Ecco #LaVeritaAlleSette del 16 maggio 2022 con Alessandro Rico.
L'argomento di oggi è: "Extramortalità e dati da interpretare. Deludente performance del booster. Italia “contromano” sulle mascherine".
Ecco #LaVeritaAlleSette del 16 maggio 2022 con Alessandro Rico.
L'argomento di oggi è: "Extramortalità e dati da interpretare. Deludente performance del booster. Italia “contromano” sulle mascherine".
Ogni anno che passa la lista di agevolazioni fiscali si allunga sempre di più. Nel 2021, stando al documento redatto dal ministero dell’Economia e delle Finanze, le tax expenditure sono arrivate a quota 602. E sono costate oltre 68 miliardi di euro.
L’anno scorso anche il governo Draghi ha ben pensato di rimpolpare i vari bonus introducendo, per esempio, quello per gli under 36 che acquistano una casa, oppure per i giovani, under 35 anni, che devono prendere la patente, o ancora, il bonus tv e la carta giovani (che vale fino a 35 anni) e permette di ottenere sconti per andare in crociera, per fare shopping dalla Rinascente o per ascoltare audiolibri gratis. Per non parlare poi di tutte quelle agevolazioni che sono state confermate come: i vari bonus per la casa (ecobonus, facciate, superbonus 110%), quello risparmio idrico ma anche quello acqua, e poi il bonus mobili, il credito d'imposta per la mobilità sostenibile, le agevolazioni per i neo residenti e per gli impatriati che tornano a casa, ma anche per i pensionati esteri che vengono in Italia. E ancora: bonus per la riqualificazione energetica, per comprare gli occhiali, i libri, la musica e molti altro ancora.
Insomma, anche l’attuale governo che aveva annunciato un riordino delle tax expenditure, alla fine ha ceduto al fascino dei bonus. Il problema italiano non è però solo l’enorme quantità di agevolazione che di anno in anno accumulano ma anche il fatto che si perde il conto di quanto effettivamente costano. Ci sono infatti voci di cui non si conoscono i reali beneficiari. Questo gap di informazione ha però delle serie conseguenze sul bilancio finale, perché non si riesce effettivamente a capire quanto le tax expenditure incidono effettivamente sulle casse dello Stato. E rendono anche difficile un ipotetico lavoro di riordino delle agevolazioni stesse. Ma non solo, perché più aumentano i bonus, che il governo concede ai cittadini, più il sistema fiscale rischia di diventare sempre più complesso, poco chiaro e con possibili sovrapposizioni. La stratificazione che viene a crearsi allontana sempre di più il contribuente e rischia anche di far perdere delle opportunità fiscali, a chi magari ne ha veramente bisogno, perché non ne viene a conoscenza. Ci sono infatti dei bonus, parliamo per esempio di quelli energetici disponibili per le famiglie più fragili economicamente, che potrebbero veramente aiutare in questa situazione di difficoltà con i prezzi dell’energia in continuo aumento. Ma la complessità del nostro sistema fiscale non rende facile la conoscenza di tutte le opportunità che ci sono. Che l’Italia abbia un problema per quanto riguarda le tax expenditure è chiaro anche all’Ocse. In uno dei suoi lavori focalizzati sulle «Social Purpose» nel 2019 (ultimi dati disponibili) il nostro Paese si era classificato al primo posto per quanto riguarda la spesa sociale distribuita attraverso trasferimenti cash. Al secondo la Grecia e poi la Francia e l’Australia. Una distorsione che quindi ci viene riconosciuta anche a livello internazionale e alla quale non siamo riusciti ancora a porvi rimedio.
