Come anticipato, procediamo oggi alla pubblicazione di un video inerente la nostra nuova inchiesta sulla gestione del sistema politico e giudiziario macedone. Nella documentazione esistente presso la procura per la lotta al crimine di Skopje si ritrovano stralci di intercettazioni dalle quali si dedurrebbe come l'ex premier Zoran Zaev insieme a suo fratello Vice Zaev, parlando apertamente al telefono, avrebbero gestito una rete di scambi elettorali basata sul ricatto rivolta ad acquisire voti, in special modo quelli dei Rom residenti nella città di Strumica.
I fascicoli esaminati descrivono uno scenario nel quale l'allora leader del partito socialista e sindaco di Strumica, denunciato per frode elettorale, si sarebbe servito di modalità illecite per venire eletto in Parlamento e successivamente nominato primo ministro. A coloro che decidevano di collaborare venivano pagati, per ogni singolo voto, tra i dieci e i venticinque euro presso due uffici cambiavalute gestiti da colleghi di Vice Zaev. Uno dei due uffici, il Daskal, era di proprietà di Marjan Daskalovski anche egli eletto con Zaev al Parlamento nazionale e capo, all'epoca dei fatti, della sezione locale del partito socialista.
Qualora il denaro non fosse sufficiente a convincere i cittadini si arrivava anche a promettere la consegna di materiale edile per la costruzione di case o il collegamento delle abitazioni all'infrastruttura comunale. L'uomo che riusciva a garantire il tempestivo attacco o distacco dei servizi pubblici, nonché il controllo dei dipendenti comunali sarebbe da rinvenirsi nel direttore della municipalizzata di Strumica, Zoran Georgjev. Egli , servendosi dei mezzi a propria disposizione, avrebbe minacciato o punito coloro che esitavano a collaborare e premiato, ovviamente, gli altri. In Macedonia Georgjev è conosciuto per il fatto d'essere stato il capo di tutte le campagne elettorali di Zoran Zaev e per essere il consorte della giudice della procura di Strumica Loreta Georgjeva, divenuta durante il periodo del governo di Zaev componente del Consiglio statale della magistratura, cioè di quell'istituto che ha il compito di controllare il lavoro e i risultati delle procure macedoni.
Le anticipazioni pubblicate ieri dalla Verità hanno provocato l'immediata reazione dell'ex premier Zaev e della procuratrice capo per il crimine organizzato e la corruzione Vilma Ruskovska. Entrambi hanno confermato l'autenticità della documentazione in nostro possesso negando tuttavia che ci si trovi in presenza di illeciti. La giudice Ruskovska, interpellata dalle televisioni macedoni, ha dichiarato esplicitamente di non aver proceduto ad imbastire un processo per l'assenza di reato, ma non ha spiegato per quale motivo allora il caso non sia stato ufficialmente archiviato.
Il cospicuo materiale a disposizione delle istituzioni giudiziarie macedoni fornisce la fotografia di una realtà che va ben oltre le normali lecite attività politiche.
In diversi passaggi delle intercettazioni ci sono anche dialoghi di Vice Zaev dai quali si evincerebbe che egli era in grado di controllare da vicino il comportamento di intere famiglie. In diversi colloqui il fratello del futuro premier chiede delucidazioni ai suoi interlocutori sugli atteggiamenti poco favorevoli al partito socialista di mogli e figli oppure si duole del fatto che essi partecipino a riunioni elettorali di partiti avversi. Conseguentemente, esisterebbero registrazioni audio nelle quali Zaev, informato del voto contrario al partito socialista, avrebbe chiesto l'immediato licenziamento di tutta una famiglia, di una babysitter, di un autista oppure il distacco dall'elettricità ad un determinato nucleo famigliare da effettuarsi attraverso la locale società elettrica, di proprietà dell'austriaca EVN.
