Ciak, gli girano. Beppe Grillo sta acquattato a Marina di Bibbona e da lì ha fatto partire una bordata alla Gino Bartali: gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare. Inficia, come Garante, le lezioni di domenica scorsa alla Costituente del Movimento Cinque Stelle che lo hanno messo fuorigioco e impone una votazione bis. Uno dei suoi fedelissimi, Danilo Toninelli, lo aveva annunciato: «Credono di aver vinto la guerra, ma è solo il primo round, stanno pensando di calpestare il cadavere del leone, non hanno capito che il leone è ferito, ma ha molte altre zampate da dare». Ci ha pensato tutta la mattina ieri Beppe Grillo: una nuotata, malgrado il freddo, per smaltire la rabbia e poi via a preparare una video-bomba. La villa livornese è il set per i proclami ad alzo zero: lì il capocomico dei pentastellati filmò la difesa del figlio accusato di stupro, da lì partì la dichiarazione di guerra legale contro Giuseppe Conte. La scena si ripete. Gli hanno dato il ben servito dopo 15 anni. Giuseppe Conte gli ha sparato contro una raffica di risposte via internet che lo mette del tutto fuori gioco. Dei 46.000 e spiccioli che hanno votato alle consultazioni della Costituente di domenica al Palacongressi di Roma il 63,24% ha detto che il Garante va abolito. Gli iscritti hanno sancito anche col 74,63% che va abrogata la facoltà data al Garante di richiedere la ripetizione di una votazione sulle modifiche dello Statuto. Ma Grillo non si dà per inteso e a quel potere si è appellato. Anche perché le nuove regole valgono dal prossimo congresso: ora vale il vecchio Statuto e Grillo mantiene il suo potere di veto sulle elezioni. Anche sui quesiti che lo riguardano. A Giuseppe Conte non resta – anche se starebbe studiando una contromossa legale – che fare buon viso a cattiva sorte e scatenare di nuovo una campagna anti-Grillo. I più vicini al Garante, l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi e l’ex ministro dei Trasporti Danilo Toninelli sostengono che la ripetizione del voto non solo è legittima, ma ha una finalità precisa: far saltare il quorum. A norma di Statuto – tutt’ora vigente - Beppe Grillo può chiedere entro cinque giorni che sia ripetuta la consultazione sull’abrogazione della sua figura come tutore dell’ortodossia pentastellata. Conti alla mano quel quasi 30% che domenica ha detto sì al mantenimento del Garante vale 15 mila teste, se non votassero nella consultazione-bis non si raggiungerebbe il quorum – la metà più uno degli 89 mila votanti - e dunque tutta l’impalcatura di consenso messa in piedi da Giuseppe Conte crollerebbe. Tutto questo in due settimane considerato che agli iscritti va dato un preavviso di otto giorni e che per far ripartire la macchina elettorale servono 5 giorni. L’attesa del ri-voto sarebbe scandita dall’Elevato col «bombardamento» di video che si stanno girando a Marina di Bibbona non solo contro Giuseppe Conte, ma per rivendicare le radici del Movimento Cinque stelle. Per ora sul blog di Beppe Grillo compare una scritta che sa tanto di coming soon: hashtag riprendiamocilenostrebattaglie! Nel frattempo è stato mobilitato un pool di avvocati. Sostiene Danilo Toninelli - che è ancora nel collegio dei probiviri del M5S – che Beppe Grillo «è il proprietario del nome e del simbolo del Movimento e farà valere le sue ragioni in tribunale». Toninelli parlando a Radio Cusano Campus ha adombrato anche un sospetto di alterazione delle consultazioni di domenica. Ha sottolineato come la riduzione degli iscritti da 170.000 a poco meno di 90.000 ha modificato le proporzioni per arrivare al quorum e come molte «risposte ai quesiti statutari erano state di fatto predeterminate». Sulla regolarità delle consultazioni c’è anche un’altra indiscrezione che gira. Si dice che Vito Crimi – è stato tutto e il contrario di tutto nel Movimento: prima grillissimo, ora contiano di ferro – incaricato di sorvegliare sulla regolarità del voto in realtà si sia occupato assai da vicino dello spoglio elettronico. Alla domanda di Roberto Fico, ex presidente della Camera ora consigliere speciale di Giuseppe Conte, “tutto a posto?” lui avrebbe risposto «va come deve andare». Anche su questo si baserebbe la guerra di carte bollate che Grillo sta studiando. Di certo non vuole mollare; ce l’ha con i «traditori»: Paola Taverna, gli stessi Crimi e Fico, come Stefano