È tempo di dichiarazione dei redditi. Quest'anno i più colpiti dalla pandemia e i più trascurati dal Conte bis sono anche quelli che avranno più rogne burocratiche. Ristoratori, baristi, partite Iva e professionisti, insomma tutti colore che nel corso del 2020 hanno ricevuto i bonus Covid dovranno inserire o far inserire nei modelli anche le cifre ricevute. Poco importa che i contributi a fondo perduto non impattino in alcun modo sull'imponibile o sulle imposte regionali, la burocrazia impone i suoi riti e ogni rito ha un capro da immolare. Dunque, ogni bonus deve essere appositamente indicato nei quadri Re oppure Rg, in base ai flussi di crescita o alla classe di appartenenza. Non solo. Le voci incassate devono anche seguire l'iter che di solito seguono gli aiuti di Stato che - è inutile dire - vantano un prospetto specifico. Una norma del 1990, aggiornata nel 2000, prevede che l'amministrazione finanziaria non possa né debba chiedere al contribuente informazioni che già possiede. Ora, in buona parte i fondi sono stati erogati dalla stessa Agenzia delle entrate, mentre in altri casi da parte dell'Inps. In entrambe i casi l'Erario già sa quanti soldi ha incassato il barista di Roma o il ristoratore di Milano. Eppure, il direttore Ernesto Maria Ruffini sentito alla commissione di vigilanza sull'anagrafe tributaria meno di due settimane fa ha tenuto a precisare che in realtà alla sua Agenzia mancherebbero due informazioni. La prima relativa alla dimensione del soggetto che ha fatto richiesta dei bonus e la seconda alla forma societaria.
Una delle due nozioni è presente nella richiesta bonus e l'altra nella banca dati dell'Erario. Viene da chiedersi a che servano gli oltre 160 database se non si parlano tra di loro e se non aiutano in alcun modo ad andare incontro al cittadino. Ma la domanda a cui è difficile dare una risposta è: se i bonus non concorrono all'imponibile e ovviamente non sono tassati, perché metterli nella dichiarazione dei redditi? Perché non chiedere un semplice foglietto allegato al 730 nel quale rispondere a un questionario con banali crocette? Va segnalato che il formulario non comporterebbe sanzioni. Se invece si sbaglia a compilare i quadri e soprattutto se si inseriscono nel prospetto degli aiuti di Stato degli errori si è passibili non soltanto di multa e sanzione, ma soprattutto piomba sulla testa le «revoca del beneficio». Tradotto in parole povere. Nonostante l'elemosina, nonostante i ritardi, le mancate promesse e l'incapacità di spendere i fondi nel corso dei quattro decreti Ristori, alla fine le partite Iva hanno superato il crinale e si avviano verso le riaperture. Scoprire che per un semplice errore nel riporto del rigo si rischia di dover restituire i 5.000 o poco più euro è qualcosa di più di una beffa. Sarebbe l'emblema di un sistema che non funziona. Abbiamo sempre criticato il sistema dei bonus e l'uso delle agenzie per la distribuzione. Per il semplice fatto che si basano su strumenti e veicoli ordinari che certo non soddisfano le necessità di un cataclisma come il Covid.
Ma soprattutto l'ordinarietà fiscale in Italia è nella gran parte dei casi una zavorra che tira a fondo le aziende. Lunedì sera in occasione del cdm, Ruffini è stato riconfermato alla guida delle Entrate. È sempre lo stesso direttore che faceva gli spot assieme a Matteo Renzi sul fisco amico che ti invia gli sms. Adesso sarà sempre lui a interfacciarsi con la nuova maggioranza di governo che lavora alla riforma fiscale. Sono partite le dichiarazioni e i lavori in Aula. Coinvolte nella riforma non sono solo le varie parti sociali ma anche i partiti. Pd, 5 stelle, Lega e Fratelli d'Italia hanno già sventolato le rispettive bandiere. Da una parte forti punti di contatto, e dall'altra grosse distanze. Per tutti un aspetto fondamentale è la semplificazione del sistema fiscale, le diversità stanno nel come perseguire l'obiettivo. Per la Lega è fondamentale ridurre i tantissimi adempimenti costosi per le imprese, gli artigiani, i commercianti e i professionisti. E come modello si ispira alla flat tax fino ai 65.000 perché andrebbe a coniugare l'esigenza di semplificazione, riduzione delle imposte e rilancio economico.