Sempre dai medesimi fascicoli si evincerebbe che l'intero sistema di compravendita dei voti si reggeva sul costante ricatto delle persone, nello specifico di parte dei cittadini di Strumica. La presunta associazione a delinquere sarebbe stata favorita nel conseguimento dei propri fini dalla capacità di garantire in tempi inconsuetamente brevi per la burocrazia macedone l'emissione di carte d'identità in modo da consentire agli elettori di recarsi ai seggi regolarmente.
Su tutto ciò ovviamente incombe un nuovo appuntamento elettorale. Vedremo se la procura macedone riterrà opportuno procedere ad ulteriori approfondimento e soprattutto come si muoveranno le istituzioni politiche.
Ieri mattina, dopo essermi sottoposto alla quotidiana pratica della lettura dei giornali, mi sono rivolto una domanda: ma la Calabria è ancora Italia? Chiedo scusa agli amici calabresi (ne conto e ne frequento parecchi) per la mia provocazione, ma sfogliando le principali testate il quesito mi è venuto spontaneo. Già, perché la maggior parte della stampa apriva a tutta pagina con le tangenti di Milano, raccontando per filo e per segno gli imbrogli scoperti dalla magistratura e gli arresti eseguiti dalle forze dell'ordine. Il Corriere della Sera, che titolava con un «Lombardia, tangenti e arresti», in prima metteva anche la notizia dell'indagine a carico del governatore Attilio Fontana per abuso d'ufficio che, come è noto, è un reato al quale credo non sia sfuggito mai nessun amministratore, al punto che perfino Romano Prodi, uno dei santini della patria, nel passato fu inseguito con tale accusa. All'interno seguivano ben quattro pagine dedicate all'argomento con commento, intercettazioni, ritratti degli indagati e perfino una mappa per capire la distanza della sede della Regione dal ristorante in cui si davano appuntamento gli accusati quando dovevano scambiarsi i soldi. Sulla Stampa le pagine dedicate all'argomento erano un paio, ma invece del ristorante si evocavano i privé dei night.
Il meglio però lo ha dato Il Messaggero, quotidiano della Capitale che, forse per pareggiare i conti con il capoluogo lombardo, ieri se n'è uscito con il seguente titolo: «Tangenti e mafia, metodo Milano». Per non farsi mancare nulla, il titolista ha aggiunto nel sommario la parola 'ndrangheta, così il malaffare evocato era al completo. A Repubblica, al contrario, hanno preferito fare il titolone su «Il giorno del giudizio», unendo il caso Siri - dal nome del sottosegretario leghista - a quello di Milano. «Mafia e tangenti, arrestati big di Forza Italia. I pm indagano su Fontana»; segue un commento di Sergio Rizzo dallo strillo invogliante: «Il Paese unito dalla corruzione», dove si parla di Milano e di Palermo, ma non di Catanzaro.
Vi domandate perché io insista tanto con la Calabria? Rispondo subito. Lunedì la Procura del capoluogo meridionale ha spedito 20 avvisi di chiusura delle indagini ad altrettanti politici e imprenditori, accusandoli tra l'altro di corruzione per aver addomesticato appalti, affidandoli a imprenditori amici, e di nomine pilotate. Nel mirino dei pm è finito il governatore Mario Oliverio, uomo del Pd, ma anche l'ex consigliere regionale Nicola Adamo, e il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, quest'ultimo di Forza Italia. L'inchiesta dei magistrati ha al centro molti episodi che riguardano la costruzione di una metropolitana leggera e del nuovo ospedale di Cosenza. E tuttavia, per leggere i fatti che riguardano la Calabria e la giunta di sinistra che la governa ieri avreste dovuto armarvi di una lente d'ingrandimento, perché trovare la notizia sulle pagine dei giornali non era facile. Certo né sul Corriere, né sulla Stampa, ma neppure sul Messaggero e sulla Repubblica i fatti calabresi erano raccontati in prima pagina. E dire che il governatore Oliverio non è indagato per abuso d'ufficio, ma secondo le agenzie di stampa per «corruzione» e l'inchiesta non sarebbe alle prime battute, ma sempre secondo quanto riferito dai dispacci dell'Ansa il procuratore Nicola Gratteri, un castigamatti di 'ndranghetisti e politici, avrebbe già disposto la chiusura indagini, ritenendo dunque di avere elementi sufficienti per provare l'accusa.
