Ospite della nuova puntata del talk condotto da Daniele Capezzone negli studi Utopia, il vicepresidente del Movimento 5 stelle Michele Gubitosa.
Il vicepresidente grillino Michele Gubitosa scrive alla «Verità», difendendo il sussidio con dati assurdi. Non ha creato un milione di posti, ma 280.000. Ed è costato 35 miliardi più del previsto.
Gentile onorevole, la ringrazio della sua cortese lettera, che mi dà l’occasione di fare un po’ di chiarezza sui numeri che riguardano il cosiddetto superbonus, sui quali continua a girare troppa fuffa. Cominciamo con il dire che sulle cifre bisogna intendersi e, soprattutto, bisogna verificare le fonti. Lei sostiene che l’effetto della misura voluta dei 5 Stelle a favore del settore edilizio avrebbe generato «quasi un milione di posti di lavoro in più».
Beh, non so chi abbia sostenuto una simile assurdità, sta di fatto che è sufficiente leggere la nota congiunta redatta nel gennaio scorso dal ministero del Lavoro, dalla Banca d’Italia e dall’Anpal (Agenzia nazionale delle politiche del lavoro) per scoprire – cito testualmente - che gli interventi per la riqualificazione degli edifici «hanno creato negli ultimi tre anni quasi 280.000 posti di lavoro (oltre un quarto del totale), a fronte dei 70.000 del biennio precedente». Rispetto al milione, mancano 720.000 posti di lavoro: non noccioline. Del resto, non ho parlato a caso di assurdità.
Secondo l’Osservatorio congiunturale sull’Industria delle costruzione, centro studi dell’Ance, gli occupati del settore nel 2021 erano in totale un milione 431.000, in crescita del 7,7% rispetto all’anno precedente, quello per intenderci in cui il superbonus è stato varato. Nel 2022, l’aumento dell’occupazione è stato del 10,2%: infatti, il numero di lavoratori edili alla fine del primo semestre risultava di un milione 554.000, 123.000 in più rispetto all’anno precedente. Sommando i dati dello scorso anno con il biennio 2020-2021, si arriva dunque a quota 280.000, che è lontana anni luce da quella da lei fornita.
Questo significa che il superbonus non ha creato occupazione? No, ci sono state nuove assunzioni, ma tre quarti in meno di quanto da lei sostenuto. Del resto, se davvero fossero stati un milione i posti creati, i dipendenti del settore sarebbero stati quasi raddoppiati e non risulta da nessuna parte, non certo all’Istat.
Veniamo ora agli effetti sull’economia reale, ossia sul Pil. Si continua a dire che il superbonus ha generato una crescita del 6,7% del prodotto interno lordo. In termini reali, visto che il Pil annuale sfiora i 1.800 miliardi, l’incentivo voluto dal Movimento 5 stelle dovrebbe aver creato un fatturato aggiuntivo di 120 miliardi. Peccato che, a leggere i rapporti dell’Istat, il comparto delle costruzioni valga annualmente più o meno quella cifra. Se fosse vero ciò che lei e suoi colleghi grillini sostenete, il settore nel 2022 avrebbe dovuto valere 240-250 miliardi, ovvero un settimo di tutto il Pil, ma anche questa è una percentuale di fantasia. Del resto, la stessa Ance, nel rapporto che citavo prima, sostiene che il contributo degli investimenti nelle costruzioni rappresenta l’1,8% della crescita registrata nel 2021. Tanto? Certamente, ma nulla in confronto alle cifre che lei fornisce.
Lei penserà: anche se di gran lunga inferiori a quelli da me rappresentati, i dati testimoniano che il superbonus è stato utile, perché ha fatto aumentare l’occupazione di 280.000 unità e il Pil dell’1,8%. Vero, ma solo in parte. Infatti, basta leggere la relazione al Parlamento di Giacomo Ricotti, capo del servizio fiscale della Banca d’Italia, per rendersi conto che, forse, tutti quei soldi regalati dallo Stato a spese dei contribuenti non servivano. Martedì scorso, in commissione Finanze e Tesoro del Senato, il funzionario di Palazzo Koch ha spiegato che solo la metà dei lavori che hanno beneficiato del superbonus non si sarebbero verificati in assenza dell’incentivo. Dunque, circa il 50% di quelle spese finanziate con soldi pubblici si sarebbero verificate ugualmente e, ne deduco io, anche la metà delle assunzioni e la metà del Pil. Tradotto, significa che i benefici si riducono a 140.000 assunzioni e lo 0,9 in più del Pil. Davvero poca cosa per una cifra monstre come quella che è stata spesa.
