Ogni anno che passa la lista di agevolazioni fiscali si allunga sempre di più. Nel 2021, stando al documento redatto dal ministero dell’Economia e delle Finanze, le tax expenditure sono arrivate a quota 602. E sono costate oltre 68 miliardi di euro.
Ogni anno che passa la lista di agevolazioni fiscali si allunga sempre di più. Nel 2021, stando al documento redatto dal ministero dell’Economia e delle Finanze, le tax expenditure sono arrivate a quota 602. E sono costate oltre 68 miliardi di euro.L’anno scorso anche il governo Draghi ha ben pensato di rimpolpare i vari bonus introducendo, per esempio, quello per gli under 36 che acquistano una casa, oppure per i giovani, under 35 anni, che devono prendere la patente, o ancora, il bonus tv e la carta giovani (che vale fino a 35 anni) e permette di ottenere sconti per andare in crociera, per fare shopping dalla Rinascente o per ascoltare audiolibri gratis. Per non parlare poi di tutte quelle agevolazioni che sono state confermate come: i vari bonus per la casa (ecobonus, facciate, superbonus 110%), quello risparmio idrico ma anche quello acqua, e poi il bonus mobili, il credito d'imposta per la mobilità sostenibile, le agevolazioni per i neo residenti e per gli impatriati che tornano a casa, ma anche per i pensionati esteri che vengono in Italia. E ancora: bonus per la riqualificazione energetica, per comprare gli occhiali, i libri, la musica e molti altro ancora. Insomma, anche l’attuale governo che aveva annunciato un riordino delle tax expenditure, alla fine ha ceduto al fascino dei bonus. Il problema italiano non è però solo l’enorme quantità di agevolazione che di anno in anno accumulano ma anche il fatto che si perde il conto di quanto effettivamente costano. Ci sono infatti voci di cui non si conoscono i reali beneficiari. Questo gap di informazione ha però delle serie conseguenze sul bilancio finale, perché non si riesce effettivamente a capire quanto le tax expenditure incidono effettivamente sulle casse dello Stato. E rendono anche difficile un ipotetico lavoro di riordino delle agevolazioni stesse. Ma non solo, perché più aumentano i bonus, che il governo concede ai cittadini, più il sistema fiscale rischia di diventare sempre più complesso, poco chiaro e con possibili sovrapposizioni. La stratificazione che viene a crearsi allontana sempre di più il contribuente e rischia anche di far perdere delle opportunità fiscali, a chi magari ne ha veramente bisogno, perché non ne viene a conoscenza. Ci sono infatti dei bonus, parliamo per esempio di quelli energetici disponibili per le famiglie più fragili economicamente, che potrebbero veramente aiutare in questa situazione di difficoltà con i prezzi dell’energia in continuo aumento. Ma la complessità del nostro sistema fiscale non rende facile la conoscenza di tutte le opportunità che ci sono. Che l’Italia abbia un problema per quanto riguarda le tax expenditure è chiaro anche all’Ocse. In uno dei suoi lavori focalizzati sulle «Social Purpose» nel 2019 (ultimi dati disponibili) il nostro Paese si era classificato al primo posto per quanto riguarda la spesa sociale distribuita attraverso trasferimenti cash. Al secondo la Grecia e poi la Francia e l’Australia. Una distorsione che quindi ci viene riconosciuta anche a livello internazionale e alla quale non siamo riusciti ancora a porvi rimedio.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
Continua a leggereRiduci