Ebbene, nonostante si stia parlando del presidente di una Regione italiana, i fatti sono tratti alla stessa stregua di cose accadute in Azerbaigian. Sul Corriere le indagini sono confinate a pagina 8, in un taglio basso in cui si parla anche di arresti a Palermo e di condanne in Sardegna. Sulla Stampa compare un microscopico colonnino, in tutto 32 righe. Stesso trattamento sul Messaggero, quello del «metodo Milano», mentre su Repubblica il box si allarga su due colonne, ma le righe scendono a 29. Risultato, chi voleva capire che cosa sia successo in Calabria, le intercettazioni, i ritratti dei protagonisti, i luoghi in cui si davano appuntamento, ha dovuto tenersi la curiosità, perché l'attenzione e i commenti dei colleghi dei giornaloni erano tutti riservati a Milano, che così ha strappato ai calabresi anche il primato della notizia.
Già, perché la corruzione non è tutta uguale: c'è quella milanese che pesa di più e quella di Catanzaro che è leggera come una piuma. Nessuno ovviamente vuole difendere chi in Lombardia si sia macchiato di reati, magari riempiendosi le tasche. Ma la corruzione a due velocità stupisce. Due tangenti e due misure: 30 righe per Reggio Calabria, lenzuolate e un fiume di inchiostro per Milano. E poi dicono che l'uso politico della giustizia è un'invenzione dei giornali. Hanno ragione: è la stampa a decidere a quale scandalo dare la prima pagina.
P.s.: Come i lettori sanno, lunedì la Corte d'Appello di Cagliari ha condannato per peculato Francesca Barracciu a 3 anni e 3 mesi. L'ex eurodeputata del Pd ed ex sottosegretaria nel governo Renzi è stata riconosciuta colpevole per i rimborsi spese farlocchi di quand'era consigliera regionale. La Verità la notizia l'ha messa in prima pagina, su Repubblica, La Stampa e Il Messaggero non siamo riusciti a rintracciarla, mentre il Corriere l'ha insaccata nel pezzo calabrese, senza titolo: poche righe in cronaca. È il giornalismo, bellezza. Quello indipendente. Dai miei stivali.
Tangenti, malavita e appalti pilotati. Il triangolo della morte è iscritto in un cerchio in cui si muovono amministratori pubblici, politici e faccendieri secondo «uno schema feudale» da cui derivano benefici e «investiture». Milano, la grande retata: 16 ai domiciliari, 12 in carcere, 12 con obbligo di firma, 3 con obbligo di dimora per un totale di 43 misure cautelari su 95 indagati. Trenta capi d'imputazione tra cui associazione per delinquere aggravata dall'aver favorito un'associazione di tipo mafioso, corruzione, finanziamento illecito ai partiti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, false fatturazioni per operazioni inesistenti, auto riciclaggio e abuso d'ufficio. Gli appalti manipolati sono due: il primo è il servizio di pulizia dalla neve del Comune di Milano e comuni limitrofi per il quinquennio 2017-2021, un «appalto grosso a cui hanno partecipato molte aziende», ha spiegato il pm della Dda milanese Adriano Scudieri. E finito nelle fauci di una ventina di società che «sono riuscite a spartirsi i lotti». Il secondo è il bando per il teleriscaldamento dell'A2a.
Un accordo «fallito» perché - spiega ancora Scudieri - uno degli imprenditori si è tirato indietro e «ognuno è andato per i fatti propri». Storie di ordinario malaffare se non fosse per i nomi di chi è stato risucchiato nel vortice dell'indagine della Dda milanese. Il gip Raffaella Mascarino ha infatti disposto l'arresto del consigliere comunale di Milano Pietro Tatarella, candidato di FI alle Europee, del sottosegretario azzurro della Regione Lombardia Fabio Altitonante, e del consigliere regionale azzurro Angelo Palumbo.