Lei insiste a parlare di generici vantaggi, dicendo che agli italiani gli incentivi costerebbero pochi euro al mese, a fronte di enormi benefici sulla bolletta. Forse sarà il caso di leggere ciò che ha scritto Pagella politica, sito indipendente di fact checking che ha voluto verificare le affermazioni del presidente del Consiglio sui costi a carico di ogni singolo cittadino. «Il dato citato da Meloni è corretto. In totale, il costo per lo Stato del superbonus 110 per cento, del cosiddetto bonus facciate e di altri bonus edilizi è stato stimato finora in 120 miliardi (più cioè di quanto costa l’intero settore dell’Istruzione e più o meno equivalente al bilancio della Sanità, ndr). Se si prende questa cifra e la si divide per i circa 59 milioni di abitanti residenti in Italia al 1° gennaio 2022, si ottengono 2.033 euro a cittadino, ossia i 2.000 euro a cui ha fatto riferimento Meloni». Lei è ancora convinto che le ristrutturazioni siano gratuite come diceva in campagna elettorale il suo leader Giuseppe Conte?
Allora le cito di nuovo Ricotti, durante l’audizione di cui scrivevo prima: «Anche tenendo conto delle imposte e dei contributi sociali versati a fronte delle attività del settore, gli oneri della misura per il bilancio pubblico restano comunque ingenti». Ingenti, ha capito? Vuole sapere i costi? Secondo Pagella politica, gli oneri a carico dello Stato sono stati pari a 72 miliardi di euro, oltre 35 miliardi in più del previsto. Non si fida? E allora senta che cosa ha detto Giovanni Spalletta, direttore generale delle Finanze del ministero dell’Economia, in audizione in Senato: «Per gli anni 2023-2026 i maggiori oneri hanno determinato un peggioramento della previsione delle imposte dirette per importi compresi tra gli 8 e i 10 miliardi di euro in ciascun anno». In quattro anni sfioriamo, dunque, i 40 miliardi.
Infine, lei si dichiara convinto dei risparmi che i lavori di ristrutturazione porteranno sulla bolletta. Beh, in un altro rapporto di via Nazionale dal titolo «Costi e benefici della transizione green» si legge; «Le nostre analisi suggeriscono però che se valutato solo sotto l’aspetto ambientale, lo strumento andrebbe considerato poco efficiente». Vale a dire che le emissioni, e dunque i consumi, cambierebbero di poco. Altro che bugie, questi sono i numeri e non sono fantasie delle (cinque) stelle.
Ps. Una sola domanda: ma se il superbonus ha creato un milione di posti di lavoro, perché abolirlo fa perdere il lavoro a 130.000 persone? La curiosità è legittima, in quanto, guarda caso, 130.000 è proprio il numero di dipendenti in più registrati nel 2022. Ah, dimenticavo: se si dividono i 35 miliardi di costi non previsti per il numero di assunti, si arriva a 270.000 euro a testa. Mica male come idea per creare occupazione. Soprattutto poco costosa. Speriamo che a Conte e lei non vengano altre brillanti soluzioni come questa.
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Michele Gubitosa (Imagoeconomica)
La lettera del vicepresidente del Movimento cinque stelle: «Caro direttore, la ringrazio per aver dedicato il suo editoriale del 21 febbraio al nostro confronto, mi permetta però di puntualizzare alcuni elementi che possono arricchire il dibattito di questi giorni».
