La cerimonia inaugurale dei Mondiali 2022 inizia con un gran dispiego di mezzi, e durante le coreografie allo stadio Al Bayat di Al Khor, prima del match tra i padroni di casa e l’Ecuador, le luci coloratissime che anticipano il fischio d’inizio delineano la foglia di fico con cui la Rai cerca di salvare la reputazione di una manifestazione destinata a restare nella storia per le polemiche generate. Da un lato è comprensibile. La tv di Stato italiana ha versato circa 150 milioni di euro per accaparrarsi i diritti sull’evento, confidando nella presenza degli azzurri di Mancini, oggi convitati di pietra. Ma, assenza dell’Italia a parte, a calare l’asso ci pensa l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani con il suo discorso introduttivo: «Abbiamo profuso i nostri sforzi per il bene dell’umanità. Finalmente comincia la grande festa del calcio in un ambiente caratterizzato da umana e civile comunicazione. Persone di paesi e culture diverse arriveranno in Qatar e tanti condivideranno questi momenti davanti agli schermi di tutti i continenti. I popoli metteranno da parte ciò che li divide e celebreranno la loro diversità e ciò che li unisce». Ce n’è abbastanza da suscitare imbarazzo in studio, dopo le polemiche sull’ipotesi di cospicue tangenti versate dall’emirato per assicurarsi l’assegnazione della manifestazione, le notizie di circa 6.000 lavoratori morti durante la costruzione degli stadi e degli impianti, le minacce, niente affatto velate, degli ambasciatori qatarini verso la comunità omosessuali e verso chiunque non osservasse le prescrizioni islamiche, consumazione di alcool inclusa. Su Rai 1 Claudio Marchisio solleva i primi dubbi: «Si fatica un po’ a sentire queste parole, pur molto importanti, sapendo che siamo arrivati a questa inaugurazione in maniera non trasparente. Mi sembra di aver sentito qualche fischio allo stadio». Andrea Stramaccioni però è conciliante: «Questo Mondiale può portare il Qatar in linea sui diritti civili come nelle altri parti del mondo, spero che porti il paese al cambiamento che hanno promesso», ribatte, mentre il conduttore Alessandro Antinelli si barcamena cercando di salvare capra e cavoli. Avvalendosi del contributo di un’esperta sociologa che spiega come, a proposito di condizione femminile e coercizioni, «in Qatar le donne indossino il velo per attaccamento alla tradizione», diversamente dall’Iran, dove sono costrette a farlo, come conferma ancora Stramaccioni (ha vissuto in entrambe le nazioni) nel tentativo di strappare il sei politico per Doha in diritti civili. Insomma, il Qatar sarebbe un benevolo stato tradizionalista incline tutto sommato a favorire la libertà di pensiero. Poi inizia Mondiale: Qatar-Ecuador. Dopo pochi minuti, il portiere del Qatar Al Sheeb va a farfalle, Valencia colpisce di testa e insacca. L’arbitro Orsato, su suggerimento del Var, annulla per fuorigioco, scelta a dirla tutta molto generosa. «Fuorigioco millimetrico», commentano dalla Rai, indaffarati a restare in equilibrio. Poi però la differenza tra le due compagini è debordante: l’Ecuador è una nazionale dignitosa (ma nulla più), il Qatar vale un campionato dilettanti. Così, al minuto 16, Valencia si riscatta: calcio di rigore netto per fallo dell’impresentabile Al Sheeb sull’attaccante sudamericano, che insacca. Potrebbe finire tanti a pochi. E infatti, al minuto 31, ancora Valencia raddoppia su ripartenza di Caicedo e assist di Preciado che crossa al centro dell’area. Nella ripresa, i sudamericani gestiscono il risultato, il Qatar tenta qualche sortita senza successo, Preciado e Valencia si fanno male e sono costretti a uscire. Ma il gol destinato a far discutere più degli altri lo siglano i tifosi dell’Ecuador dagli spalti, quando intonano il coro «queremos cerveza» (vogliamo la birra, ndr), in risposta al divieto di consumare alcolici imposto a tutti durante l’evento. Ne sarà felice l’emiro Al Thani: ecco un esempio di comunicazione tra popoli e culture diverse, come da suo discorso inaugurale.