Mentre una richiesta di autorizzazione è stata inviata alla Camera dei deputati per l'arresto per finanziamento illecito del parlamentare di Forza Italia Diego Sozzari.
Dalle carte, spunta anche il nome del governatore lombardo Attilio Fontana. In un caso, il presidente leghista della Regione è vittima di un episodio di «istigazione alla corruzione» ad opera dell'ex coordinatore provinciale di Forza Italia a Varese, Gioacchino Caianiello, e del dg dell'ente Afol Metropolitana, Giuseppe Zingale. I due avrebbero proposto nell'aprile 2018 al governatore «consulenze onerose in favore dell'avv. Luca Marsico, socio dello studio professionale» del politico leghista in cambio della nomina, non avvenuta, di Zingale alla «direzione generale Istruzione Lavoro e Formazione della Regione». Fontana, che non avrebbe denunciato l'episodio, non risulta indagato ed è considerato parte offesa. In un'altra circostanza, invece, il ruolo di Fontana è più sfumato, come ha spiegato il procuratore di Milano Francesco Greco. «Stiamo valutando la sua posizione», ha detto il capo degli inquirenti, anche perché proprio Marsico «ha ottenuto un incarico in Regione» e «stiamo verificando se questa procedura di gara è regolare». Nei prossimi giorni, Fontana sarà sentito dai magistrati. Resta agli atti anche una intercettazione in cui il presidente della Regione manifesta «stima» nei confronti dell'ex dirigente azzurro Caianiello. Nella telefonata il governatore dice: «Hai visto che i tuoi consigli li ho seguiti quasi tutti».
Caianiello è personaggio centrale nella ricostruzione accusatoria dei pm. Tant'è che compare anche in relazione alla nomina «pilotata» di Davide Borsani come dirigente della società a totale partecipazione pubblica Alfa di Varese. Rispetto alla quale, il politico forzista avrebbe «reso edotto», scrive il giudice, anche il «coordinatore provinciale della Lega Matteo Bianchi». Caianiello, già condannato definitivamente nel 2017 a 3 anni per concussione e intenzionato a scappare in Islanda per evitare l'arresto, secondo il gip, sarebbe al «centro di un potentissimo network di conoscenze, interessi, legami che avvincono il potere legale a quello illegale, l'economia alla politica».
Uomo spregiudicato che il deputato Sozzani aveva soprannominato non a caso «Jurassic Park», «chiaramente alludendo al comportamento predatorio» di lui.
Nella voluminosa ordinanza di custodia cautelare, il gip sottolinea anche presunti «finanziamenti illeciti a Fratelli d'Italia» in occasione della «campagna 2018» per le «consultazioni politiche e regionali» per 10.000 euro. Soldi elargiti dall'imprenditore Daniele D'Alfonso che, con la sua Ecol-Service, avrebbe dato lavoro agli uomini della famiglia calabrese dei Molluso di Buccinasco legata alla 'ndrangheta.
E sarebbe stato sempre lui a offrire a Tatarella uno «stipendio» di 5.000 euro al mese e l'uso di una carta di credito American Express con possibilità di anticipo contanti in cambio delle sue entrature politiche. «Pietro... ma che cazzo prelevi! Come un toro prelevi!», lo sentono lamentarsi con lui dopo l'ennesimo giro al bancomat, gli investigatori.
È ancora lui a pagare «uno dei più importanti dirigenti dell'Amsa», l'azienda milanese per i servizi ambientali, Mauro De Cillis, finito in manette.
A Milano, il quartier generale degli incontri per lo scambio di mazzette era un ristorante di lusso del centro, «Da Berti», nel quartiere Isola, soprannominato ironicamente nelle intercettazioni «la mensa dei poveri».