Quando parliamo di superbonus non dobbiamo dimenticare che, sino al varo di questo provvedimento, l’Italia era fanalino di coda nel settore delle costruzioni, motivo per cui aver, poi, raggiunto la palma della «locomotiva d’Europa» (come scrisse il Sole citando il Rapporto Eurocostruct) è sicuramente un vanto di cui si possono fregiare tanto il M5s quanto il Paese intero. Una misura nata, tra le altre cose, in un periodo in cui il Paese si rimboccava le maniche per uscire dal pantano della crisi pandemica. L’effetto del superbonus su Pil e occupazione italiana è, infatti, certificato da più fonti: Ance, Cresme e Centro studi di Confindustria su tutti - non certo Radio Movimento. Nomisma parla di quasi un milione di occupati in più e di un valore generato di 195,2 miliardi di euro a fronte di investimenti per 60,5 miliardi. Il Censis, dal canto suo, ricorda che il gettito fiscale è di 42,8 miliardi - circa il 70% del valore delle detrazioni a carico dello Stato Non è Michele Gubitosa, bensì i numeri a dimostrare a tutti noi che il fantomatico buco di bilancio, di cui hanno parlato a sproposito il ministro Giorgetti e la presidente Meloni, semplicemente non esiste. La premier ha provato anche a dire che il superbonus costa ai cittadini 2.000 euro a persona: un’altra mistificazione. Il costo reale per lo Stato è di 26,5 miliardi, 5,3 miliardi annui, per un costo medio annuo di 88 euro per ciascun cittadino, ovvero 7 euro al mese. E questo a fronte di 964 euro di risparmio annuo medio in bolletta per ogni beneficiario.
Quello che, però, segna il valore aggiunto di questa misura, applaudita anche dalla Commissione europea in più occasioni, è il risparmio di 1.4 milioni di tonnellate di CO2: detto altrimenti, al risparmio si unisce la tutela dell’ambiente. Le bugie sul superbonus, insomma, sono tante. Qualcuno, non da ultimo, sta provando a dipingerlo come una fucina di frodi miliardarie ma la Gdf parla di 166 milioni, appena lo 0,3% delle detrazioni maturate. Si racconta che fosse un provvedimento solo per ricchi, ma Nomisma ha stimato l’accesso di 1,7 milioni di beneficiari con redditi sotto i 2.000 euro mensili.
Direttore, concludo ringraziandola e richiamando noi tutti ad uno sforzo di onestà intellettuale: il governo ha preferito rinunciare a tutto questo per stroncare la misura di un’altra forza politica. Un calcolo politico miope. Uno sgambetto, soprattutto, che mina un asset strategico del sistema-Italia e che precipita nel burrone del fallimento 40.000 aziende e 130.000 lavoratori. Ed è soprattutto a loro che il governo dovrà spiegazioni.
Vicepresidente M5s
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Michele Gubitosa (Imagoeconomica)
Michele Gubitosa è un parlamentare dei 5 stelle con un passato, non so se un presente, da imprenditore. Nel Movimento, insieme ad altri quattro tra cui Paola Taverna, ricopre anche la carica di vicepresidente; dunque, è uno dei petali che fa da corona a Giuseppe Conte. È forse per questo, per la sua vicinanza all’ex avvocato del popolo, che viene spesso invitato in tv a parlare dei problemi che più stanno a cuore ai grillini, ovvero il reddito di cittadinanza e i bonus edilizi. Domenica sera mi è capitato di incrociarlo in una trasmissione televisiva, dove si discuteva della cessione del credito. Gubitosa è arrivato preparato, con stampati nella mente i dati forniti dall’Associazione nazionale costruttori a proposito dello stop decretato dal governo Meloni agli incentivi.
Dunque, ha snocciolato una serie di cifre, il succo delle quali è il seguente. Altro che buco nei conti dello Stato, come vogliono far credere Giorgia Meloni e la sua corte: lo sconto in fattura e la cessione dei crediti hanno fatto lievitare il Pil del 7 per cento, prodotto un ritorno di 50 miliardi per le casse pubbliche e creato un milione di posti di lavoro. In pratica, secondo Gubitosa il bonus è stato meglio del miracolo economico. La qual cosa non mi stupisce. Non voglio dire che i costruttori abbiano fornito dati farlocchi, ma se vai dal salumiere e gli chiedi se il suo prosciutto è buono, sarà difficile che quello ti risponda che non vale niente. Dunque, l’Ance che doveva dire oltre a sostenere che il 110 per cento e la cessione dei crediti fiscali erano un successo? Se però si tralasciano le analisi di parte, si scopre che nel 2021 il settore delle costruzioni, quello interessato agli incentivi del governo, ha contribuito con l’1 per cento a quel 6,6 per cento in più di Pil.