- Proteste in piazza, crisi sociale e una longa manus iraniana attraverso Hezbollah. Il Libano ha un nuovo esecutivo e vive un clima rovente: Beirut è stato teatro di scontri pesantissimi (300 feriti) e il governo guidato da Hassan Diab non gode del favore popolare.
- Città antiche, rovine di epoca romana e lussuose località sciistiche attirano un numero sempre maggiori di turisti. E sempre più compagnie aeree servono la città di Beirut.
- Dalla grotta di Jeida alla Vergine di Hanassa, cinque luoghi da non perdere durante il vostro viaggio.
- Le Gray è il primo hotel creato dal rinomato albergatore Gordon Campbell Gray in Medio Oriente. Il design classico e moderno seduce sia chi viaggia per affari che per piacere.
- Le Royal Hotel Beirut è un vero e proprio resort con ristoranti d'eccezione, un parco acquatico e la sontuosa spa affacciata sul Mediterraneo.
Lo speciale contiene cinque articoli e gallery fotografiche.
Un nuovo governo, ma con i problemi di sempre, anzi pesantemente aggravati: una crisi sociale ed economica ormai molto grave, e la longa manus iraniana attraverso Hezbollah.
Il Libano ha un nuovo esecutivo, che ha ottenuto la fiducia in Parlamento (63 voti su 84), ed è guidato da Hassan Diab, già ministro dell'istruzione, chiamato però a pilotare un esecutivo tecnico, senza rappresentanti dei partiti. La crisi del precedente esecutivo era maturata in autunno, con una raffica di aumenti fiscali (dalle sigarette alle chat Whatsapp, nulla era stato risparmiato) che aveva scatenato la protesta di piazza. A seguito delle manifestazioni, alcune di quelle proposte erano state ridimensionate, ma la rabbia popolare non era scemata, fino alle dimissioni del premier uscente Saad Hariri.
Diab, ai blocchi di partenza, è già oggetto di spinte contrapposte. Da un lato, l'Isg (il gruppo di sostegno internazionale, Italia inclusa), che sollecita riforme economiche: Diab è stato infatti invitato a «intraprendere velocemente e in maniera decisa una serie di misure e riforme tangibili, credibili e onnicomprensive per fermare la profonda crisi e invertire la tendenza, e per rispondere ai bisogni e alle richieste dei libanesi». Dall'altro, una coalizione guidata dagli Hezbollah filoiraniani, e senza nemmeno il bilanciamento offerto dai rappresentanti dei partiti filo-occidentali, più vicini agli Usa e alla Francia, e per altro verso all'Arabia Saudita.
Tutto questo in un clima rovente: perfino in coincidenza del dibattito parlamentare, e proprio con lo scopo di impedire il voto di fiducia e addirittura l'accesso al Parlamento, il centro di Beirut è stato teatro di scontri pesantissimi (300 feriti). Non sarà facile per Diab, che a suo tempo alzò le tasse universitarie quasi del 300%, riguadagnare un minimo di favore popolare.
E soprattutto lo schema politico dominato dagli Hezbollah ripropone esattamente quella che è stata la vera fonte dei problemi del Libano: non gli Usa e Israele (colpevolizzati dalla pubblicistica antioccidentale), ma il legame con Teheran. Proprio Qassem Soleimani, eliminato in un'azione mirata alcune settimane fa, aveva fatto del Libano (e di molte altre aree di Iraq, Yemen, Siria, oltre ovviamente alla Striscia di Gaza) il terreno di una penetrante influenza iraniana, sostenendo il terrorismo internazionale e mettendo nel mirino target e interessi occidentali. In particolare, in Libano, Hezbollah, proxy iraniano per antonomasia, ha creato da anni un vero e proprio stato nello stato, con strutture militari di fatto parallele: la nascita di Hezbollah come partito (“partito di Dio") e come forza militare risale ai primi anni Ottanta. Morale: Hezbollah ignora le risoluzioni Onu che imporrebbero la consegna delle armi da parte di tutti i gruppi (tranne l'esercito regolare), serve gli interessi iraniani, e offre a Teheran uno sbocco verso il Mediterraneo.
La novità degli ultimi mesi è stata un taglio del sostegno economico iraniano a Hezbollah, proprio mentre la crisi sociale mordeva, e mentre si faceva sentire il costo del coinvolgimento di Hezbollah nel conflitto in Siria. Tutto ciò ha contribuito all'avvitamento di una spirale di disperazione sociale.
Non è chiaro, nella compagine che si trova a guidare, come Diab possa uscire da questo vicolo cieco.