Fratelli d'Italia guarda alla tassa piatta in un'ottica diversa: detassazione «piatta» sul reddito incrementale. Cioè, sul maggior reddito guadagnato rispetto all'anno precedente dovrebbe essere applicata una tassazione al 15%. Il Movimento punta invece tutto sulla tecnologia. E dunque il suo obiettivo è rendere il fisco più fruibile per tutti i cittadini attraverso una app. Il Pd invece punta sulla razionalizzazione delle spese fiscali, sull'alleggerimento del carico fiscale per il ceto medio e sulla riduzione del carico fiscale per chi lavora e fa industria. Obiettivo, quest'ultimo, in comune anche con Forza Italia, al quale si aggiunge anche il taglio sulle agevolazioni.
Tutto bene. Ci auguriamo che i partiti vadano avanti e guai a cadere nell'errore del saldo zero. Che nasconde sempre la fregatura. Però la realtà non si ferma. La dichiarazione dei redditi è imminente e le riforme si fanno dalle piccole cose. Chi lo spiegherà a un barista il cui commercialista è caduto in errore che dovrà restituire gli spicci? Quando saprà che si poteva semplice evitare la complicazione della denuncia dei redditi per il bonus Covid, non gli basterà la consolazione che fra due anni potrà usare una app. Sempre che funzioni meglio di Immuni.
Ma perché quei nomi non interessano più nessuno? Siamo andati avanti per giorni e giorni, un coro d'indignazione infinita, sembrava non esistesse null'altro al mondo: tutti volevano conoscere l'identità dei disonorevoli furboni, i mentecatti del coronavirus, quelli che in piena emergenza si preoccupavano di mettere in tasca il bonus da 600 euro. E, a dire il vero, a noi la curiosità non è passata. Infatti siamo ancora qui, sempre risoluti, non ci muoviamo di un millimetro e chiediamo al presidente dell'Inps, Pasquale Tridico(lo), di comunicare ufficialmente la lista degli zozzoni. Ci teniamo da matti. Lo vogliamo proprio sapere. Come dieci giorni fa. Anzi un po' di più. Però, ecco, il fatto è che siamo rimasti soli. O quasi. A tutti gli altri sembra non importare più nulla. Furboni dell'Inps? Parlamentari? 600 euro? Non pervenuti. Sfogli le pagine dei giornali, al massimo c'è una breve. Titoloni in prima? Spariti. Le trasmissioni tv? Tacciono. La politica? Latita. Ma come? Da quei nomi non dipendeva la dignità della nostra democrazia? Non era fondamentale conoscerli per poter difendere la nostra Repubblica? Noi, scusate, continuiamo a pensarla così. E ci insospettisce non poco che gli altri abbiano cambiato idea.
Eppure quei nomi l'Inps non li ha mai resi noti. Formalmente Tridico(lo) si trincera dietro il rimpallo all'italiana: prima manca la richiesta in carta bollata, poi manca il parere del Garante, poi arriva il parere del Garante ma non è ancora sufficiente, ci vuole un approfondimento, ma anche l'approfondimento non è abbastanza approfondito. Risultato: la melina. È vero che tre nomi sono saltati fuori (quello di Elena Murelli e Andrea Dara della Lega e di Marco Rizzone dei 5 stelle) ma perché li hanno fatti i rispettivi partiti. Dall'istituto nessuna comunicazione ufficiale. Tutto resta segreto. Così come restano segreti i nomi dei 2.000 amministratori locali che hanno fatto la medesima furbata. E così come restano segreti, ed è ancor più grave, i nomi degli altri due parlamentari (uno del Pd e uno di Italia viva, a quanto pare) che a prendere il bonus ci hanno provato. Senza riuscirci, il che è quasi un'aggravante.
Ecco: noi, di tutto ciò, non ci diamo pace. Continuiamo a chiederci: perché all'improvviso a nessuno interessa più conoscere quella lista nera? Hanno forse smesso di colpo di essere mentecatti, accattoni, meschini, parassiti e tutto il resto? Non meritano più di ricevere l'appropriata dose di insulti? E perché di due di quei cinque parlamentari non si è mai fatto il nome, neppure per sbaglio? Il fatto che non abbiano incassato la somma, chiaramente, è irrilevante. Lo scandalo di tutta la vicenda, infatti, non è il danno erariale, ma l'atteggiamento di chi, eletto per difendere gli italiani, difende invece soltanto i suoi interessi. È l'arroganza di non si preoccupa di chiedere i 600 euro per gli italiani che ne hanno bisogno, ma di chiederli per sé (insieme ai 12.000 euro di stipendio assicurati). Il fatto che i quattrini arrivino realmente o no cambia poco: è l'atto di chiederli che squalifica il parlamentare. E che dunque deve essere censurato.
