Lega guadagna in un anno 3 milioni e mezzo di voti, i grillini ne perdono più di 6 milioni. E Fi li dimezza
Le dimensioni del trionfo leghista e del rovescio grillino si apprezzano meglio considerando - insieme alle percentuali - i voti assoluti riportati ieri, e confrontati con le prove elettorali delle politiche del 2018 e delle europee del 2014.
A spoglio quasi ultimato, la Lega (ieri 34,27%) ha ottenuto più di 9 milioni e 100.000 voti, contro i 5 milioni e 600.000 di un anno fa (17,4%) e il milione e 600.000 di cinque anni fa (6,2%). Insomma, rispetto all'anno scorso, ben 3 milioni e mezzo di voti in più.
Discorso inverso per i grillini. Ieri (17,07%) hanno ottenuto 4 milioni e mezzo di voti, oltre 6 milioni di voti in meno del 4 marzo 2018, quando ne raccolsero 10 milioni e 700.000 (32,7%). Cinque anni fa, alle precedenti europee, ottennero 5 milioni e 800.000 voti (21,1%).
Pressoché inalterata - in termini assoluti - la performance del Partito democratico, nonostante lo scatto percentuale in avanti registrato la notte scorsa. Ieri il Pd ha ottenuto circa 6 milioni e 100.000 voti (22,73%). Un anno fa, più o meno con gli stessi voti assoluti, la percentuale fu del 18,7%. Cinque anni fa, in occasione del trionfo renziano del 40,8%, i voti assoluti raccolti furono circa 11 milioni.
Molto negativa la prova di Forza Italia, che dimezza i voti di un anno fa. Ieri, Fi ha raccolto circa 2 milioni e 300.000 voti (8,78%), contro i 4 milioni e 500.000 del 4 marzo 2018 (14%). Cinque anni fa, alle europee, i voti furono 4 milioni e 600.000 (16,8%).
Quanto a Fratelli d'Italia, ieri ha ottenuto circa 1 milione e 700.000 voti (6,45%), circa 300.000 voti in più del milione e 400.000 (4,3%) di un anno fa. Il bottino di cinque anni fa fu invece di un milione di voti (3,7%).
Restano fuori dai giochi, esclusi dall'assegnazione dei seggi, tutti gli altri, a partire da Più Europa (800.000 voti, pari al 3,1%), Verdi (600.000 voti pari al 2,3%), e La Sinistra (460.000 voti circa pari all'1,75%).
In attesa dei dati definitivi, YouTrend ha diffuso una prima stima sulla possibile distribuzione dei seggi: 29 alla Lega, 14 a M5s, 19 al Pd, 7 a Fi, 6 a Fdi, 1 alla Svp.
Altre curiosità rilevanti: sommando le percentuali di Lega e M5s, si arriva a 51,3%, l'1,3% rispetto alla somma delle percentuali ottenute dalle due forze politiche il 4 marzo scorso, ovviamente con pesi capovolti.
In termini di distribuzione geografica, impressiona la crescita della Lega al Sud (ormai siamo chiaramente in presenza di una forza nazionale), si confermano le difficoltà del Pd al Sud (invece il partito di Zingaretti tiene nelle regioni rosse e nelle grandi città), mentre i grillini registrano risultati migliori a Sud e soffrono moltissimo al Nord.
Sempre YouTrend azzarda una prima analisi sui flussi. Dove sono andati i voti in uscita dai Cinquestelle? Secondo YouTrend, molto verso la Lega, e in misura inferiore verso il Pd.