Patuanelli tutti ora contiani e assai soddisfatti che sia saltato il limite dei due mandati parlamentari cancellato dal 72% dei voti, ma ora di nuovo sub judice. Beppe Grillo ha in animo anche una mossa tutta politica. Nei giorni scorsi Nina Monti - la storica segretaria dell’Elevato – avrebbe incontrato a Roma Alessandro Di Battista per ragionare di un rilancio del M5s con ritorno all’origine nel nome e nei contenuti. Già in estate si era parlato di un incontro tra Grillo e Di Battista smentito da quest’ultimo. Che Giuseppe Conte abbia timore di vedersi negato simbolo e nome lo lascerebbe intendere il fatto che ha chiesto agli iscritti - hanno approvato all’80% la possibilità di fare alleanze col Pd – come definirsi: al 36,7% si dicono progressisti indipendenti e al 22 forza progressista. Se saltano le cinque stelle è pronto un altisonante «I progressisti di Conte». Come insegna Dante: nomina sunt consequentia rerum!
Dopo 30 anni, finalmente un governo mette mano al monolite della magistratura. Botta alle correnti: i membri del parlamentino saranno sorteggiati. Nasce un’Alta corte disciplinare. In silenzio, molti i giudici favorevoli.
A quasi un anno dalla morte di Silvio Berlusconi, il governo sembra aver deciso di commemorare l’anniversario con una riforma della giustizia che non è esagerato definire epocale. Le principali novità sono la tanto attesa separazione delle carriere di giudici e pm, il sorteggio dei membri del Consiglio superiore della magistratura, destinato, come vedremo a sdoppiarsi, e, infine, la nascita di un’Alta corte disciplinare. L’esperienza del ministro della Giustizia Carlo Nordio, ex pm vittima delle correnti e dell’Associazione nazionale magistrati, è certamente stata decisiva per la svolta che il governo Meloni, con la salda maggioranza che lo sostiene, si accinge a varare con il disegno di legge costituzionale approvato ieri dal Consiglio dei ministri. La riforma Nordio, innanzitutto, divide il cursus professionale dei magistrati giudicanti e requirenti e istituisce due Csm. Attualmente è ancora possibile un passaggio tra i differenti percorsi: sarà proibito anche quello. Una decisione che porterà probabilmente anche a concorsi separati. L’articolo 104 della Costituzione riformato stabilisce che «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente. Il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente sono presieduti dal presidente della Repubblica». I nuovi parlamentini conserveranno soltanto le funzioni amministrative relative alla carriera dei magistrati («Assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, valutazioni di professionalità e conferimenti di funzioni»), mentre la «giurisdizione disciplinare» è trasferita in capo a un organo di nuova istituzione denominato «Alta corte disciplinare».
Nordio, nella conferenza stampa seguita all’approvazione della riforma in Cdm, ha individuato nel sorteggio dei consiglieri del Csm lo strumento idoneo a «interrompere il legame tra eletti ed elettori» del parlamentino dei giudici, un sistema «che ha portato a una serie di anomalie». Il Guardasigilli ha ricordato che, nonostante «scandali come quelli di Palamara e altri che hanno eccitato le proteste […] non sono stati apprestati i rimedi a quella che unanimemente è definita la degenerazione correntizia», riferendosi probabilmente anche alle ben note «circolari autoassolutorie» emanate dalla Procura generale della Cassazione dopo lo scandalo dell’hotel Champagne, direttive che hanno consentito alle correnti e ai gruppi di potere interni alla magistratura di continuare a gestire il Csm con logiche clientelari e spartitorie, grazie al sacrificio di un unico capro espiatorio, l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. Va detto che quella per il sorteggio è un’antica battaglia di buona parte della magistratura che ha costretto l’Associazione nazionale magistrati a indire un referendum nel 2021 che ha visto favorevoli il 42% dei votanti, percentuale che oggi voci autorevoli interne alla magistratura indicano come in netta crescita. La riforma approvata ieri prevede espressamente che i componenti del Csm siano estratti a sorte «per un terzo, da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, e, per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti», rinviando a una legge ordinaria i dettagli per la messa in pratica.