Vale a dire che il settore ha aiutato l’economia italiana a crescere, ma non nella misura raccontata da Gubitosa. Del resto, il fatturato delle costruzioni nel 2021 ha toccato quota 87,7 miliardi, circa 15 in più dell’anno precedente, a fronte di una crescita complessiva di 110. Quanto all’occupazione, nel periodo 2020-2022 sicuramente c’è stato un forte impiego di manodopera nel settore delle costruzioni, ma anche in questo caso siamo lontani dalle cifre snocciolate dall’onorevole grillino. Secondo i dati forniti da Banca d’Italia, Mef e Anpal, «negli ultimi tre anni sono stati creati quasi 280.000 posti di lavoro (oltre un quarto del totale) a fronte dei 70.000 del biennio precedente». Dunque, non solo i lavoratori del settore sono in tutto un milione, ma la crescita è pari a un quinto di quanto dichiarato da Gubitosa.
Veniamo ora al ritorno nelle casse dello Stato. Secondo la narrazione grillina, il superbonus non è stato un gigantesco salasso di risorse, ma un vero e proprio affare per lo Stato, perché facendo aumentare il Pil, il Fisco ha portato a casa una montagna di soldi. Purtroppo, neanche questo corrisponde al vero. Non consideriamo la voce dei costruttori, che inevitabilmente ritenevano lo sconto in fattura e la cessione dei crediti fiscali una specie di manna scesa dal cielo. I dati sono del Consiglio e della Fondazione nazionale dei dottori commercialisti. I quali in base all’andamento del 2021, hanno stimato che il costo lordo per lo Stato superava i 22 miliardi, compensati in parte da maggiori entrate per 12 miliardi. Risultato, un buco da dieci miliardi, che secondo il direttore generale delle Finanze, nel 2022 avrebbe raggiunto i 25 miliardi. Altro che beneficio per il bilancio pubblico: il superbonus si è rivelato uno straordinario strumento di trasferimento di denaro, dalle casse dello Stato a quelle dei privati.
Bella? Certo la misura era super bella. Chi ha colto l’occasione al balzo, ha beneficiato di una ristrutturazione della propria abitazione interamente pagata con le tasse degli italiani. Altro che gratuitamente, come ha ripetuto ossessivamente in campagna elettorale Giuseppe Conte. Il superbonus lo hanno pagato i contribuenti, anche quelli che non avevano una casa da migliorare. Che il provvedimento non potesse stare in piedi, del resto lo aveva scritto oltre un anno prima il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, che in un articolo non solo segnalava gli alti costi per lo Stato con un vantaggio per solo l’1 per cento delle abitazioni, ma calcolava che se si fosse voluta estendere la misura all’intero patrimonio edilizio nazionale, non sarebbero stati sufficienti duemila miliardi. In pratica, sarebbe stata necessaria una somma superiore a quella dell’intero Pil dell’Italia.
Queste semplici considerazioni spiegano perché il 110 per cento e la cessione dei crediti non sono stati un buon affare per il Paese, ma solo per coloro che ne hanno usufruito, ovvero per un certo numero di proprietari di case, per la maggior parte delle banche (che infatti nel 2022 hanno registrato i migliori utili di sempre), per tanti operatori finanziari e per molti speculatori e truffatori. Che altro c’è da aggiungere? Speriamo che nella sua impresa, Gubitosa i conti li faccia su un bilancio reale e non su quello di fantasia che propone ai telespettatori.
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MIchele Gubitosa (Ansa)
Il vicepresidente del M5s: «Saremo forti come prima perché più radicati sul territorio. Non temiamo i ricorsi giudiziari. Subito soldi sui conti delle imprese con bollette alte».
Onorevole Michele Gubitosa, lei è uno dei fedelissimi di Giuseppe Conte: da vicepresidente del Movimento 5 stelle, cosa pensa della prospettiva politica che intende dare l’ex premier?
«Il Movimento 5 stelle punta a tornare prima forza politica nel 2023. Conserveremo la spinta innovativa delle origini, ma la assoceremo a competenze e professionalità sempre maggiori».
Lei parla di origini, eppure l’idea fondativa sembra essere sparita: sarebbe meglio definirvi un partito, ormai? La nascita della scuola di formazione del Movimento è l’ennesima prova della vostra metamorfosi.