Nominare persone di fiducia in posizioni di elevata responsabilità quando si va al governo, ovviamente fatte salve le competenze personali richieste dalla legge, dovrebbe essere sempre considerata una pratica legittima e intelligente. Da noi in Italia la si chiama «spoils system», alla moda dei paesi anglosassoni, ed è cosa buona e giusta quando la fai tu e i tuoi amici. Ma quando la fanno gli altri, diventa una brutta cosa, una «lottizzazione», in alcuni casi una bieca «spartizione di poltrone». Ebbene, alla vigilia del voto, il Tar del Lazio ha stabilito che il ministro dell'Istruzione, Marco Bussetti, aveva tutti i diritti di rimuovere Roberto Battiston, poi subito candidato alle Europee dal Pd come «martire della scienza», dalla carica di presidente dell'Agenzia spaziale italiana (Asi). Uno schiaffo non solo a Battiston, marito di una nipote di Romano Prodi, che aveva fatto ricorso contro il provvedimento di revoca, ma anche nei confronti del Movimento 5 stelle, che aveva protestato sostenendo che si «metteva a rischio la libertà della ricerca scientifica».
La decisione del Tar respinge tutte le richieste del fisico trentino, dando piena vittoria a Bussetti. Il presunto «fattaccio», al quale sono seguiti l'immediata udienza del presidente Sergio Mattarella alla «vittima» Battiston e una serie di articoli dei giornaloni dedicati allo «scienziato rimosso» (sicuramente ignari del fatto che lo scienziato si sarebbe di lì a poco candidato con un partito politico), è stato la revoca del Miur firmata il 31 ottobre 2018. Nessuno si era infatti minimamente indignato di fronte a quanto aveva segnalato questo giornale nell'inverno precedente. E cioè che con la cadrega di Battiston (che vale diverse centinaia di milioni di budget) in scadenza a fine maggio, mentre le elezioni politiche erano previste per il 4 marzo, la ministra «zero tituli» Valeria Fedeli aveva veduto bene avviare le procedure di nomina in anticipo, in modo da reinsediare il nipote di Prodi il 7 maggio 2018, ovvero tre settimane prima che il governo Conte prestasse giuramento. Con una lunga e dettagliata inchiesta, La Verità aveva anche documentato la grave perdita di peso dell'Italia in sede europea, nelle politiche aerospaziali. Sembrava tutto caduto nel vuoto, e invece Bussetti ha preso in mano la pratica del «Nipoton», gli ha revocato la nomina ottenuta dal Pd «in articulo mortis», ha proceduto a un rapido commissariamento coronato da due ampie segnalazioni alla Corte dei conti per possibili danni erariali, e adesso, come presidente, c'è un altro scienziato non meno autorevole, ovvero Giorgio Saccoccia.
Eppure il giorno della revoca, il viceministro grillino Lorenzo Fioramonti aveva preso platealmente le distanze dal ministro, affermando: «Non ne sapevo niente». Si era arrabbiato anche Stefano Buffagni, che si occupa di nomine per conto di Luigi Di Maio, il quale a sua volta aveva convocato un'immediata riunione dei gruppi parlamentari del M5s per discutere della «scorrettezza» della Lega e del fatto che «la ricerca non può essere terreno di scorribande».
Ma ora, a dire che non ci furono «scorribande», arriva il Tar, che scrive: «Come chiarito dal Consiglio di Stato in più occasioni, il potere di intervento del ministero non necessita di una particolare e pregnante motivazione, diversa da quella dell'esistenza di una nomina che, per il tempo ravvicinato alla fine della legislatura, implica l'obiettiva inesistenza di una meditata e cosciente scelta fiduciaria imputabile al nuovo titolare del potere di indirizzo politico e amministrativo». Insomma, Bussetti aveva diritto di non farsi bagnare il naso dalla Fedeli.
Ma all'Asi i problemi non sono finiti, perché l'ente controlla anche il Centro di ricerche aerospaziali di Capua, il Cira, oggetto di inchieste della magistratura per i contratti di manutenzione, ma dove lavorano 350 ricercatori di alto livello e che meriterebbero ben altro management. Entro la prima settimana si dovranno individuare i nuovi vertici, ma il clima è avvelenato. Una due diligence della Deloitte del 2017, commissionata da un Battiston giustamente preoccupato, non si sa bene che fine abbia fatto. Mentre due (falsi) dossier su presunte malefatte al Cira firmati Ugl, circolati in azienda e al ministero, oltre che tra in giornalisti, sono stati disconosciuti dall'Ugl, con il suo segretario provinciale Mauro Naddei che ha dovuto presentare denuncia. Naddei spiega: «In questi anni i sindacati hanno inutilmente tentato di interloquire con il presidente Battiston e con il ministro Fedeli, adesso speriamo che le cose cambino perché abbiano già dimostrato di saper far fruttare gli investimenti ricevuti e invochiamo un processo trasparente per la nomina dei nuovi vertici». Intanto Battiston ha già annunciato ricorso al Consiglio di Stato. Hai visto mai che domenica non lo eleggano.