Le toghe progressiste hanno subito protestato, in particolare quelle di AreaDg, che hanno parlato di «una riforma che stravolge l’attuale assetto costituzionale spazzando via, nella sostanza, l’indipendenza dell’ordine giudiziario». E a causare il vulnus sarebbero l’introduzione del «concetto di «carriera» che allude a una magistratura «gerarchizzata» e l’idea che i consiglieri laici del Csm siano scelti con un sistema misto (elezione/sorteggio), mentre per i componenti togati si prevede la sola «estrazione a sorte». Almeno in teoria, le forze politiche potranno continuare a infarcire gli elenchi stilati dal Parlamento di personaggi vicini e contigui ai partiti o addirittura di deputati e senatori (del resto nel 2018 il parlamentare dem David Ermini è transitato direttamente dal Parlamento alla vicepresidenza del Csm) e quindi è auspicabile che la legge attuativa della riforma preveda regole chiare per evitare un’eccessiva politicizzazione dei due Csm.
il referendum
Va detto, però, che con la riforma approntata dalla maggioranza, se confermata, salterebbe la rappresentanza in chiave proporzionale delle forze politiche, infatti, anche se il Parlamento inserisse nel suo elenco una maggioranza di aspiranti laici vicini ai partiti di governo, grazie al sorteggio, potrebbero poi essere sorteggiati componenti unicamente riferibili all’opposizione. Medesimo discorso vale per i magistrati. Anche se la maggioranza delle toghe nel Paese risultasse conservatrice o moderata, la scelta casuale potrebbe spedire nei due organi di rappresentanza tutte toghe rosse. In poche parole anche in uno scenario come quello attuale (maggioranza in Parlamento e al Csm del centrodestra) potrebbero venire estratti due parlamentini interamente progressisti. Secondo la riforma i 15 giudici dell’Alta corte andranno selezionati, mutatis mutandis, con gli stessi criteri della Corte costituzionale, a partire dai tre «nominati dal presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio». Altri tre saranno sorteggiati in un elenco, con gli stessi requisiti, approntato dal Parlamento. E gli ultimi nove? «Sei magistrati giudicanti e tre requirenti» dovrebbero essere «estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie, con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità». Anche per i componenti dell’Alta corte disciplinare valgono le considerazioni sopra espresse per i due Csm, poiché un’eccessiva caratterizzazione politica dei membri dell’organo ne svilirebbe la natura tecnica e la credibilità delle decisioni. Di certo ci troviamo di fronte a una riforma radicale che potrebbe essere approvata anche senza necessità del referendum popolare previsto dall’articolo 138 della Costituzione considerato che potrebbe raccogliere il consenso anche di altre forze politiche oltre quelle della maggioranza, vale a dire Italia viva e Azione, ma anche di alcune frange del Pd che potrebbero portare alla maggioranza dei due terzi in seconda votazione.
Palamara, a caldo, ha detto alla Verità: «L’idea di carriere separate potrà meglio tutelare il diritto di difesa dei cittadini coinvolti in procedimenti penali. È facile immaginare come la strada della riforma sarà piena di ostacoli e tortuosa, ma ora è il momento del coraggio e sono certo che tanti ancora si uniranno per essere di pungolo al sistema». Di fronte a un’ipotesi di sciopero delle toghe, il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ha risposto: «Leggeremo la riforma e decideremo». Intanto è stato convocato d’urgenza un comitato direttivo centrale «per assumere nuove iniziative», mentre la giunta esecutiva centrale, una specie di governo del sindacato delle toghe, portandosi avanti, ha denunciato «una volontà punitiva nei confronti della magistratura ordinaria».
