».
Il libro non è una semplice raccolta di aforismi. Talvolta il racconto diventa una formazione calcarea intorno ad un tweet, mentre altri tweet subiscono un montaggio narrativo sperimentale.
«Tommy ed io siamo partiti dalla constatazione che la lettura convenzionale di libri tradizionalmente confezionati stia perdendo la presa sui lettori. La prima cosa da accettare serenamente è che, oggi, la pratica della lettura si sta rivoluzionando sotto i nostri occhi. Da questo punto di vista Il Signor Ceo è un drone letterario, un libro per lettori veloci e allo stesso tempo attenti ad ogni sillaba, ad ogni retropensiero, proprio come accade su Twitter».
È anche un libro perennemente aperto.
«Mi ricorda le macchine che producono le salsicce: implacabili. Ci sarà sicuramente una seconda edizione che non ricorderà per nulla la prima. Di più: Tommy ha scelto i tweet su cui lavorare come narratore. Ma ogni lettore può, se vuole, scegliere i suoi tweet e svilupparli con la riflessione e la fantasia, senza per questo snaturare il carattere del Signor Ceo e ciò che rappresenta. Questo è un libro partecipativo che potrebbe sfociare in una seduta psicanalitica di massa».
Non per niente è figlio di Twitter.
«Potrà non piacere, ma di certo non assomiglia a nessun altro libro in circolazione. Per questo è un ottimo regalo che gli abbonati a Zafferano e i lettori della Verità potranno fare ai loro amici».
Ma alla fine, chi è il Signor Ceo?
«È un mix di una ventina di Ceo reali. È il classico Ceo di successo, di quelli un po' psicopatici, che con l'avvento della Brexit e di Trump comincia ad avere qualche incertezza sulla validità del Ceo capitalism di cui è alto rappresentante. E allora, in alcuni momenti di consapevolezza, ne diventa un critico tanto più feroce quanto più ne conosce alla perfezione i meccanismi».
I mass media tradizionali non ne escono bene.
«La capacità del Signor Ceo di fare fulminanti analisi di business e di management lo sta portando a considerare l'editoria giornalistica non più un business ma una commodity, all'interno della quale si perde un'anima antica. Pensare che metà dell'aristocrazia giornalistica italiana vale come un giocatore di calcio (la Gedi venduta al prezzo di Cristiano Ronaldo - ndr) ci deve far riflettere».
Ma il Signor Ceo è un uomo o un algoritmo?
«A volte mi chiedo: come è riuscito un prodotto di Twitter ad assumere sembianze così umane? Il signor Ceo è un robot-piattaforma digitale, una specie di bot umanoide. Ma con la seconda edizione potrebbe trasformarsi definitivamente in un uomo 4.0».