Al voto, al voto! Calato il sipario sulla campagna elettorale, oggi dalle 7 alle 23 seggi aperti in tutta Italia per le elezioni europee. Gli italiani sono chiamati ad eleggere i 76 deputati che rappresenteranno la nostra nazione nel nuovo Parlamento europeo: 73 più i 3 che entreranno in carica quando la Brexit diventerà effettiva. In totale il nuovo Parlamento europeo sarà composto da 751 deputati in rappresentanza di tutti i 28 Stati membri, incluso il Regno Unito, che resterà nell'Unione europea almeno fino al prossimo 31 ottobre, quando scadranno i termini per il raggiungimento di un accordo tra Londra e Bruxelles.
Il sistema elettorale è un proporzionale puro con lo sbarramento al 4%: le liste che non superano questa soglia non ottengono seggi. L'Italia è divisa in cinque circoscrizioni elettorali: Nord Ovest (Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Lombardia, 20 seggi); Nord Est (Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna, 15 seggi); Centro (Toscana, Umbria, Marche, Lazio, 15 seggi); Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, 18 seggi); Isole (Sicilia e Sardegna, 8 seggi). Sono 50.952.719 gli elettori chiamati alle urne per le europee, di cui 24.744.762 uomini e 26.270.873 donne, che voteranno in 62.047 sezioni elettorali.
Il voto di lista si esprime tracciando sulla scheda, con la matita copiativa che vi verrà consegnata al seggio, un segno X sul contrassegno corrispondente alla lista prescelta. È possibile (non obbligatorio) esprimere da uno a tre voti di preferenza per candidati compresi nella lista votata. Se decidete di esprimere più di una preferenza, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l'annullamento della seconda e della terza preferenza. Bisogna fare estrema attenzione a questo importante particolare.
I voti si esprimono scrivendo, nelle apposite righe tracciate a fianco del contrassegno della lista votata, il nome e cognome o solo il cognome dei candidati preferiti compresi nella lista medesima; in caso di identità di cognome fra più candidati, si deve scrivere sempre il nome e il cognome e, se occorre, la data e il luogo di nascita.
Per formare un gruppo nel Parlamento europeo servono almeno 25 eurodeputati in rappresentanza di almeno 7 Paesi membri dell'Unione. Attualmente, l'Assemblea si compone di otto gruppi: Il Partito popolare europeo (216 deputati, tra i quali quelli di Forza Italia), l'Alleanza progressista dei Socialisti e dei democratici (185, tra i quali i deputati del Pd), i Conservatori e riformisti europei (77), l'Alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa (69), i Verdi europei - Alleanza libera europea (52), l'Europa della libertà e della democrazia diretta (42 deputati, tra i quali quelli del M5s), l'Europa delle nazioni e della libertà (37 deputati, tra i quali quelli della Lega), la Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (52).
I nuovi eurodeputati si insedieranno il 2 luglio a Strasburgo nella prima sessione plenaria del nuovo Europarlamento. Con 96 membri è la Germania il Paese che esprime il maggior numero di eurodeputati; segue la Francia, che una volta attuata la Brexit passerà dagli attuali 74 a 79 eurodeputati, dall'Italia (73 attuali, 76 dopo la Brexit) e dalla Spagna che con l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea passerà da 54 deputati a 59.