sostegno
Ma se dal fronte progressista delle toghe, ufficialmente, al momento si levano solo lai e minacce di guerra, sotto sotto i giudizi non sono tutti negativi. Un autorevole ex componente di sinistra di Palazzo dei marescialli, con la garanzia dell’anonimato, ci ha spiegato: «La straordinaria novità (ma anche la debolezza) di questo disegno di legge è che il sorteggio viene applicato anche ai laici. Tanto di cappello a Nordio che ci prova e vediamo se glielo lasceranno fare. Fino a oggi l’ipotesi dell’estrazione a sorte riguardava solo i togati, proposta che faceva immaginare un Csm con laici dal mandato politico forte contrapposti a quattro scappati di casa scelti a caso. Così le cose cambiano nel senso che la riforma, seppur discutibile, non è punitiva dell’ordine giudiziario. Inoltre, prevedere un Csm per i pm è comunque una bella garanzia». Infatti in Germania, in molti Paesi di common law e in diversi Paesi del Nord Europa non è previsto un Csm per i requirenti, ma solo per le toghe giudicanti. La nostra autorevole fonte conclude: «Certo prima di tornare a un sistema elettivo ci vorranno non meno di trent’anni. Quello che, però, mi piace è che il sorteggio riguardi tutti. E perciò dubito che la politica possa approvarlo così com’è».
Dopo 30 anni, finalmente un governo mette mano al monolite della magistratura. Botta alle correnti: i membri del parlamentino saranno sorteggiati. Nasce un’Alta corte disciplinare. In silenzio, molti i giudici favorevoli.
A quasi un anno dalla morte di Silvio Berlusconi, il governo sembra aver deciso di commemorare l’anniversario con una riforma della giustizia che non è esagerato definire epocale. Le principali novità sono la tanto attesa separazione delle carriere di giudici e pm, il sorteggio dei membri del Consiglio superiore della magistratura, destinato, come vedremo a sdoppiarsi, e, infine, la nascita di un’Alta corte disciplinare. L’esperienza del ministro della Giustizia Carlo Nordio, ex pm vittima delle correnti e dell’Associazione nazionale magistrati, è certamente stata decisiva per la svolta che il governo Meloni, con la salda maggioranza che lo sostiene, si accinge a varare con il disegno di legge costituzionale approvato ieri dal Consiglio dei ministri. La riforma Nordio, innanzitutto, divide il cursus professionale dei magistrati giudicanti e requirenti e istituisce due Csm. Attualmente è ancora possibile un passaggio tra i differenti percorsi: sarà proibito anche quello. Una decisione che porterà probabilmente anche a concorsi separati. L’articolo 104 della Costituzione riformato stabilisce che «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente. Il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente sono presieduti dal presidente della Repubblica». I nuovi parlamentini conserveranno soltanto le funzioni amministrative relative alla carriera dei magistrati («Assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, valutazioni di professionalità e conferimenti di funzioni»), mentre la «giurisdizione disciplinare» è trasferita in capo a un organo di nuova istituzione denominato «Alta corte disciplinare».
Nordio, nella conferenza stampa seguita all’approvazione della riforma in Cdm, ha individuato nel sorteggio dei consiglieri del Csm lo strumento idoneo a «interrompere il legame tra eletti ed elettori» del parlamentino dei giudici, un sistema «che ha portato a una serie di anomalie». Il Guardasigilli ha ricordato che, nonostante «scandali come quelli di Palamara e altri che hanno eccitato le proteste […] non sono stati apprestati i rimedi a quella che unanimemente è definita la degenerazione correntizia», riferendosi probabilmente anche alle ben note «circolari autoassolutorie» emanate dalla Procura generale della Cassazione dopo lo scandalo dell’hotel Champagne, direttive che hanno consentito alle correnti e ai gruppi di potere interni alla magistratura di continuare a gestire il Csm con logiche clientelari e spartitorie, grazie al sacrificio di un unico capro espiatorio, l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. Va detto che quella per il sorteggio è un’antica battaglia di buona parte della magistratura che ha costretto l’Associazione nazionale magistrati a indire un referendum nel 2021 che ha visto favorevoli il 42% dei votanti, percentuale che oggi voci autorevoli interne alla magistratura indicano come in netta crescita. La riforma approvata ieri prevede espressamente che i componenti del Csm siano estratti a sorte «per un terzo, da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, e, per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti», rinviando a una legge ordinaria i dettagli per la messa in pratica.
