2022-02-04
«La pestilenza è finita. Sono tutti morti, quasi»: in omaggio il libro di Ruggeri

iStock
È possibile scaricare gratuitamente il volume scritto ed edito da Riccardo Ruggeri accedendo a questo link.

È possibile scaricare gratuitamente il volume scritto ed edito da Riccardo Ruggeri accedendo a questo link.
Dovevano essere trenta minuti di protesta. Trenta minuti in cui le case editrici di sinistra avrebbero dovuto coprire con dei teli neri, neri come il fascismo ovviamente, i volumi esposti a «Più libri più liberi». Avrebbero: perché poi sono stati utilizzati tutti i colori (del resto non si può essere troppo schizzinosi quando c’è una rivoluzione proletaria da fare) e la protesta è durata solamente la metà: quindici minuti. Perché va bene preoccuparsi del fascismo che sta tornando, va bene combattere gli squadristi, ma bisogna pur star dietro agli affari. La rivoluzione può attendere. Quindici minuti possono bastare. Anche meno, se possibile. Giusto il tempo di un piccolo comizio, di una parata tra gli stand e poi tutti indietro a liberare quei poveri libri coperti dal velo del fascismo.
Così, all’incirca venti case editrici (su oltre 600 espositori, il 3 per cento circa) si sono riunite di fronte agli stand di Bao, che pubblica Zerocalcare e Momo e, dopo un breve discorso programmatico, hanno marciato compatte verso Passaggio al bosco. Immaginiamo il loro stato d’animo: la loro voglia di libertà mentre schiacciano quella altrui; i paragoni con l’Aventino e pure con la lotta partigiana. Si parte, dunque. Si blocca la Nuvola, che ospita a Roma «Più libri più liberi», e si creano disagi agli ospiti. Ma poco importa. Si canta «Bella ciao» e si urla «fuori i fascisti dalla fiera», senza rendersi conto che i primi intolleranti sono loro. Uno dei ragazzi alla testa del mini corteo, non appena arriva di fronte allo stand di Passaggio al bosco, si scontra verbalmente con un signore al quale dice di risolvere la questione fuori (immaginiamo non con una lezione sul Capitale di Marx). Poco prima, Daniele Dell’Orco, fondatore di Idrovolante Edizioni, era rimasto bloccato all’interno del corteo, non proprio una situazione piacevole per una persona finita in mezzo a una campagna stampa d’odio.
Molto rumore per nulla. I soliti slogan, le solite canzoni. Le solite frangette blu fuori moda e i soliti gonnelloni in tartan. Qualche giorno fa, alcune ragazze hanno raggiunto lo stand di Passaggio al bosco e, indicando uno degli ultimi libri pubblicati - Charlie Kirk. La fede, il coraggio e la famiglia, scritto da Gabriele Caramelli - hanno chiesto all’editore: «Ma tu la pensi davvero come lui?». La risposta, che non si sente, avrebbe dovuto essere «no». Perché la destra italiana è molto diversa da quella americana. Eppure, nonostante le differenze, quella casa editrice «nazista» ha deciso di raccontare un personaggio così diverso da sé. Le due ragazze antifasciste avrebbero dovuto sfogliare il libriccino, almeno fino a pagina 14, dove avrebbero potuto leggere queste parole: «Oggi, invece, il suo compito (del volume, ndr) è quello di illustrare l’importanza del dialogo anche tra poli opposti, perché come diceva Charlie: “Quando le persone smettono di parlare, accadono cose brutte”». Che è proprio quello che è successo a lui. E che tanti vorrebbero replicare ancora oggi, come si vede nelle tante dimostrazioni di intolleranza nei confronti di chi viene bollato con l’etichetta «fascista». E così ci troviamo di fronte a un paradosso in cui Marco Scatarzi, l’editore di destra, dice «stiamo continuando a fare il nostro lavoro in piena libertà. Ognuno è libero di criticare, noi continuiamo a svolgere il nostro lavoro» mentre gli altri vorrebbero imporre la censura. «Ciò che pubblichiamo» - prosegue l’editore - «è anche qui esposto, grazie a tutti. Noi rispondiamo col sorriso, siamo una casa editrice con tantissimi autori, tantissimi collaboratori delle più svariate esperienze e facciamo cultura».
