2021-05-19
A rischio di revoca i bonus per il Covid
Ernesto Maria Ruffini (Ansa-iStock)
Mentre si discute di riforma, la burocrazia impera. Anche se gli importi dei ristori sono già noti all'erario, vanno dichiarati nei quadri appositi. Basterà uno sbaglio per dover restituire i soldi e pagare una multa.È tempo di dichiarazione dei redditi. Quest'anno i più colpiti dalla pandemia e i più trascurati dal Conte bis sono anche quelli che avranno più rogne burocratiche. Ristoratori, baristi, partite Iva e professionisti, insomma tutti colore che nel corso del 2020 hanno ricevuto i bonus Covid dovranno inserire o far inserire nei modelli anche le cifre ricevute. Poco importa che i contributi a fondo perduto non impattino in alcun modo sull'imponibile o sulle imposte regionali, la burocrazia impone i suoi riti e ogni rito ha un capro da immolare. Dunque, ogni bonus deve essere appositamente indicato nei quadri Re oppure Rg, in base ai flussi di crescita o alla classe di appartenenza. Non solo. Le voci incassate devono anche seguire l'iter che di solito seguono gli aiuti di Stato che - è inutile dire - vantano un prospetto specifico. Una norma del 1990, aggiornata nel 2000, prevede che l'amministrazione finanziaria non possa né debba chiedere al contribuente informazioni che già possiede. Ora, in buona parte i fondi sono stati erogati dalla stessa Agenzia delle entrate, mentre in altri casi da parte dell'Inps. In entrambe i casi l'Erario già sa quanti soldi ha incassato il barista di Roma o il ristoratore di Milano. Eppure, il direttore Ernesto Maria Ruffini sentito alla commissione di vigilanza sull'anagrafe tributaria meno di due settimane fa ha tenuto a precisare che in realtà alla sua Agenzia mancherebbero due informazioni. La prima relativa alla dimensione del soggetto che ha fatto richiesta dei bonus e la seconda alla forma societaria.Una delle due nozioni è presente nella richiesta bonus e l'altra nella banca dati dell'Erario. Viene da chiedersi a che servano gli oltre 160 database se non si parlano tra di loro e se non aiutano in alcun modo ad andare incontro al cittadino. Ma la domanda a cui è difficile dare una risposta è: se i bonus non concorrono all'imponibile e ovviamente non sono tassati, perché metterli nella dichiarazione dei redditi? Perché non chiedere un semplice foglietto allegato al 730 nel quale rispondere a un questionario con banali crocette? Va segnalato che il formulario non comporterebbe sanzioni. Se invece si sbaglia a compilare i quadri e soprattutto se si inseriscono nel prospetto degli aiuti di Stato degli errori si è passibili non soltanto di multa e sanzione, ma soprattutto piomba sulla testa le «revoca del beneficio». Tradotto in parole povere. Nonostante l'elemosina, nonostante i ritardi, le mancate promesse e l'incapacità di spendere i fondi nel corso dei quattro decreti Ristori, alla fine le partite Iva hanno superato il crinale e si avviano verso le riaperture. Scoprire che per un semplice errore nel riporto del rigo si rischia di dover restituire i 5.000 o poco più euro è qualcosa di più di una beffa. Sarebbe l'emblema di un sistema che non funziona. Abbiamo sempre criticato il sistema dei bonus e l'uso delle agenzie per la distribuzione. Per il semplice fatto che si basano su strumenti e veicoli ordinari che certo non soddisfano le necessità di un cataclisma come il Covid. Ma soprattutto l'ordinarietà fiscale in Italia è nella gran parte dei casi una zavorra che tira a fondo le aziende. Lunedì sera in occasione del cdm, Ruffini è stato riconfermato alla guida delle Entrate. È sempre lo stesso direttore che faceva gli spot assieme a Matteo Renzi sul fisco amico che ti invia gli sms. Adesso sarà sempre lui a interfacciarsi con la nuova maggioranza di governo che lavora alla riforma fiscale. Sono partite le dichiarazioni e i lavori in Aula. Coinvolte nella riforma non sono solo le varie parti sociali ma anche i partiti. Pd, 5 stelle, Lega e Fratelli d'Italia hanno già sventolato le rispettive bandiere. Da una parte forti punti di contatto, e dall'altra grosse distanze. Per tutti un aspetto fondamentale è la semplificazione del sistema fiscale, le diversità stanno nel come perseguire l'obiettivo. Per la Lega è fondamentale ridurre i tantissimi adempimenti costosi per le imprese, gli artigiani, i commercianti e i professionisti. E come modello si ispira alla flat tax fino ai 65.000 perché andrebbe a coniugare l'esigenza di semplificazione, riduzione delle imposte e rilancio economico.Fratelli d'Italia guarda alla tassa piatta in un'ottica diversa: detassazione «piatta» sul reddito incrementale. Cioè, sul maggior reddito guadagnato rispetto all'anno precedente dovrebbe essere applicata una tassazione al 15%. Il Movimento punta invece tutto sulla tecnologia. E dunque il suo obiettivo è rendere il fisco più fruibile per tutti i cittadini attraverso una app. Il Pd invece punta sulla razionalizzazione delle spese fiscali, sull'alleggerimento del carico fiscale per il ceto medio e sulla riduzione del carico fiscale per chi lavora e fa industria. Obiettivo, quest'ultimo, in comune anche con Forza Italia, al quale si aggiunge anche il taglio sulle agevolazioni. Tutto bene. Ci auguriamo che i partiti vadano avanti e guai a cadere nell'errore del saldo zero. Che nasconde sempre la fregatura. Però la realtà non si ferma. La dichiarazione dei redditi è imminente e le riforme si fanno dalle piccole cose. Chi lo spiegherà a un barista il cui commercialista è caduto in errore che dovrà restituire gli spicci? Quando saprà che si poteva semplice evitare la complicazione della denuncia dei redditi per il bonus Covid, non gli basterà la consolazione che fra due anni potrà usare una app. Sempre che funzioni meglio di Immuni.