Le elezioni di oggi potrebbero ribaltare l'assetto politico del Parlamento europeo, e di conseguenza della Commissione. Per la prima volta dal 1979, infatti, stando ai sondaggi, popolari e socialdemocratici potrebbero non avere la maggioranza. Che accadrà in questo caso? Tra i popolari ci sono alcuni esponenti politici molto importanti, come il premier ungherese Viktor Orbàn e il cancelliere austriaco Sebastian Kurz che lavorano per un'alleanza con i gruppi di destra: Europa delle nazioni e della libertà, che prenderà il nome di Alleanza europea dei popoli e delle nazioni (con alla guida Matteo Salvini e Marine Le Pen) e Conservatori e riformisti europei, al quale aderirà Fratelli d'Italia se il partito di Giorgia Meloni supererà, come previsto, la soglia del 4%. Altri osservatori prevedono invece che l'alleanza tra Popolari e Socialisti verrà confermata, e che nel caso fossero necessari altri voti per raggiungere la maggioranza, si ragionerà con altri gruppi politici.
Tra i vari nodi da sciogliere del prossimo Parlamento europeo, c'è ad esempio la collocazione dei nuovi partiti, a partire da La Republique en Marche del presidente francese Emmanuel Macron, che potrebbero entrare nel gruppo dei liberali. I nuovi europarlamentari del M5s, inoltre, dovrebbero formare un nuovo gruppo con il partito croato Zivi Zid, i polacchi di Kukiz15, i finlandesi di Liike Nyt e i greci di Akkel. I sondaggi segnalano inoltre ottime prospettive per il Brexit Party di Nigel Farage, personaggio noto a livello europeo, che sta cavalcando l'ondata di scontento per le lungaggini che hanno fino ad ora caratterizzato le trattative tra Europa e Regno Unito per la Brexit.
Inevitabilmente, i risultati delle elezioni in Italia condizioneranno anche il dibattito politico interno. Riflettori accesi sulla possibilità che la Lega superi il M5s diventando il primo partito italiano. Sarà interessante anche sommare le percentuali dei due alleati di governo, per verificare la fiducia dei cittadini nell'esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Il Pd punta a sorpassare il M5s. Nel centrodestra si gioca una sfida interna tra Forza Italia e Fratelli d'Italia, con Giorgia Meloni che non fa mistero di sperare in un sorpasso clamoroso ai danni di Silvio Berlusconi.
La parola alle urne dopo una campagna elettorale desolante, nel corso della quale il M5s ha paralizzato il governo. Ma se i pronostici saranno rispettati, il coltello dalla parte del manico lo avrà la Lega. E si potrà tornare a fare qualcosa per l'Italia.
Finalmente si vota. Ora lo posso dire: negli ultimi giorni non ne potevo più del teatrino che quotidianamente andava in scena a Palazzo Chigi, con Matteo Salvini a dire una cosa e Luigi Di Maio controbattere con l'aiuto di Giuseppe Conte. Per due mesi abbiamo assistito a un botta e risposta che ha impegnato l'esecutivo, impedendo che si facesse altro. Certo, Lega e 5 stelle in questo modo hanno monopolizzato la scena, impedendo che altri la occupassero. Prova ne sia che si è parlato solo di loro e dei calci negli stinchi che si sono tirati, mentre all'opposizione non è rimasto che fare da spettatrice, cercando ogni tanto di infilarsi in qualche pausa del match. Ovviamente non mi sono ignote le ragioni del particolare battibecco. Dopo un anno di governo insieme, ai grillini mancava poco meno di un terzo dei consensi mentre i leghisti li avevano raddoppiati. Così almeno dicevano i sondaggi fino a che li abbiamo potuti pubblicare, cioè prima che la legge imponesse il silenzio sulle intenzioni di voto per non influenzare le decisioni degli elettori. È vero che le previsioni dei cosiddetti esperti vanno prese con le molle, perché quasi mai ci azzeccano, ma qui, a confermare l'aria che tira ci sono state una serie di elezioni intermedie, in Abruzzo prima e in Basilicata e Sardegna poi. A dare retta a questi campanelli d'allarme, Di Maio dall'unione con Salvini ha avuto tutto da perdere e dunque gli ultimi mesi ha provato a guadagnare qualche punto per non rimetterci la poltrona. Già, perché qui, nonostante ogni giorno nel mirino ci sia il Capitano leghista, a rischiare il posto e anche la testa è il numero uno grillino, il quale se scende troppo, se cioè si avvicina al 20 per cento e - come a un certo punto pareva - si fa scavalcare perfino da un ronzino come Nicola Zingaretti, ha la carriera segnata.