Ma per essere censurato deve essere conosciuto. Ora, lo ripetiamo, noi non abbiamo cambiato idea: continuiamo fermamente a ripetere #fuoriinomi, anche se l'hashtag non è più in tendenza. Continuiamo a volere sapere chi sono quei due che hanno chiesto il bonus e la cui identità non è mai stata rivelata. Continuiamo a volere avere la conferma ufficiale dall'Inps dei tre nomi usciti dalle segreterie dei partiti, e vorremmo pure sapere se per caso ce ne sono degli altri. E, già che ci siamo, ci piacerebbe fosse chiarito anche qualche altro mistero di corollario. Per esempio: come mai Tridico(lo) parlò al telefono con il vicepresidente della Camera Ettore Rosato per escludere la presenza di parlamentari di Italia viva tra coloro che avevano ricevuto il bonus? «Questione personale», ha detto il presidente dell'Inps. Ma è una spiegazione che non sta in piedi: il presidente dell'Inps parla con il vicepresidente della Camera di contributi pubblici ricevuti da parlamentari, ed è una «questione personale» come la briscola al bar di due pensionati? Ma vi pare?
Ora il problema è: perché su tutti questi dubbi è calato improvvisamente il silenzio? Non riusciamo a farcene una ragione. Fino a qualche giorno fa era un garrire di editoriali, un fiorir di elzeviri, il trionfo dell'indignazione. Ora, nulla, silenzio. I giornaloni, tutti presi a bastonare il nuovo nemico - cioè il giovane che va in discoteca - si sono distratti. La commissione Lavoro della Camera, tutta presa a far dimenticare la figuraccia tecnologica della presidente Debora Serracchiani nell'ultima riunione balneare, marca visita. E poi si sa, i parlamentari sono in vacanza: in questo momento più che degli scrocconi sono preoccupati dagli ombrelloni. Le uniche informazioni che vogliono con urgenza sono quelle sul bonus pedalò. E così ci sembra di essere rimasti un po' soli: di tanti che strepitavano non è rimasto molto.
Per carità, non ci permettiamo di sindacare le scelte altrui. Ognuno si indigna per quel che vuole. Può essere anche che un giorno uno è assatanato per sapere i nomi dei furbetti del bonus e il giorno dopo, anche se quei nomi non sono stati fatti, se ne dimentica. Succede. Solo che, così, ci torna in mente un dubbio che abbiamo sollevato fin dall'inizio. E cioè che questo polverone sui parlamentari mentecatti sia stato sollevato ad arte, un giorno non a caso di agosto, per sviare l'attenzione dai guai di Conte, del governo e dell'Inps. Ricordate? Quando è scoppiato lo scandalo tutti parlavano delle bugie del premier sulla zona rossa. Argomento uscito di scena. Così come sono passati in secondo piano la vicenda Autostrade (irrisolta), i pasticci con gli immigrati, i ritardi nel pagamento alle imprese. Puff: tutto svanito. In un attimo. La cortina fumogena si è alzata, ed è rimasta lì, giusto il tempo necessario a scatenare il nuovo allarmismo contro il pericolo mortale della discoteca, che ha assorbito l'attenzione generale. Serviva dare un'altra bottarella alla Lega? Fatto. Serviva scavallare il Ferragosto senza troppi danni? Fatto. A chi importa tutto il resto? A nessuno. Peraltro uno dei due parlamentari sospetti potrebbe pure essere del Pd. Svelare il nome? E perché mai? Nicola Zingaretti che tuonava vergogna ora tace. E nessuno gliene chiede conto. Maurizio Belpietro, giovedì 13 agosto, scriveva: «Usano i ladri di polli per distrarci dalle loro bugie». E mai una volta che la realtà ci dia la soddisfazione di smentire i nostri sospetti.