Ecco, forse è questo il punto fondamentale. Per decenni, la cultura, specie quella giovanile, è stata dominata dalla sinistra. I testi che andavano di moda arrivavano da lì. Ora qualcosa è cambiato. I ragazzi vogliono sentire anche l’altra campana e, per questo, si avvicinano a questa casa editrice così diversa, dalle copertine pop e dai titoli taglienti. Non ne condividono tutto, forse. Ma sicuramente trovano ciò che è proibito. Come la ristampa di Decima flotilla Mas. Dalle origini all’armistizio di Junio Valerio Borghese. Oppure Il razzismo contro i bianchi. L’inchiesta vietata di François Bousquet, che racconta, con dati alla mano, il fallimento del multiculturalismo in Francia.
Perché l’unico modo oggi per far leggere qualcosa è dire che è vietato. Era successo con Roberto Vannacci, sta succedendo oggi con Passaggio al bosco. Che, nonostante le minacce e i tentativi di censura, resta a «Più libri più liberi». Giustificando così il nome della kermesse.
l GNL statunitense in sofferenza sui margini. Le raffinerie private cinesi si aggiudicano il petrolio iraniano. Londra tassa le auto elettriche. L’Ue dà l’addio definitivo al gas russo dal 2027.
In un anno sono aumentate del 18,5% le persone nate fuori dall’Italia che percepiscono un assegno dall’Inps: sono 378.645 e nella stragrande maggioranza incassano prestazioni assistenziali alimentate dalle nostre tasse.
Ricordate quando ci dicevano che gli immigrati ci avrebbero pagato le pensioni? Beh, al momento siamo noi a pagarle a loro. Lo rivelano i dati 2024 dell’Osservatorio sugli stranieri presso l’Inps. L’ente previdenziale ha infatti un ufficio che studia l’impatto degli extracomunitari sui conti pubblici. E a sorpresa, scorrendo le statistiche, si scopre che l’istituto eroga già centinaia di migliaia di trattamenti a soggetti stranieri, quasi tutti a carico della collettività, cioè dei contribuenti.
È vero, ci sono quasi quattro milioni di lavoratori che versano i contributi, ma nel bilancio dell’ente figurano 252.000 percettori di prestazioni a sostegno del reddito e 378.000 pensionati (+ 18,5% rispetto all’anno precedente). Nel primo caso non c’è neppure da discutere: si tratta di immigrati che sono o disoccupati o in mobilità e dunque ricevono un sussidio statale. Nel secondo caso basta leggere le spiegazioni che accompagnano i dati per scoprire che più della metà di quei «pensionati» percepiscono un assegno assistenziale, per un importo medio annuo di poco superiore a 7.000 euro. Di questi 195.000 soggetti, 150.000 sono extracomunitari e 45.000 fanno parte della Ue. L’altro 48,5 per cento di pensionati stranieri che non incassa il sussidio è composto invece prevalentemente da chi beneficia di trattamenti previdenziali sempre a carico della collettività in tutto o in parte. Ovvero pensioni di invalidità, di vecchiaia o destinate ai superstiti. In totale, parliamo di 322.000 persone che godono di un trattamento che non è assistito dalla contropartita di una contribuzione. In altre parole, pagano gli italiani. Qualcuno potrebbe obiettare che a fronte di questi 570.000 assegni che ogni mese escono dalle casse dell’Inps senza che in precedenza siano stati versati i soldi che legittimano la quiescenza ci sono quasi quattro milioni di lavoratori iscritti nei ruoli dell’ente previdenziale. Ma se si scorre il valore delle retribuzioni attuali si scopre che su circa tre milioni e mezzo di dipendenti di imprese private il reddito annuo è di poco superiore a 16.000 euro e dunque il versamento dei contributi è conseguente. Cioè