Le toghe progressiste hanno subito protestato, in particolare quelle di AreaDg, che hanno parlato di «una riforma che stravolge l’attuale assetto costituzionale spazzando via, nella sostanza, l’indipendenza dell’ordine giudiziario». E a causare il vulnus sarebbero l’introduzione del «concetto di «carriera» che allude a una magistratura «gerarchizzata» e l’idea che i consiglieri laici del Csm siano scelti con un sistema misto (elezione/sorteggio), mentre per i componenti togati si prevede la sola «estrazione a sorte». Almeno in teoria, le forze politiche potranno continuare a infarcire gli elenchi stilati dal Parlamento di personaggi vicini e contigui ai partiti o addirittura di deputati e senatori (del resto nel 2018 il parlamentare dem David Ermini è transitato direttamente dal Parlamento alla vicepresidenza del Csm) e quindi è auspicabile che la legge attuativa della riforma preveda regole chiare per evitare un’eccessiva politicizzazione dei due Csm.
il referendum
Va detto, però, che con la riforma approntata dalla maggioranza, se confermata, salterebbe la rappresentanza in chiave proporzionale delle forze politiche, infatti, anche se il Parlamento inserisse nel suo elenco una maggioranza di aspiranti laici vicini ai partiti di governo, grazie al sorteggio, potrebbero poi essere sorteggiati componenti unicamente riferibili all’opposizione. Medesimo discorso vale per i magistrati. Anche se la maggioranza delle toghe nel Paese risultasse conservatrice o moderata, la scelta casuale potrebbe spedire nei due organi di rappresentanza tutte toghe rosse. In poche parole anche in uno scenario come quello attuale (maggioranza in Parlamento e al Csm del centrodestra) potrebbero venire estratti due parlamentini interamente progressisti. Secondo la riforma i 15 giudici dell’Alta corte andranno selezionati, mutatis mutandis, con gli stessi criteri della Corte costituzionale, a partire dai tre «nominati dal presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio». Altri tre saranno sorteggiati in un elenco, con gli stessi requisiti, approntato dal Parlamento. E gli ultimi nove? «Sei magistrati giudicanti e tre requirenti» dovrebbero essere «estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie, con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità». Anche per i componenti dell’Alta corte disciplinare valgono le considerazioni sopra espresse per i due Csm, poiché un’eccessiva caratterizzazione politica dei membri dell’organo ne svilirebbe la natura tecnica e la credibilità delle decisioni. Di certo ci troviamo di fronte a una riforma radicale che potrebbe essere approvata anche senza necessità del referendum popolare previsto dall’articolo 138 della Costituzione considerato che potrebbe raccogliere il consenso anche di altre forze politiche oltre quelle della maggioranza, vale a dire Italia viva e Azione, ma anche di alcune frange del Pd che potrebbero portare alla maggioranza dei due terzi in seconda votazione.
Palamara, a caldo, ha detto alla Verità: «L’idea di carriere separate potrà meglio tutelare il diritto di difesa dei cittadini coinvolti in procedimenti penali. È facile immaginare come la strada della riforma sarà piena di ostacoli e tortuosa, ma ora è il momento del coraggio e sono certo che tanti ancora si uniranno per essere di pungolo al sistema». Di fronte a un’ipotesi di sciopero delle toghe, il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ha risposto: «Leggeremo la riforma e decideremo». Intanto è stato convocato d’urgenza un comitato direttivo centrale «per assumere nuove iniziative», mentre la giunta esecutiva centrale, una specie di governo del sindacato delle toghe, portandosi avanti, ha denunciato «una volontà punitiva nei confronti della magistratura ordinaria».
