Villa Pamphili si conferma un luogo incantato, dove i problemi del Paese si trasformano in opportunità. Chi varca il cancello della location degli Stati generali a bordo di una zucca si presenta al cospetto del governo trasportato da una bella carrozza d'altri tempi. Sarà per questo motivo che le parti sociali che ieri hanno discusso di cassa integrazione e riforma degli ammortizzatori sociali si sono dette soddisfatte del decreto in arrivo nelle prossime ore aggiungendo di essere pronte a fare la loro parte. A oggi qualche centinaio di migliaio di lavoratori non ha ancora ricevuto l'assegno della Cig di marzo. Non è dato sapere quante aziende che hanno anticipato ai propri dipendenti il sostegno pubblico abbiano ricevuto il conguaglio. La coperta degli ammortizzatori è cortissima e in ogni caso molto più corta del divieto imposto dal governo di licenziare in deroga ai contratti collettivi. E le procedure dell'Inps sono piene di buchi.
Eppure, come se nulla fosse, al termine dei lavori Giuseppe Conte ha fatto sapere di aver predisposto un pacchetto di altre settimane di cassa integrazione per colmare il buco lasciato dai due precedenti decreti economici. Al tempo stesso ha assicurato l'assistenza a tutte le aziende e la copertura degli assegni.
«Alle iniziali nove settimane di Cig Covid previste dal decreto Cura Italia erano state infatti aggiunte nove settimane nel decreto Rilancio, però divise in due tranche: cinque settimane da poter utilizzare nel periodo dal 23 febbraio alla fine di agosto e altre quattro tra settembre e ottobre. In questo modo si elimina l'interruzione e si potranno utilizzare consecutivamente le ultime quattro, garantendo così ai lavoratori», come sottolineato dal governo, «la continuità del sostegno al reddito». «Una novità che presto verrà accompagnata da una riforma dell'intero sistema: il governo lavora per il superamento della Cig e per arrivare a un meccanismo nuovo e molto più veloce». Ci tocca ricordare che la realtà è ben diversa.
Innanzitutto il governo non ha predisposto altre settimane di sostegno ai lavoratori che rischiano di perdere il posto. Semplicemente, la coperta degli ammortizzatori è stata stiracchiata. Le aziende che hanno fatto domanda dai primi di marzo da questa settimana si trovano senza più copertura. Conte, Roberto Gualtieri e Nunzia Catalfo hanno anticipato il blocco di settembre. Senza risolvere nulla. Il buco resta, così come il problema che scoppierà a metà luglio. Resta infatti in vigore il divieto di licenziare fino al 16 agosto, e la cosa peggiore è che non ci sono fondi per finanziare in deficit altra Cig. Il grosso delle aziende ha infatti avviato le pratiche per gli ammortizzatori ai primi di aprile, il che significa che con le attuali norme, solo rattoppate dal cdm di ieri sera, la bolla più grande esploderà a Ferragosto. È chiaro che il governo spera nelle ferie e nel fatto che gli italiani siano in spiaggia o in qualche località amena. Quest'anno però la crisi terrà molti inchiodati a casa, purtroppo con molto tempo per prendere coscienza dai danni prodotti da un esecutivo che è in grado solo di buttare la polvere sotto il tappetto e spostare più in là il redde rationem.