«In questi anni il punto debole è stato il radicamento sul territorio, insieme allo sviluppo delle competenze specifiche. Il nuovo corso persegue con forza questi obiettivi e la scuola di formazione rappresenta un ulteriore importante tassello in questa direzione».
Giuseppe Conte lavora con l’incubo di Lorenzo Borrè, il legale che cura i ricorsi contro lo statuto e la nuova leadership. Che cosa vi aspettate dal Tribunale di Napoli, chiamato a decidere sulla legittimità dell’elezione del vostro presidente?
«Nessun incubo. Il plebiscito che ha portato per ben due volte alla nomina di Conte come presidente del M5s è nei fatti. Cavilli e scartoffie possono davvero continuare a rallentare questo processo democratico dal basso? Noi andiamo avanti per la nostra strada».
«Le nuove delibere assembleari sono caratterizzate da vizi macroscopici», dice Borrè. Qual è il suo giudizio in merito?
«Non entro nel merito del procedimento, ci hanno già pensato i nostri avvocati. Attendiamo serenamente il responso. I bagni di folla di queste ultime due settimane ci suggeriscono che la strada che abbiamo intrapreso è quella giusta».
Sembra che i gruppi parlamentari, in balìa delle troppe incertezze, stiano manifestando segnali di insofferenza. È così?
«Sono solo ricostruzioni giornalistiche. C’è grande entusiasmo da parte di tutti intorno al nuovo progetto. Se c’è qualcuno che, senza metterci mai la faccia, ha provato a sgambettare Conte, ha subìto un effetto boomerang che forse non si aspettava».
All’appello mancano 2 milioni di euro di restituzioni. Con la prospettiva di non essere rieletti, i parlamentari del Movimento 5 stelle hanno preferito accantonare?
«La questione c’è, inutile nasconderlo. Verrà affrontata presto con grande serenità e rigore».
Lei è in regola con le restituzioni?
«Non solo sono in regola, ma sono anche profondamente orgoglioso di restituire parte del mio stipendio da parlamentare ai cittadini».
Eppure il sito Tirendiconto.it non è più raggiungibile: non esattamente un segnale di trasparenza, non crede?
«Non conosco la situazione relativa al sito, ma so che i parlamentari degli altri partiti non si sono mai tagliati un solo euro del proprio stipendio, anche nei tempi più duri della pandemia. Questa è una certezza che ci differenzia dagli altri e ne vado fiero».
Sul tavolo c’è anche la questione del superamento del doppio mandato, tema su cui una decisione dovrà pur essere presa: che fare?
«Sarà uno dei prossimi passi da compiere insieme ai nostri iscritti».
Lei cosa pensa al riguardo?
«Io sono contrario ai politici di professione».
Visto che parliamo di ortodossia e principi originari, come giudica le ultime uscite di Davide Casaleggio?
«Gianroberto Casaleggio era un genio, Davide è un ottimo manager. I contrasti con il M5s sono avvenuti prima dell’avvento del nuovo corso con Giuseppe Conte».
Perché il nome di Alessandro Di Battista è stato bruciato in occasione degli Stati generali?
«Di Battista è uscito dal Movimento quando abbiamo appoggiato il governo di emergenza nazionale. Non c’entrano niente gli Stati generali. Personalmente, lo stimo molto e mi auguro che possa tornare a darci una mano».
In che ruolo?
«Preferisco non parlare di ruoli. Credo che Alessandro Di Battista possa dare il suo contributo, come tutti noi».
Eppure qualcuno non lo ha voluto, perché?
«Ripeto, non sposo la dietrologia che alimenta determinate tesi. Ad Alessandro dico che se non fossimo entrati in questo governo avrebbero già cancellato il Reddito di cittadinanza, abolito il Superbonus 110% e messo una pietra tombale sul salario minimo. È stato un “sacrificio politico” che sento di rivendicare, anche se oggi ci costa in termini di consenso. Vedremo alla fine della corsa».
Dino Giarrusso attacca sulla presunta parentopoli che coinvolgerebbe il sottosegretario Giancarlo Cancelleri, il cui cognato è stato assunto al Mef, dove è di stanza Laura Castelli, altra big grillina.