Informazioni utili
Città antiche, rovine di epoca romana e lussuose località sciistiche sono solo alcune delle meraviglie che il Libano offre ai suoi visitatori. Un tempo conosciuto come la Francia del Medio Oriente, questo paese è sempre più amato dai turisti di tutto il mondo. Raggiungerlo non è mai stato così facile. Sono sempre di più le compagnie aeree che servono Beirut, collegando la capitale con l'Europa, l'Africa, l'Asia e il resto del Medio Oriente.
La nostra compagnia di bandiera, ma anche low cost come Ryanair e Pegasus offrono voli - tendenzialmente con uno scalo - a meno di 200 euro. Ai viaggiatori di nazionalità italiana, cosi come a tutti i visitatori stranieri, viene richiesto un visto d'ingresso che è possibile ottenere all'arrivo direttamente in aeroporto oppure ai confini terrestri presentando il proprio passaporto. Attenzione però che questo non abbia un timbro di Israele. Questi visti consentono una permanenza di 15 giorni e sono rinnovabili. Il visto può essere ottenuto anche anticipatamente presso l'ambasciata del Libano in Italia e consente una permanenza di 90 giorni.
L'aeroporto di Beirut si trova a soli 5 km dal centro cittadino ed è facilmente raggiungibile in autobus o in taxi. Il Libano è un paese piccolo e per percorrerlo nella sua interezza ci vogliono tre ore circa. I taxi collettivi - che effettuano percorsi prestabiliti come gli autobus - sono il metodo più economico e sicuro per spostarsi da un capo all'altro del Libano. Noleggiare un'automobile non è solo molto costoso, ma poco sicuro viste le cattive condizioni delle strade e la guida spericolata degli autisti locali (in Libano non esiste un codice stradale). Ogni giorno ci sono anche pullman che partono dalla stazione Charles Helou di Beirut diretti in Siria oltre a collegamenti per Damasco, Aleppo e Lattakia.
Cosa vedere
Il palazzo di Beiteddine
Questo palazzo - uno dei tesori del Libano - è stato costruito nel corso di 30 anni a partire dal 1788. Casa di Bashir Shihab II, le leggende narrano che l'emiro fece amputare la mani dell'architetto che costruì Beiteddin Palace perché non duplicasse mai il suo lavoro. Il palazzo è organizzato intorno a tre diversi cortili. L'ampio cortile esterno di forma rettangolare allungata, era destinato agli incontri pubblici e agli eventi. Lo affiancano gli appartamenti destinati agli ospiti. Sul fondo del cortile c'è una doppia scalinata che sale all'ingresso del cortile centrale. Su questo si affacciano curiosi balconi di legno con i vetri schermati che consentivano agli abitanti di osservare gli arrivi senza essere visti. L'accesso all'appartamento privato e all'harem di famiglia è segnalato dai rilievi di un volto stilizzato e due mani che coprono gli occhi: un invito alla discrezione. La porta monumentale d'ingresso, con i suoi intarsi di marmo colorato è uno dei punti più affascinanti del palazzo, come i mosaici e le sculture dalla sala ricevimenti.
La grotta di Jeita
Situata a 20 chilometri da Beirut, questa grotta è costituita da due grotte calcaree, gallerie superiori e una caverna inferiore attraverso la quale scorre un fiume. Geologicamente la grotta fornisce una galleria o via di fuga per il fiume sotterraneo. In questa grotta l'azione dell'acqua nella roccia calcarea ha creato una cattedrale, con volte piene di stalattiti e stalagmiti di forme, dimensioni e colori diversi, maestose cortine e fantastiche formazioni rocciose. La lunghezza totale della grotta è più di 9000 m e contiene una tra le più grandi stalattiti al mondo, di 8,20 m.
Torre di Claudio
Alle porte della città di Faraya sei possono ammirare le rovine di una torre monumentale, nel cuore delle montagne libanesi. L'edificio ora è parzialmente crollato, si trova sul lato occidentale del Monte Libano, su una cima chiamata Faqra e si presenta come un cubo di circa 16 per 16 metri, alto poco più di 10 metri. Ma considerando la sua ampia base e il numero di pietre impiegate, era probabilmente molto più alto quando fu costruito nel 43 d.C. Sono ancora visibili solo i resti di due iscrizioni sopra e a destra della porta e dedicano l'altare all'imperatore romano Claudio e al dio Beelgalasos.