basso. Dunque, non soltanto parliamo di cifre ridotte, ma in futuro, quando andranno in pensione, molti di questi lavoratori più che pagare la pensione agli italiani, avranno bisogno di veder integrare la propria da un sussidio statale. Cioè saranno in parte a carico della collettività e riceveranno l’integrazione al minimo, soprattutto se non potranno vantare una contribuzione quarantennale. Del resto non c’è da stupirsi. Le statistiche dell’Istat parlano chiaro: quando si discute di povertà si scopre che negli anni è leggermente diminuita la quota delle famiglie italiane indigenti, mentre è cresciuta quella dei nuclei di origine straniera. Il 35 per cento degli immigrati con moglie e figli vive in quella che in base al reddito è classificata come povertà assoluta. Dunque è difficile che questa quota di popolazione possa in futuro pagare la pensione ad altri. Più probabile che prima o poi chieda che qualcuno gliela paghi e a questo punto dovrà pensarci lo Stato. Dimenticavo: mentre è abbastanza improbabile che i salari bassi di lavoratori extracomunitari possano rifinanziare le casse dell’Inps (già malmesse per le troppe prestazioni non sorrette da contributi: Alberto Brambilla di Itinerari previdenziali calcolò che oltre quattro milioni di pensionati riceve un assegno che non ha maturato), è invece certo che gran parte degli immigrati beneficia di servizi sociali a carico della fiscalità generale. Che vuol dire? Che l’assistenza sanitaria, quella scolastica e tutti gli altri servizi che lo Stato eroga a favore dei cittadini sono sorretti dalle tasse. Ma chi guadagna poco è praticamente esente da ogni imposizione fiscale e dunque il peso di pensioni, cure ed educazione resta a carico di circa 11 milioni di contribuenti che le imposte le versano regolarmente ogni mese. Sono loro a pagare, altro che gli immigrati.
Salvatore Priola, presbitero della chiesa di Palermo dal 1996, ha insegnato antropologia filosofica e antropologia della religione alla pontificia facoltà teologica di Sicilia, e per le edizioni Pozzo di Giacobbe ha pubblicato un libro molto potente intitolato La consegna, una profonda riflessione sul ruolo dei cristiani nella vita pubblica.
Il suo saggio sembra prendere le mosse da una affermazione di Divo Barsotti che dice in sostanza: sembra che i cristiani si vergognino di rendere testimonianza della loro fede.
«Don Divo lo diceva già un po’ di anni fa, da un po’ di tempo ci metteva in guardia dal rischio di vivere un cristianesimo talmente anonimo da non essere più nemmeno percepito, nemmeno più colto in nessuna delle sue espressioni. Nelle sue forme non tanto religiose - questo in molte parti d’Italia e in giro per l’Europa ancora è possibile - quanto culturali. Quell’avvertimento dato da don Divo a me oggi pare molto attuale».
Più che un rischio è una certezza. Certe posizioni oggi appaiono insostenibili, indicibili.
«Oggi sembra quasi che nell’agorà culturale chi si presenta con l’etichetta di cristiano, cattolico in modo particolare, abbia una sorta di aggravio in partenza nel farsi accettare per ciò che esprime, per quello che sostiene, per il pensiero che vuole portare quale contributo al dialogo sul piano sociale, culturale, civile. Insomma, c’è una sorta di aggravio in partenza per potersi accreditare al pari di tutte le altre voci».
Nei mesi scorsi abbiamo parlato molto di Charlie Kirk, uno che certo non si vergognava delle sue idee. Eppure oggi se un politico italiano parlasse come lui avrebbe probabilmente molte difficoltà persino in ambito conservatore.