sostegno
Ma se dal fronte progressista delle toghe, ufficialmente, al momento si levano solo lai e minacce di guerra, sotto sotto i giudizi non sono tutti negativi. Un autorevole ex componente di sinistra di Palazzo dei marescialli, con la garanzia dell’anonimato, ci ha spiegato: «La straordinaria novità (ma anche la debolezza) di questo disegno di legge è che il sorteggio viene applicato anche ai laici. Tanto di cappello a Nordio che ci prova e vediamo se glielo lasceranno fare. Fino a oggi l’ipotesi dell’estrazione a sorte riguardava solo i togati, proposta che faceva immaginare un Csm con laici dal mandato politico forte contrapposti a quattro scappati di casa scelti a caso. Così le cose cambiano nel senso che la riforma, seppur discutibile, non è punitiva dell’ordine giudiziario. Inoltre, prevedere un Csm per i pm è comunque una bella garanzia». Infatti in Germania, in molti Paesi di common law e in diversi Paesi del Nord Europa non è previsto un Csm per i requirenti, ma solo per le toghe giudicanti. La nostra autorevole fonte conclude: «Certo prima di tornare a un sistema elettivo ci vorranno non meno di trent’anni. Quello che, però, mi piace è che il sorteggio riguardi tutti. E perciò dubito che la politica possa approvarlo così com’è».
«Il fazzoletto e la cravatta verde sono i nostri simboli». Mentre la Lega tornata al governo prepara la squadra per Camera e Senato, Umberto Bossi mantiene aperta la finestra sul passato, con l’orizzonte romantico di vallate nordiche, valori da custodire, sogni da realizzare. Lui è il fondatore, un totem vivente (81 anni). Rappresenta la storia del movimento e tutti ne riconoscono il valore, a cominciare da Matteo Salvini che per primo aveva chiesto per lui la nomina a «Senatur a vita» nel giorno del seggio in bilico, prima che il pasticcio del Viminale venisse smascherato da Roberto Calderoli.
L’Umberto è sempre stato un fine politico dal lessico di carta vetrata, difficile circuirlo. Non per niente, dopo aver lasciato correre pensieri in libera uscita su ipotetiche fronde interne, ha deciso di soffiare via la nebbia dalla sua ultima creatura. «Quello che sto facendo è in linea con ciò che ho fatto tutta la vita: far valere le ragioni del Nord. Ribadisco che Comitato del Nord è un comitato interno alla Lega per Salvini premier». Un distinguo che difficilmente ha fatto piacere a un battitore libero ai margini come Roberto Maroni.
Quello di Bossi è un ritorno a Schilpario Mountain, la sottolineatura che il partito nasce in Lombardia, Piemonte e Veneto, sotto le Alpi. E che il filo della memoria deve riportare lì, ma senza scossoni anche perché non ci sarebbero queste gran folle per realizzarli. Lo stesso Senatur specifica: «Non sono coinvolti nomi che non facciano parte del partito, alla base c’è il rispetto della militanza. Le persone alle quali affido il mandato per l’organizzazione sono l’europarlamentare Angelo Ciocca con il compito di tenere i rapporti con i militanti e le istituzioni europee, e Paolo Grimoldi per gestire le relazioni regionali. Ho scelto apposta due esponenti della Lega per aiutarmi nel progetto».
Cala il sipario sul Bossi ribelle, sulla mistica del vecchio leone che si rimette il giaccone per calare a prendere a schiaffi i nipotini dimentichi dei valori primari. Cattiva letteratura. La sua spinta potrà essere utile nel percorso verso l’autonomia, che la Lega vorrebbe concretizzare negli anni al governo per Lombardia, Veneto e tutte le regioni che l’hanno chiesta, fra le quali spiccano anche Emilia Romagna e Toscana. È curioso notare che nell’operazione, Salvini potrebbe contare su un alleato contro natura, quello Stefano Bonaccini in pole position per sostituire Enrico Letta al Nazareno.
Autonomia, federalismo, lavoro, territorio rimangono parole chiave. Per questo il governatore lombardo, Attilio Fontana, non vede spaccature. «Quello di Bossi più che un movimento è un’idea, dentro la Lega non c’è nessuna fronda». L’ex ministro Roberto Castelli, leader di «Autonomia e libertà», da sempre critico con la linea di Salvini, non si fida fino in fondo della nuova cosa verde: «Bossi non è assolutamente un’ombra, è una presenza fondamentale, lotterà fino alla fine. Ma bisogna capire come si sviluppa questa questione. Ho imparato che in ogni iniziativa politica bisogna chiedersi “cui prodest?” Perché le letture possono essere tante. Se il Comitato del Nord parte da una precisa esigenza di portare alla ribalta il dibattito sulla questione settentrionale, assolutamente ben venga».