Tempio di Bacco
Il santuario dedicato al dio del vino (il cui culto era molto diffuso nel Vicino Oriente antico) è il tempio romano meglio conservato al mondo. Realizzato durante l'impero di Antonino Pio, su progetto di un architetto rimasto sconosciuto, presenta un perimetro delimitato da quarantadue colonne corinzie, diciannove delle quali sono ancora in piedi, a reggere la trabeazione riccamente decorata. Nella cella interna ci sono molte rappresentazioni della nascita e della vita di Bacco.
Nostra Signora del Libano
Questa statua è un importante luogo di pellegrinaggio cristiano maronita e si trova nel santuario si Harissa, a 20 chilometri di Beirut. Il complesso della Madonna del Libano ad Harissa attira milioni di musulmani e cristiani da tutto il mondo e nel 1997 è stata anche visitata da Papa Giovanni Paolo II. Anche per i meno religiosi, la gigantesca statua della Vergine, bianca figura che troneggia dall'alto della collina con le braccia aperte e rivolta verso il mare, dà un effetto di grande suggestione.














Le Gray
Le Gray ha da poco aperto nel rinato centro storico di Beirut. L'hotel del gruppo The Leading Hotel of the World è la prima struttura creata dal rinomato albergatore Gordon Campbell Gray in Medio Oriente. Il design classico e moderno, opera dell'architetto Kevin Dash, con interni ariosi e raffinati disegnati da Mary Fox Linton e dallo stesso Campbell Gray, offre un lusso raffinato e ampie camere e suite per chi viaggia per affari o per piacere.
Altrettanto eleganti sono i bar e i ristoranti, che propongono salutare cucina mediterranea, cocktail favolosi serviti nelle terrazze sull'attico e un bar che dà sulla strada. Inoltre, la posizione è ottima, a pochi passi da tutte le principali attrazioni e luoghi di interesse della città. Le Gray si trova infatti sulla storica Piazza dei Martiri, a pochi passi dal quartiere degli affari e dallo shopping di lusso.
La spa PureGray offre diversi trattamenti ristorativi, creati in collaborazione con il brand di skincare spagnolo Natura Bissé, per un'esperienza olistica capace di unire le filosofie occidentali e orientali. Fiore all'occhiello è la palestra, dove una serie di personal trainer vi aiuteranno a raggiungere i vostri obiettivi di fitness.
Le Royal Hotel Beirut
Le Royal Hotel Beirut sorge su una collina in posizione dominante sul Mediterraneo. L'hotel - che andrebbe definito un vero e proprio resort - ha ricevuto numerosi riconoscimenti per le eccellenti strutture per la ristorazione, il benessere e il divertimento. Il complesso del gruppo Lhw vanta una vista strepitosa del Mediterraneo, e, durante i mesi estivi, l'apertura dell'adiacente parco acquatico WaterGate (il più grande del Medio Oriente).
I ristoranti, tra cui il raffinato Titanic e lo Shahrayar, che serve piatti tipici libanesi, offrono intrattenimento dal vivo durante il fine settimana e una cucina superlativa. Gli ospiti in viaggio per affari trarranno vantaggio dall'ufficio a disposizione, l'accesso Internet WiFi e il piano Club con lounge privata. Tra le attrazioni imperdibili nei dintorni si annoverano il vivace centro cittadino, la Grotta di Jeita e l'antica Biblo. Nei dintorni, gli impianti sciistici, i centri commerciali, le chiese storiche e le avventure di eco turismo accrescono il fascino di questa destinazione.
La The Royal Spa è rinomata per offrire prodotti e trattamenti all'avanguardia. Un'enorme vetrata che affaccia sul mare Mediterraneo fa da sfondo a un complesso a più piani, dove è possibile godere di una piscina coperta, due jacuzzi, una sauna, un bagno di fango e un hammam dall'autentica tradizione turca.