(...) il professor Pasquale Tridico, un uomo fortemente voluto ai vertici dell'ente previdenziale dai grillini, ci ha tolto ogni dubbio. Il numero uno dell'istituto, tra balbettii e difficoltà di collegamento, ha risposto alla commissione parlamentare presieduta da Debora Serracchiani chiarendo alcune cose. La prima è una conferma di ciò che avevamo riferito, ovvero che l'Inps sapeva degli onorevoli con il bonus da quasi tre mesi. Il servizio antifrode dell'ente aveva infatti segnalato la cosa addirittura dalla fine di maggio. Tuttavia, Tridico ha negato di essere stato lui a spifferare il caso a Repubblica, il primo quotidiano che ha rivelato la notizia. Il professore giura di non averne parlato con anima viva, ma soprattutto con i giornalisti. Però ammette di aver riferito la cosa al consiglio di amministrazione dell'istituto. Perché una vicenda che non ha a che fare con le frodi (in base alla legge anche gli onorevoli hanno diritto al bonus) sia stata messa all'ordine del giorno del consiglio di amministrazione di un colosso previdenziale qual è l'Inps è però un mistero. Se l'erogazione del sussidio rispondeva ai criteri di legge, anche se inopportuna, perché Tridico ha sentito il bisogno di raccontare tutto ai consiglieri? Anche i bambini sanno che parlare in un cda è come parlare con l'Ansa, cioè come fare un dispaccio d'agenzia: per quanto sia richiesta la riservatezza su ciò che si discute in consiglio, era facile prevedere che la notizia sarebbe rimasta segreta qualche settimana, non molto di più. Possibile che il presidente dell'Inps sia così ingenuo da non sapere che per mantenere riservato un fatto è meglio evitare di parlarne? Se riferisci una notizia a due dozzine di persone, il minimo che ti possa capitare è che dopo un mese lo sappiano tutti.
C'è poi un altro fatto che emerge dopo l'audizione di Tridico, e cioè che l'indagine interna dell'Inps non aveva nessun reale motivo per essere fatta. Il presidente non è infatti riuscito a spiegare come mai il suo staff sia andato a caccia di parlamentari, spulciando i nomi dei beneficiari alla ricerca di qualche onorevole. Non essendo illegale ma solo moralmente censurabile, perché l'ente ha voluto verificare la richiesta di deputati e senatori? Tridico respinge l'idea di un dossieraggio, minacciando querele e nega che ci sia qualche collegamento con il referendum caro ai grillini sulla legge per ridurre il numero di eletti in Parlamento. Tuttavia la coincidenza è assai curiosa.
Soprattutto è sorprendente che siano usciti i nomi di due leghisti e di un grillino, ma siano stati coperti quelli di un onorevole del Pd e di un altro di Italia viva. La scusa è che i primi tre hanno effettivamente incassato i 600 euro, mentre gli altri due si sarebbero visti respingere la domanda. Una giustificazione fragile, perché se di furbi si tratta, che siano riusciti a riscuotere o meno fa poca differenza. Tridico dice che non può fare i nomi di chi non ha percepito per ragioni di privacy, ma la privacy evidentemente funziona a giorni alterni. Se telefona Ettore Rosato, di Italia viva e vicepresidente della Camera, il leader dell'Inps non si nasconde dietro la legge della riservatezza, se invece a bussare alla sua porta sono altri, giornalisti compresi, il riserbo è assoluto.
Alla fine delle deboli spiegazioni, una cosa ci pare chiara. Grazie al caso dei tre parlamentari con il sussidio di povertà, dei ritardi e degli errori dell'istituto previdenziale non si parla più. Non fanno quasi notizia nemmeno gli avvisi di garanzia a mezzo governo per la gestione dell'emergenza. Le chiusure in ritardo, il lockdown esteso a tutta Italia, le mascherine che non si trovano, i banchi della Azzolina, i soldi che non arrivano: tutto è stato improvvisamente accantonato per dare visibilità ai maramaldi del bonus. L'operazione di distrazione di massa, grazie alla complicità degli organi di informazione, ha funzionato.