Più che un’operazione disgregante sembra un’iniziativa collante. Per unire e rassicurare più che per dividere. «Quando Bossi ordina si può solo lavorare», spiega l’europarlamentare Angelo Ciocca. «Il suo è un progetto che punta proprio a evitare che la Lega si sfasci, una operazione per ricompattare energie importanti, quel Nord che ha fatto grande la Lega su intuizione del fondatore. Da me massima disponibilità a lavorare su questa linea, ma sempre all’interno della Lega per Salvini premier e nell’interesse di questa formazione». La Liga Veneta è più frontale, vorrebbe che la scialuppa bossiana remasse fuori dalla corrente. «La proposta di Bossi è uno sfogo figlio del malessere che è dato dalla lontananza del partito dal territorio», dice il consigliere regionale Fabrizio Baron. «Siamo in Veneto e non in Lombardia ma da noi, come da loro, tutto è figlio del malessere che c’è da tempo. Da tre anni non si fanno congressi, dopo quattro anni al governo non si è riusciti a fare l’autonomia che è un nostro tema fondante».
La dialettica nel partito è del tutto legittima, anche perché arriva dopo un significativo taglio dei consensi elettorali in termini percentuali (dal 17% al 9% alle politiche). Ma nessuno dimentica il dato di fatto che un politico di lungo corso avvezzo alle dinamiche del Carroccio tiene a sottolineare in via Bellerio: «Poiché il 90% dei militanti è con Salvini, ogni iniziativa per democratizzare la struttura piramidale è la benvenuta, ma gli effetti sono più che marginali».
Lo hanno capito anche gli autonomisti duri e puri, quelli di Gianni Fava, che si ritroveranno il 15 ottobre a Biassono (Monza Brianza) all’assemblea «Per il Nord. Riparte la battaglia». Sono militanti fuoriusciti perché non credono alla Lega nazionale e quando sentono parlare di ponte sullo Stretto hanno attacchi di panico. Fava, ultimo rivale di Salvini al congresso del 2017, abbozza: «Le circostanze con le quali nasce la cosiddetta corrente bossiana sono sospette. Gli autonomisti veri saranno a Biassono e non hanno nulla a che vedere con surreali correnti nordiste all’interno della Lega». Castelli manderà una sua rappresentanza. Di sicuro ci saranno più giornalisti del solito (zero).
Il secondo giorno di consultazioni elettorali del Consiglio superiore della magistratura conferma l’andamento del primo di votazioni, che aveva già evidenziato un chiaro bipolarismo tra le correnti, con un leggero sbandamento a sinistra.
L’elezione dei membri togati del Csm al momento, in attesa della nomina dei componenti laici scelti dal Parlamento, disegna infatti una maggioranza di centrosinistra. Infatti, le toghe progressiste del cartello di Area Dg, Md e dei centristi di Upc, la vecchia Unicost depalamarizzata, hanno totalizzato, tra giudici di legittimità, giudici di merito e la parte scrutinata dei magistrati requirenti (i pubblici ministeri), 11 consiglieri su 20 totali. Mi, la corrente di destra, al primo posto insieme ad Area per numero di voti (558) nel primo collegio, potrebbe quindi rimanere isolata. Sempre che non arrivi a darle man forte il gran numero di laici di centrodestra, che probabilmente verranno scelti da Camera e Senato.
Saranno componenti del Csm anche il primo presidente e il procuratore generale della Cassazione, che sono entrambi membri di diritto. In base alla nuova legge elettorale introdotta dalla riforma Cartabia. I 13 giudici di merito eletti ieri sono stati scelti in 4 collegi maggioritari: in ciascuno passano i primi due mentre gli altri 5 posti saranno assegnati con un meccanismo proporzionale su base nazionale. Nel collegio unico che ha eletto i togati provenienti dalla Cassazione, la candidata di Mi, Paola D’Ovidio, ha ottenuto 1.860 voti (più della collega Loredana Micciché nel 2018) mentre il candidato di Area Dg, Antonello Cosentino, secondo classificato, ha ottenuto 1.226 voti. Entrambi sono entrati a Palazzo dei marescialli.