Al quarto giorno di passerella a villa Pamphili nessun rappresentante del governo ha avuto il coraggio di affrontare un tema ancora più scottante della Cig, cioè il buco di cassa che si sta abbattendo sull'erario. Ieri sono stati diffusi i dati del gettito fiscale relativi al mese di aprile, il primo mese di totale lockdown. Bankitalia ha segnalato una crescita del debito pubblico di 36 miliardi, mentre gli incassi delle imposte si sono fermati a 24,2 miliardi contro i 30,3 del mese di aprile 2019 e i circa 30 del 2018. Più o meno il 20% in meno. Se solo il trend continuasse così, lo Stato si troverà a incassare a maggio 8 miliardi in meno e una decina a giugno. In un trimestre circa 26 miliardi di liquidità fatti sparire dal Covid. Molti italiani non avranno i soldi per pagare l'Imu, che da sola pesa sulle spalle dei contribuenti per 11 miliardi. Senza contare le imposte destinate ai Comuni, il cui buco a fine anno dovrebbe arrivare ad almeno 9 miliardi, solo per due terzi colmati dai decreti giallorossi. Tradotto: la spesa corrente andrà in crisi e sarà difficile pagare le pensioni o gli stipendi pubblici, come - con uno sprazzo di trasparenza - ad aprile si erano lasciati scappare sia Pasquale Tridico sia Ernesto Maria Ruffini, rispettivamente i numeri uno di Inps e Agenzia delle entrate. Non è un caso che in mezzo al decreto per manipolare le settimane di Cig ci sia anche una clausola che consente all'Inps di non rimborsare la cassa integrazione alle aziende che l'hanno anticipata se solo sbagliano un documento e ritardano di un giorno. Un modo palese per tagliare i fondi e abbandonare i privati al loro destino. Se il ricorso al deficit ha già raschiato il fondo e la liquidità dello Stato in un trimestre verrà meno di almeno 25 miliardi, le promesse di Conte imploderanno in colpo solo.
Ma ieri dal Casino del Bel Respiro si è chiuso con l'ennesima tecnica del diversivo. La riforma degli ammortizzatori sociali «è una assoluta priorità», ha affermato il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, indicando nel progetto sul lavoro futuro i cavalli di battaglia come il salario minimo ma anche le regole per lo smart working e la detassazione degli aumenti contrattuali. Non sappiamo quante aziende rimarranno in piedi da qui a fine anno, ma il governo pensa che la soluzione sia aumentare gli stipendi in modo da incassare più contributi.
Boss mafiosi fuori di galera grazie al pasticcio giallorosso sulla salute dei carcerati
Una circolare del Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha disposto che i nominativi dei detenuti a rischio coronavirus venissero comunicati «con solerzia», si legge nel documento firmato da una funzionaria, all'autorità giudiziaria per le eventuali determinazioni di competenza. È il giudice di Sorveglianza, quindi, che decide, valutando caso per caso. E qualche caso c'è già. A Milano, martedì hanno concesso i domiciliari a Francesco Bonura, 78 anni, boss di Cosa nostra legato a Bernardo Provenzano. Anziano e a rischio Covid-19. E anche a Palermo il tribunale del Riesame ha mandato a casa Pino Sansone, 69 anni, ex vicino di casa di Totò Riina. Era detenuto a Voghera, dove l'altro giorno è morto un detenuto contagiato dal coronavirus. Sansone «è a rischio Covid per le sue condizioni di salute», avevano sostenuto i difensori nella memoria accolta.
La libertà per Sansone è scattata nonostante la ferma opposizione del pm antimafia Amelia Luise. A Catanzaro, è tornato a casa Vincenzo Iannazzo, 65 anni, detto il Moretto. «Il detenuto presenta un deficit immunitario che lo pone fortemente a rischio di infezione al Covid», ha valutato il consulente tecnico. E ora sono in molti a sperare: da Leoluca Bagarella al cassiere della mafia Pippo Calò, al boss Nitto Santapaola, ai capibastone della 'ndrangheta Pasquale Condello, Giuseppe Piromalli e Umberto Bellocco, fino al fondatore della Nuova camorra organizzata: nientepopodimeno che Raffaele Cutolo. Insomma, la circolare del Dap chiede ai direttori degli istituti di pena di segnalare ai giudici i nominativi dei detenuti che hanno più di 70 anni e sono affetti da determinate patologie. Probabilmente è stata la data a far collegare la circolare al Cura Italia: il 21 marzo, ovvero quattro giorni dopo l'approvazione del decreto con il quale il governo ha affrontato anche il problema del sovraffollamento, prevedendo i domiciliari per i detenuti che abbiano una condanna «non superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena». Nel documento del Dap, però, non ci sono richiami al decreto Cura Italia, così come non ci sono distinzioni tra tipo di detenuti. Un particolare, spiega Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila, «che ha fatto scattare l'allarme negli ambienti giudiziari, perché così si includono anche quei soggetti sottoposti al regime carcerario del 41 bis».