«Sì, penso che questo sia vero, ma la fatica la fa anche oggi la Chiesa quando si tratta di uscire un pochino più allo scoperto e dare forza a quelle figure coraggiose che giustamente richiedono legittimo spazio per poter portare il proprio contributo di idee, che poi sono idee maturate alla scuola del Vangelo, maturate nell’orizzonte di fede. Io credo che da Kirk, qualcosa da imparare l’abbiamo: nel metodo e nel merito. Quantomeno il coraggio di osare, di varcare certe soglie, di attraversare certe porte, che anche nel recente passato sono state chiuse. Voglio ricordare quello che capitò persino al grande pontefice Benedetto XVI, all’Università La Sapienza di Roma, e si trattava giusto della punta dell’iceberg. Situazioni del genere oggi se ne registrano un po’ dovunque. Ecco: osare, andare oltre il proprio giardino per provare a intavolare una discussione, un confronto nel cortile di qualcun altro credo ci aiuterebbe a crescere, a migliorare, a mettere a fuoco nuovi orizzonti».
La sensazione è che la Chiesa oggi venga accettata quando si comporta da grande associazione umanitaria. Ma appena c’è la fede di mezzo sorgono i problemi.
«Se la Chiesa si esprime dal punto di vista sociale, umanitario, è chiaro che trova un terreno più semplice, più disponibilità. Nel momento in cui la Chiesa assolve pienamente alla sua missione, che è quella di annunciare il Vangelo, di testimoniare Gesù Cristo, di offrire il bene della salvezza a ogni uomo e ogni donna che intercetta nel percorso della propria missione, lì cominciano a sorgere le difficoltà, le obiezioni, le ostilità, le inimicizie. E si ripresentano sotto nuove vesti, a volte anche molto subdole, forme di persecuzione, di rifiuto e di pregiudizi che vogliono silenziarla e metterla da parte. La Chiesa, io credo, oggi deve avere la capacità e il coraggio non solo di conservare la fede ma di fare la differenza, senza paure, senza tentennamenti, anche a costo di rischiare qualcosa».
C’è forse chi pensa che adeguarsi un po’ all’onda mediatica e culturale prevalente - in sostanza stare un po’ di più in sintonia col mondo - possa pagare.
«Beh sì, questo probabilmente ha un ritorno. Ma sono quelle forme di ritorno in linea con la logica del mondo, che oggi paga e domani non paga. Oggi c’è una linea, c’è un vento che ti gonfia le vele, domani quel vento finisce. Le vele della barca della Chiesa, per usare un’immagine molto antica e sempre attuale, le gonfia lo spirito di Dio, non le gonfiano le correnti ideologiche, di pensiero, culturali e i fattori sociali che possono in questo momento offrire un ritorno e un credito. Le vele della Chiesa le gonfia lo spirito di Dio e la Chiesa deve restare in ascolto dello spirito per restare fedele a Cristo e al Vangelo, perché è l’unica fedeltà che gli è richiesta dentro le pieghe della storia di questo mondo. Gesù ai suoi ha detto chiaramente che sarebbero stati nel mondo ma non del mondo e questa preposizione articolata ogni tanto bisogna distinguerla più chiaramente, perché a far confusione ci vuole poco»
Nel libro lei sostiene che ci vorrebbe un wokismo cristiano. Che cosa intende? Il termine wokismo non evoca belle sensazioni...
«È il titolo di un paragrafo che ho voluto chiamare così provocatoriamente. Parlo di un wokismo delle famiglie cristiane in realtà. Questa è la spinta che mi piacerebbe dare alle famiglie che ancora si definiscono cristiane cattoliche: la spinta a svegliarsi, nel senso proprio del termine, e a riappropriarsi del loro ruolo pedagogico, educativo, culturale, formativo, prendendo in mano la vita della famiglia e dei figli in modo particolare, perché non finiscano nelle mani di chi li vorrebbe invece “svegliati” ma in un modo totalmente inaccettabile per noi cristiani. Usare quel termine per me è stato risignificarlo in ambito e in chiave cristiana: bisogna risvegliarsi per riappropriarsi di quelle che sono le specificità della formazione cristiana che le famiglie devono dare ai propri figli. Senza delegarle e lasciarle nelle mani di chi poi interviene a modificare persino le radici culturali delle persone».