L'anello più caro del mondo costa 80 milioni di dollari. Tanto ha pagato nel 2011 un membro della famiglia reale del Qatar per il Wittelsbach Graff, un diamante blu da 31,06 carati appartenuto alla corona austriaca e bavarese. Inizialmente si pensava che fosse stato donato da Filippo IV di Spagna a sua figlia Maria Teresa, ma poi si è scoperto che il diamante fu un dono per le nozze di Maria Amalia d'Austria e Carlo VII di Baviera della casata Wittelsbach. Nel corso dei secoli è passato dalle mani di Massimiliano I a quelle di Helmut Horten, un tedesco proprietario di una catena di supermercati, che lo regalò a sua moglie Heidi per le loro nozze. Nel 2008 il gioiello fu acquistato per 24 milioni di dollari da Laurence Graff, che lo modificò per rafforzarne la chiarezza e aumentarne (decisamente) il valore.
L'anello di diamanti di Maria Antonietta di Francia aveva una M elegantemente intrecciata con una A e una ciocca di capelli della regina impigliata tra un diamante e l'altro. All'epoca le chiome venivano utilizzate per impreziosire il gioiello e renderlo ancora più personale. Spesso veniva regalato a un amante come emblema d'amore o ad amici e parenti come simbolo d'affetto.
Dalla notte dei tempi si attribuisce all'anello un valore che va ben oltre quello materiale. Gli egizi ci montavano pietre intagliate con il proprio stemma per usarli come sigilli, nell'antica Roma i sacerdoti di Giove erano i soli a poterli indossare. Col passare dei secoli divennero simbolo di potere e ricchezza. Le mani dei nobiluomini sfoggiavano anelli su tutte le dita, infilati uno sull'altro sino alla falange superiore. Nel Seicento, visto che le dita non bastavano, i porporati ripresero una moda lanciata da Luigi XIV: il re ne aveva così tanto che se li faceva cucivano sulle vesti. «Dio è ingiusto. Così tanti anelli e solo 10 dita» (Marta Marzotto).
Condannati dalla Chiesa per il loro sfarzo, nelle leggi suntuarie il loro uso venne limitato: «Non si possino portare a ogni dito più di tre anella, e detta anella non possino avere più che una pietra preziosa o perla per mano…». Papa Giulio II, nel ritratto di Raffaello Sanzio, ne esibisce sei.
Oggi i vescovi indossano solo l'anello episcopale, mentre il Papa porta il piscatorio (anello del pescatore), un anello d'oro con una raffigurazione di San Pietro che getta una rete in mare, utilizzato in genere per apporre il sigillo ai documenti papali. Fino al pontificato di Giovanni Paolo II, l'anello del pescatore veniva spezzato e i resti conservati negli archivi vaticani. Oggi non è più necessario distruggere fisicamente l'anello. Quello di Benedetto XVI è stato biffato, ovvero annullato con due rigature a croce.
Si racconta che Lucrezia Borgia, figlia di papa Alessandro VI, portasse un anello cavo con dentro la polvere dei funghi Cortinarius Orellanus (oggi noti come i funghi di Lucrezia). La usava per avvelenare i sudditi a cui aveva fatto dono delle proprie terre, in modo da riappropriarsene dopo la loro misteriosa morte.
«Colui che ama sé stesso sopra ogni cosa non passa per la porta del regno dei cieli, allo stesso modo in cui il dito della sposa, se è ripiegato su sé stesso, non entra nell'anello offerto dallo sposo» (Ugo Foscolo).
La fede, anello nuziale entrato in uso nella Roma antica, veniva indossato all'anulare sinistro perché si credeva che una vena lo collegasse direttamente al cuore.
La tradizione di regalare un diamante come anello di fidanzamento risale al 1477, quando l'arciduca Massimiliano d'Austria donò a Maria di Borgondia un anello d'oro sovrastato da un brillante promettendole di sposarla. In passato, in molte civiltà, i corteggiatori offrivano una mela alla ragazza scelta come pegno d'amore. L'anello aveva valore di contratto nuziale. Oggi circa il 70% delle future spose riceve un diamante come anello di fidanzamento.
Tra gli anelli di fidanzamento più famosi della storia, l'Eternity band con taglio a baguette che Joe DiMaggio donò a Marilyn Monroe. Nonostante la diva sia entrata nella storia cantando Diamonds are girl's best friend, sono gli unici diamanti che abbia mai posseduto (preferiva indossare perle).
