
La parola alle urne dopo una campagna elettorale desolante, nel corso della quale il M5s ha paralizzato il governo. Ma se i pronostici saranno rispettati, il coltello dalla parte del manico lo avrà la Lega. E si potrà tornare a fare qualcosa per l'Italia.Finalmente si vota. Ora lo posso dire: negli ultimi giorni non ne potevo più del teatrino che quotidianamente andava in scena a Palazzo Chigi, con Matteo Salvini a dire una cosa e Luigi Di Maio controbattere con l'aiuto di Giuseppe Conte. Per due mesi abbiamo assistito a un botta e risposta che ha impegnato l'esecutivo, impedendo che si facesse altro. Certo, Lega e 5 stelle in questo modo hanno monopolizzato la scena, impedendo che altri la occupassero. Prova ne sia che si è parlato solo di loro e dei calci negli stinchi che si sono tirati, mentre all'opposizione non è rimasto che fare da spettatrice, cercando ogni tanto di infilarsi in qualche pausa del match. Ovviamente non mi sono ignote le ragioni del particolare battibecco. Dopo un anno di governo insieme, ai grillini mancava poco meno di un terzo dei consensi mentre i leghisti li avevano raddoppiati. Così almeno dicevano i sondaggi fino a che li abbiamo potuti pubblicare, cioè prima che la legge imponesse il silenzio sulle intenzioni di voto per non influenzare le decisioni degli elettori. È vero che le previsioni dei cosiddetti esperti vanno prese con le molle, perché quasi mai ci azzeccano, ma qui, a confermare l'aria che tira ci sono state una serie di elezioni intermedie, in Abruzzo prima e in Basilicata e Sardegna poi. A dare retta a questi campanelli d'allarme, Di Maio dall'unione con Salvini ha avuto tutto da perdere e dunque gli ultimi mesi ha provato a guadagnare qualche punto per non rimetterci la poltrona. Già, perché qui, nonostante ogni giorno nel mirino ci sia il Capitano leghista, a rischiare il posto e anche la testa è il numero uno grillino, il quale se scende troppo, se cioè si avvicina al 20 per cento e - come a un certo punto pareva - si fa scavalcare perfino da un ronzino come Nicola Zingaretti, ha la carriera segnata. Mi spiego. Il vicepremier a 5 stelle finora ha fatto la voce grossa perché in Parlamento ha il 32 per cento e dunque in Aula può far valere i suoi voti contro quelli dell'alleato, che il 4 marzo si è dovuto accontentare del 17,5. Ma se domani le elezioni, ancorché europee, sancissero che Salvini ha più del 30 per cento e il ministro del lavoro appena il 20, che accadrebbe? A mio parere succederebbe una sola cosa, ovvero che il Capitano leghista si siederebbe davanti al collega vicepremier e gli chiederebbe che cosa vuole fare. Vuoi fare la Tav, la riforma delle autonomie, la flat tax o vuoi continuare a giocare e mettermi i pali di traverso? È abbastanza ovvio che nel caso in cui ottenesse un risultato oltre il 30 per cento, Salvini punterebbe a mettere le cose in chiaro. In questi due mesi ogni decisione è stata oscura, ma se ci fosse una legittimazione popolare che lo incoronasse leader del primo partito italiano, le cose non potrebbero che cambiare. I rapporti di forza a Palazzo Chigi ne sarebbero inevitabilmente rovesciati. Di fronte a una Lega con il 30 per cento, a Di Maio resterebbero pochi margini di manovra, se non nessuno, perché rispondere picche alle richieste leghiste significherebbe inevitabilmente far cadere il governo e a questo punto i margini per evitare le elezioni anticipate sarebbero davvero stretti. I 5 stelle dovrebbero cercare un'alleanza con il Pd e anche se riuscissero a convincere Nicola Zingaretti, anzi Matteo Renzi visto che l'azionista di maggioranza del partito dentro il Parlamento resta sempre l'ex premier, i numeri non basterebbero e bisognerebbe inventarsi qualche strana alchimia. Per di più, l'alleanza con i democratici potrebbe costare in termini di consenso più di quella con i leghisti. Insomma, fare un governo con il Pd è quasi impossibile. Dunque rompere significherebbe andare dritti al voto, con quel che ne consegue. Se fossero vere le cifre girate prima dell'oscuramento dei sondaggi, in caso di nuove elezioni un terzo dei grillini rischierebbe di non tornare in Parlamento e l'altro terzo potrebbe non entrarci per il vincolo dei due mandati imposto dalla Casaleggio e Associati. Anzi, il primo a farne le spese sarebbe proprio Di Maio, che rischierebbe dunque di essere escluso dalle liste. Le elezioni insomma sarebbero una brutta botta per i pentastellati e perciò credo che faranno ogni cosa pur di evitarle, compreso chinare il capo. Se in queste ultime settimane abbiamo avuto la sensazione che a giocare in difesa fosse Salvini, con la Lega al 30 per cento sarebbe inevitabilmente il vicepremier grillino, il quale non potrebbe più dire, come ha fatto, noi in Consiglio dei ministri abbiamo la maggioranza e dunque si fa come diciamo noi. Perché la maggioranza potrebbe venir meno e quella che uscirebbe dalle urne non è detto che sia uguale all'attuale. In pratica avrete capito che cosa vi sto per dire. Per uscire da questo stagno, se si vuole davvero cambiare, bisogna prendere una direzione e per me l'unica strada possibile è quella dello sviluppo e non quella della decrescita felice. Io sono per l'Europa, ma anche per la sicurezza, per il governo dell'immigrazione, per il controllo della spesa delle Regioni, per l'autonomia e soprattutto per la riduzione delle tasse. E credo che al di là dei programmi di governo ci sia un solo modo per realizzare tutto ciò ed è avere un presidente del Consiglio e non tre. Il tridente non funziona, funziona la punta. Scegliete voi quale.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.