I 13 giudici di merito, che in base alla nuova legge elettorale introdotta dalla riforma, vengono scelti in quattro collegi maggioritari: in ciascuno passano i primi due mentre gli altri cinque posti saranno assegnati con un meccanismo proporzionale su base nazionale. Una riforma che ieri, sentito dalla Verità durante lo spoglio, l’ex pm (ed ex uomo forte di Unicost al Csm) Luca Palamara ha demolito descrivendola quasi come una sorta di Rosatellum in versione togata: «È indubbio che al ministero una manina esperta dei meccanismi elettorali ha ben congegnato alla Ministra Cartabia, evidentemente estranea alle logiche di potere interne alla magistratura, un sistema che con logica dei resti finisce con il privilegiare sempre e comunque chi appartiene ad una corrente impedendo di fatto ogni velleità agli indipendenti. Quella che è stata venduta agli italiani come riforma delle correnti in realtà le ha rafforzate ancor di più».
Sta di fatto che il risultato di ieri, ha portato a una maggioranza di tre eletti nei collegi binominali per Area, Genantonio Chiarelli (giudice penale a Brindisi), Francesca Abenavoli (Gip a Torino) e Marcello Basilico (giudice a Genova) ; 3 collegi a Magistratura Indipendente per Maria Luisa Mazzola (giudice a Bergamo), Bernadette Nicotra (giudice a Roma), Edoardo Cilenti (consigliere d’appello a Napoli) ) ; 2 collegi a UpC per Antonino Laganà (giudice di appello a Reggio Calabria) e Roberto D’Auria (giudice a Napoli). I cinque seggi da assegnare con i resti vanno uno ciascuno a Magistratura democratica (879 voti: Domenica Miele, giudice penale a Napoli), agli indipendenti di Articolo 101 (621 resti; Andrea Mirenda, giudice di sorveglianza a Verona), a Upc (592 resti, Michele Forziati consigliere di appello a Roma); MI (491 resti Maria Vittoria Marchianó , presidente del Tribunale di Crotone) - Area (461 resti, Tullio Morello, presidente di sezione a Napoli Nord). Restano a bocca asciutta senza ottenere seggi: Autonomia & indipendenza (già evaporata nell’elezione di legittimità dopo essersi proposta come alternativa alle correnti) e gli indipendenti del cosiddetto listino Ferri, nome che fa riferimento al parlamentare di Azione (e magistrato in aspettativa) Cosimo Ferri.
I togati di merito saranno quindi 5 di Mi (nel 2018 erano 2), 5 di Area (3 nel 2018), 3 di Upc (5 nel 2018, come Unicost) 1 di Md ( che non aveva nessun togato di merito) ed 1 ad Articolo 101. Tra i requirenti nel primo collegio sono stati eletti il pm di Firenze Eligio Paolini di Magistratura indipendente) che è risultato il candidato più votato con 986 preferenze. Lo segue, con 675 voti, il pm di Milano Roberto Fontana, candidato indipente di Md. L’ufficio elettorale della Cassazione ieri ha interrotto i lavori dopo lo scrutinio del primo collegio elettorale relativo ai pm e procederà oggi con quello del secondo collegio per la medesima categoria), concludendo così lo spoglio delle schede.
La commissione elettorale centrale procederà quindi all’assegnazione dei cinque posti rimanenti per i giudici di merito, con un meccanismo proporzionale su base nazionale, e del quinto pm attraverso il ripescaggio del miglior terzo, completando il quadro dei nuovi 20 togati che siederanno a Palazzo dei marescialli nella prossima consiliatura. In attesa dell’arrivo dei nuovi laici, che, come i loro predecessori, dovranno probabilmente sgomitare molto per frenare lo strapotere delle correnti.