Racconta Paola Jacobbi su Vanity Fair che una sera di vent'anni fa, «allo Chateau Marmont di Los Angeles, durante una cena organizzata da Donatella Versace, Courtney Love mostra a Donatella il suo nuovo anello, un brillantone impegnativo. Donatella allunga il braccio e mostra il suo, un anello ancora più grande e luminoso. A quel punto, con il sorriso di chi è rassegnata a stravincere, Elizabeth Taylor posa la sua mano sulle altre due, nel gesto dei Tre Moschettieri, e mette in mostra il suo anello: 33.19 carati. Imbattibile». Era il suo «baby», un anello che Richard Burton le regalò un giorno del 1968, solo «perché era martedì». Burton lo acquistò per 300.000 dollari ma oggi il The Elizabeth Taylor diamond - questo il nome ufficiale del gioiello - è stimato 9 milioni di dollari.
Oltre al «baby», tra i preziosi di Liz Taylor anche «la pista di pattinaggio» da 29,4 carati che Mike Todd le regalò come anello di fidanzamento, una pietra così grande che «ci si poteva pattinare sopra» e il mitico Taylor Burton diamond, uno dei più grandi al mondo (69 carati) che Elizabeth Taylor fece inizialmente montare su un anello per poi farne una collana: «Era troppo grande persino per me».
«C'è chi ama gli anelli di grandi dimensioni. A ogni dito delle lunghe, tozze mani dalle unghie laccate, Claude Lorrain portava un vistoso anello. Opali, crisopazi e calcedonie erano imprigionati nell'oro lavoratissimo di anelli di scarso valore. Oscar Wilde portò a lungo un gigantesco anello episcopale, un'ametista incastonata nell'argento, poi un imponente anello con lo scarabeo egiziano che sembrava una turchese morta. Ma aveva anche due anelli di smeraldo ai mignoli. I segni cabalistici sulle pietre conferivano alla pietra di sinistra il potere di generare ogni forma di gioia e a quella di destra un analogo potere nel campo della sventura. A chi gli chiedeva perché non rinunciasse a quel pericoloso oggetto replicava: «Per poter essere felici ci vogliono le disgrazie» (da Il demone della frivolezza di Giuseppe Scaraffia).
«Se solo sapessi quante superstizioni mi dai. Appena mi metto al lavoro, mi infilo il talismano, terrò al dito quest'anello per tutte le ore di lavoro. Lo metto al primo dito della mano sinistra, con cui tengo la carta, in modo che il tuo pensiero mi stringa, sei lì con me e adesso invece di cercare le parole nell'aria, le chiedo a questo delizioso gioiello» (Honoré de Balzac, che non riusciva più a scrivere senza l'anello donatogli da madame Ève Hanska, contessa polacca con la quale ebbe una liaison nata da una relazione epistolare).
oro giallo e platino
Il Trinity, anello simbolo di Cartier, ha i cerchi intrecciati. Dal 1924, anno della sua creazione, se ne sono venduti più di 1 milione di esemplari in tutto il mondo. Inizialmente i tre anelli erano in oro giallo e rosa e di platino, quest'ultimo poi verrà sostituito con l'oro bianco. Jean Cocteau, uno dei primi a indossarlo, ne aveva due, entrambi al mignolo. Il secondo era dell'amico Raymond Radiguet, l'autore de Il diavolo in corpo morto a soli vent'anni nel 1923.
La proposta di matrimonio di Harry a Meghan, come hanno raccontato i due sposi, è arrivata mentre lei cucinava pollo arrosto nella residenza di Nottingham Cottage, a Kensington Palace. Harry s'inginocchiò offrendole l'anello da lui disegnato con una pietra del Botswana e due diamanti della collezione privata di mamma, Lady Diana. L'anello è stato realizzato da Cleave and Company, i gioiellieri di Sua Maestà e vale circa 61.500 euro. Ma poiché i diamanti appartenevano a Diana, il suo valore è inestimabile.
«Portavo l'anello con me nello zaino da tre settimane, non l'ho lasciato per un attimo. E poi ero agitato: si sentono un mucchio di storie terribili sui momenti in cui uno fa la proposta...» (William d'Inghilterra). A Kate Middleton William offrì come pegno d'amore l'anello che papà Carlo donò a Diana nel 1981: «È il mio modo per far sì che mia mamma non si perda questo giorno». Dopo la morte di Lady D. l'anello finì nella cassaforte di Harry, ma quando il fratello gli annunciò di voler convolare a nozze con Kate, Harry cedette il solitario con zaffiro di 12 carati circondato da una corolla di 14 diamanti senza esitare.











