«Ci sono vari post sulla pagina Facebook di Giarrusso in cui si invita chi abbandona il Movimento a dimettersi dai propri incarichi. Mi sembra che lui sia rimasto incollato alla poltrona e che continui a percepire lo stipendio da europarlamentare. Mi ricorda un senatore che giurava di abbandonare la politica…».
Nelle ultime uscite di Conte si è registrato un discreto calore, per lo più al Sud: lo zoccolo duro, grazie al Reddito di cittadinanza, resiste?
«Lei definisce “discreto calore” le piazze strapiene ovunque? Io credo che, nonostante il fango che arriva da certa stampa e gli ultimi incidenti di percorso legati alla votazione, il presidente Conte continui a essere il politico più amato dagli italiani. Non c’entra assolutamente nulla il Reddito. Questo è fuor di dubbio».
Pensate di ripartire dal Sud?
«È nostro compito rilanciare l’azione politica, sostenendo, per esempio, gli imprenditori eroi che hanno tenuto la serranda alzata durante la pandemia e che continuano a subire gli effetti nefasti di questa guerra. La mia proposta è di ristorare le imprese che hanno avuto extra-costi energetici direttamente sui conti correnti. Mi auguro che il governo prenda subito questo impegno».
Accantonate le questioni giudiziarie che lo coinvolgono, Beppe Grillo è tornato a orientare le mosse di Conte?
«Fa piacere che un visionario come Beppe Grillo, il garante del M5s, sia in sintonia con il nostro leader. Ma non è corretto dire che orienti le scelte di Conte».
Dopo l’emorragia di voti di questi anni, ritiene che il Movimento 5 stelle possa essere autosufficiente senza il Pd?
«Mi lasci dire che oggi i sondaggi lasciano il tempo che trovano. Sono certo che queste stime saranno completamente ribaltate alle prossime elezioni politiche».
Secondo le rilevazioni dell’Istituto Cattaneo, Pd e Movimento 5 stelle si sono presentati insieme soltanto nel 30% dei Comuni sopra i 15.000 abitanti in cui si è votato ieri. L’idea di campo largo può durare?
«Dipende da cosa si intende per campo largo. Partitini dell’1%, che vivono politicamente solo per attaccare Conte, non servono al campo progressista che stiamo costruendo».
Sulla guerra, le posizioni tra il Pd e il Movimento 5 stelle erano e restano piuttosto lontane. Come gestire altri dossier spinosi, come la giustizia?
«Le differenze ci sono, è inutile negarlo. Ma ci sono anche tanti progetti che possiamo portare avanti insieme. Di certo, non può essere solo un’alleanza elettorale, questo è chiaro. Sui temi possiamo e dobbiamo trovare un orizzonte comune».
Dopo le amministrative, la riforma della giustizia arriverà in Senato: prevede turbolenze?
«I miei colleghi in Commissione giustizia al Senato stanno lavorando da tempo a una soluzione condivisa».
Che cosa non le piace di questa riforma?
«Non è la nostra riforma, ma lo stop alle porte girevoli è comunque un risultato positivo».
Altri appuntamenti segnati in rosso sul calendario sono le comunicazioni di Mario Draghi in vista del Consiglio europeo e l’esame degli emendamenti al decreto Aiuti: sul primo punto, le vostre posizioni sembrano essersi ammorbidite, per quale motivo?
«La nostra posizione è sempre la stessa: l’Italia deve proporsi come capofila di un patto tra i Paesi europei che porti a un negoziato di pace. Dopo oltre 100 giorni di guerra, l’idea di continuare ad armare all’infinito l’Ucraina e di prolungare un conflitto disastroso per il nostro continente è folle».
Per quanto riguarda il decreto Aiuti, l’incognita più grande ha la forma di un termovalorizzatore. Cederete su questo punto?
«Qualcuno dovrebbe spiegarmi che cosa c’entra l’inceneritore a Roma con i 14 miliardi di aiuti destinati a famiglie e imprese, recuperati grazie alla nostra proposta di tassare gli extraprofitti. Io l’ho vista come una provocazione. Non è inquinando e producendo fumi tossici e scorie pericolose che si risolve il problema dei rifiuti».
Fin dove siete disposti a spingervi? La maggioranza terrà?
«Siamo la prima forza parlamentare e interverremo in Commissione».
Un’eventuale fiducia da parte del governo che significato avrebbe?
«Noi auspichiamo che non ci sia».
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