Mi spiego. Il vicepremier a 5 stelle finora ha fatto la voce grossa perché in Parlamento ha il 32 per cento e dunque in Aula può far valere i suoi voti contro quelli dell'alleato, che il 4 marzo si è dovuto accontentare del 17,5. Ma se domani le elezioni, ancorché europee, sancissero che Salvini ha più del 30 per cento e il ministro del lavoro appena il 20, che accadrebbe? A mio parere succederebbe una sola cosa, ovvero che il Capitano leghista si siederebbe davanti al collega vicepremier e gli chiederebbe che cosa vuole fare. Vuoi fare la Tav, la riforma delle autonomie, la flat tax o vuoi continuare a giocare e mettermi i pali di traverso?
È abbastanza ovvio che nel caso in cui ottenesse un risultato oltre il 30 per cento, Salvini punterebbe a mettere le cose in chiaro. In questi due mesi ogni decisione è stata oscura, ma se ci fosse una legittimazione popolare che lo incoronasse leader del primo partito italiano, le cose non potrebbero che cambiare. I rapporti di forza a Palazzo Chigi ne sarebbero inevitabilmente rovesciati. Di fronte a una Lega con il 30 per cento, a Di Maio resterebbero pochi margini di manovra, se non nessuno, perché rispondere picche alle richieste leghiste significherebbe inevitabilmente far cadere il governo e a questo punto i margini per evitare le elezioni anticipate sarebbero davvero stretti. I 5 stelle dovrebbero cercare un'alleanza con il Pd e anche se riuscissero a convincere Nicola Zingaretti, anzi Matteo Renzi visto che l'azionista di maggioranza del partito dentro il Parlamento resta sempre l'ex premier, i numeri non basterebbero e bisognerebbe inventarsi qualche strana alchimia. Per di più, l'alleanza con i democratici potrebbe costare in termini di consenso più di quella con i leghisti. Insomma, fare un governo con il Pd è quasi impossibile. Dunque rompere significherebbe andare dritti al voto, con quel che ne consegue. Se fossero vere le cifre girate prima dell'oscuramento dei sondaggi, in caso di nuove elezioni un terzo dei grillini rischierebbe di non tornare in Parlamento e l'altro terzo potrebbe non entrarci per il vincolo dei due mandati imposto dalla Casaleggio e Associati. Anzi, il primo a farne le spese sarebbe proprio Di Maio, che rischierebbe dunque di essere escluso dalle liste. Le elezioni insomma sarebbero una brutta botta per i pentastellati e perciò credo che faranno ogni cosa pur di evitarle, compreso chinare il capo. Se in queste ultime settimane abbiamo avuto la sensazione che a giocare in difesa fosse Salvini, con la Lega al 30 per cento sarebbe inevitabilmente il vicepremier grillino, il quale non potrebbe più dire, come ha fatto, noi in Consiglio dei ministri abbiamo la maggioranza e dunque si fa come diciamo noi. Perché la maggioranza potrebbe venir meno e quella che uscirebbe dalle urne non è detto che sia uguale all'attuale.
In pratica avrete capito che cosa vi sto per dire. Per uscire da questo stagno, se si vuole davvero cambiare, bisogna prendere una direzione e per me l'unica strada possibile è quella dello sviluppo e non quella della decrescita felice. Io sono per l'Europa, ma anche per la sicurezza, per il governo dell'immigrazione, per il controllo della spesa delle Regioni, per l'autonomia e soprattutto per la riduzione delle tasse. E credo che al di là dei programmi di governo ci sia un solo modo per realizzare tutto ciò ed è avere un presidente del Consiglio e non tre. Il tridente non funziona, funziona la punta. Scegliete voi quale.