Sa che oggi questo tema è molto dibattuto. Si parla di educazione sentimentale nelle scuole, e poi c’è stato il caso della famiglia del bosco.
«Dobbiamo stare molto attenti. Esistono casi di famiglie inadeguate - pericolosamente inadeguate - a garantire i diritti dei minori e quindi la sicurezza, la salute, l’istruzione, la formazione, la cronaca ce lo testimonia in tante circostanze. Tuttavia io sono dell’idea che nessuno abbia il diritto di prevaricare le scelte che ogni famiglia fa nel formarsi dal punto di vista sociale, civile, culturale. E su questo nessuna delega, secondo me, va data ad alcuno in maniera cieca. Per questo motivo io sottolineo l’importanza del fatto che le famiglie svolgano appieno il loro ruolo educativo. Se si delega questo ruolo ad altri, il rischio è che intervengano con pregiudiziali ideologiche e orientino le nuove generazioni in una direzione altra, a volte addirittura opposta, a quella che sta alla matrice della genesi della famiglia stessa. Per cui, o che sia cristiana, che sia musulmana, che sia atea, agnostica, quale che siano le ragioni che hanno visto nascere una famiglia, io credo che quella famiglia abbia il diritto di educare e formare i figli secondo le ragioni che l’hanno fatta venire alla luce. È chiaro che poi ci vuole una vigilanza da parte delle istituzioni laddove si riscontrino oggettivi elementi che possono compromettere l’equilibrio soprattutto dei minori».
Oggi però le influenze esterne sono tante e forti. Si comincia ad accanirsi con la famiglia nel bosco, poi magari si passa ad altri anche apparentemente meno strambi.
«A volte il passaggio è molto semplice da fare. Laddove la valutazione, il giudizio è pregiudicato da visioni ideologiche, è chiaro che tutto quello che non si confà al modo di vedere o di sentire della maggioranza rischia di diventare tra strano, anomalo, inaccettabile. Il pericolo è che l’omologazione allo stile della maggioranza finisca per mortificare le specificità, le caratteristiche che sono proprie di chi magari ha un altro progetto di vita. Differente, forse, ma non per questo di per sé negativo».
Nel suo libro lei parla spesso di combattimento. A che si riferisce?
«Tutta la prima parte è dedicata al combattimento. Come mi premuro di chiarire, il combattimento non è mai contro gli altri ma è sempre in sé stessi. Noi siamo chiamati a fare guerra al nemico peggiore che abbiamo nella nostra vita, che è il nostro ego autoreferenziale, autocentrato, superbo, arrogante, che rischia di condizionare tutto e tutti. Dobbiamo tornare a padroneggiare le nostre esistenze. Cristianamente noi diciamo che è la Signoria di Cristo, la Regalità di Cristo che deve aiutarci, sostenerci, guidarci, illuminarci nell’essere padroni di noi stesso, nel dominarci. Il combattimento spirituale mira a riappropriarsi della propria autentica libertà di figlio di Dio. Per questo bisogna battagliare contro tutto ciò che in un modo o nell’altro ti vuole incatenare a un vizio, una debolezza. Contro tutto quello che ti vuole fare arrendere, alzare bandiera bianca di fronte alle fragilità che sperimenti nel cammino della tua vita. Per dire che la vita cristiana non è una passeggiata al Luna Park per nessuno, né per il Papa, né per i Vescovi, né per un prete come me, né per un laico. Gesù lo ha detto: la vita cristiana è combattimento, chi vuol venire dietro a me, dice Cristo, rinneghi sé stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Questa è vita cristiana».