Una popolazione, quindi, di 74 boss al carcere duro, alla quale si aggiungono i detenuti in regime di Alta sicurezza, che «potenzialmente», valuta Bongiovanni, «rientrerebbero nella casistica dei soggetti a rischio».
Il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, vorrebbe combattere le paure innescate dalla notizia dei boss ai domiciliari con il braccialetto elettronico. E ieri ha detto: «C'era l'esigenza di misure straordinarie per contrastare l'emergenza che ha coinvolto anche le carceri per la concentrazione di detenuti e agenti di polizia penitenziaria. Ma sono stati esclusi delinquenti abituali e condannati per gravi delitti. Il magistrato di sorveglianza può inoltre decidere per l'esclusione dei domiciliari se ne ravvisa i motivi». Stando alle prime scarcerazioni, però, probabilmente quei motivi non sono stati ravvisati. E il testimone di giustizia siciliano Ignazio Cutro ha ribattezzato la circolare del Dap «Tana libera tutti». Ma sono in molti a chiamarlo già «il papello Svuotacarceri».
Il leader del Carroccio, Matteo Salvini, l'ha definita «una vergogna nazionale. Per rispetto dei magistrati e dei giornalisti caduti per mano mafiosa, non ci interessa se è colpa di Alfonso Bonafede o di Francesco Basentini (il direttore del Dap, ndr), ma chiudete le porte del carcere per i mafiosi. Alcuni sono usciti per un circolare del ministero della Giustizia e ora c'è uno scaricabarile».
Bonafede ha replicato, ritenendo gli attacchi un «inaccettabile sciacallaggio. Sostenere che alcuni esponenti mafiosi sono stati scarcerati per il decreto legge Cura Italia non solo è falso, è pericoloso e irresponsabile». Si tratta piuttosto, si è difeso il ministro, «di decisioni assunte dai giudici nella loro piena autonomia che in alcun modo possono essere attribuite all'esecutivo». È ovvio però che la circolare ha il chiaro obiettivo di segnalare ai giudici i nominativi dei detenuti a rischio, con la premessa sulle patologie e le possibilità di complicanze da Covid. È anche per questo che hanno storto il naso anche tra le fila della maggioranza: il Movimento 5 stelle ha chiesto l'intervento della commissione Antimafia e il Partito democratico ha sottolineato la «giusta preoccupazione e l'amarezza, soprattutto tra i parenti delle vittime».
«Se il governo non vuole ascoltare Fratelli d'Italia, allora raccolga l'appello lanciato dal sostituto procuratore della Procura generale di Napoli, Catello Maresca», ha scritto su Facebook la leader Giorgia Meloni, che ha aggiunto: «Bisogna revocare subito la circolare del ministero della Giustizia per impedire che altri mafiosi escano dalla galera e tornino a casa. Avevamo avvertito il governo di questo rischio, ma nessuno ha voluto ascoltarci».
Il decreto di marzo si chiama Cura Italia. È approdato solo martedì in Aula per affrontare gli emendamenti della maggioranza e dell'opposizione. Nonostante il coronavirus il nostro Paese resta una democrazia parlamentare e quindi il governo dovrà affrontare questa rogna della conversione in legge. Dei soldi promessi (25 miliardi) ne sono stati erogati poco meno di 3. Gli altri sono al momento ancora promesse, molte delle quali sono protagoniste del fallimento digitale dell'Inps e di altri mezzi frantumati dalla burocrazia italica. Nel frattempo, il premier Giuseppe Conte ha confermato che si appresta a varare il decreto di aprile entro la metà del mese. Non sappiamo con che nome sarà battezzato. Speriamo non Resuscita Italia, vista la situazione a metà tra l'ottimistico e la presa in giro. Di questo decreto ancora non c'è traccia.
Potrebbe però seguire il medesimo schema di quello di marzo, solo con importi diversi. Se così fosse ci sarebbe da dubitare della capacità del governo di imparare dagli errori. Uno su tutti sta proprio nell'uso dei decreti. Sono, infatti, il mezzo peggiore per prendere decisioni ai tempi del Covid-19.
Eppure l'obiettivo del nuovo testo sarebbe quello di estendere i bonus per gli autonomi, salvo cambiare le regole di accesso agli incentivi, e inserire il reddito di emergenza per tutti coloro che hanno perso il lavoro, compreso chi per anni è stato impiegato in nero. Se non bastasse, in piena «decretite», il premier ha aggiunto un terzo Dpcm che dovrebbe servire a dare liquidità alle imprese. «Con l'avvio del mese di aprile, il governo è al lavoro su due decreti, uno per le famiglie e uno per dare liquidità alle imprese vista l'emergenza economica causata dalla pandemia coronavirus». Sono le parole del presidente del Consiglio, nel corso dell'incontro con i leader di opposizione. «Siamo al lavoro per anticipare in un decreto-legge, da adottare subito, le misure più urgenti. Avvertiamo tutta l'urgenza di intervenire prima possibile», ha ribadito Conte a Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani. Tracciando, poi, un quadro economico generale, del quale non ha dato alcun tipo di dettaglio né di anticipazione, il premier ha proposto «un tavolo maggioranza-opposizione che si riunisca con ritmo più serrato» al fine di assicurare un «confronto che porti alla più ampia condivisione possibile anche sul piano sostanziale».
Nell'ottica del governo, il decreto cosiddetto «liquidità» dovrebbe essere varato prima del decreto aprile. Scusate lo scioglilingua, ma purtroppo la confusione linguistica rende in modo plastico il caos in cui sta finendo la nostra economia. Molti Paesi non hanno varato decreti. Hanno aperto i cordoni delle casse perché le imprese possano avere un salvagente almeno per i prossimi due mesi. Per fortuna, Conte sente l'urgenza di fare qualcosa per le aziende. Adesso, a un mese dalla chiusura delle scuole in Lombardia, evento che ha dato avvio alla consapevolezza del dramma che ha travolto il Nord Italia. In momenti di morte, a criticare l'azione del governo si rischia di passare per negativi e per inopportuni. Ma se si vede un muro in avvicinamento, bisogna, invece, gridare al conducente di frenare. E pensare di risolvere il problema delle aziende, costrette alla chiusura per tutelare la vita dei dipendenti, con un decreto significa accelerare verso il muro dei fallimenti e la tragedia economica. Anche le indiscrezioni numeriche che circolano fanno poco sperare. «Questa manovra richiederà lo stanziamento da parte del Tesoro di altri 10 miliardi di euro da aggiungere ai precedenti 5 inclusi nel programma di garanzia», riferiva ieri una fonte del Mef all'agenzia Reuters.
Non ha saputo essere più preciso nemmeno il ministro dell'Economia. Ieri, al question time, Roberto Gualtieri ha spiegato che «intendiamo presentare quanto prima una misura per rafforzare ulteriormente il sistema delle garanzie dello Stato per i prestiti alle imprese, per rafforzare ulteriormente le misure già prese e arrivare complessivamente a interventi analoghi, se non superiori, a quelli presi da altri Paesi europei». Inoltre, ha concluso il ministro, «il governo italiano è al lavoro su una proposta concreta di emissione comune di titoli». Il continuo rinvio e accavallamento di decreti si spiega in soli due modi. I giallorossi attendono l'esito dell'Eurogruppo per sapere quanti soldi possono spendere. E, secondo motivo, non c'è denaro a sufficienza. La combinazione delle due motivazioni rischia di essere irreparabile.







