2025-02-13
Almasri, Vannacci: «Corte penale internazionale? Baraccone, in 20 anni condanne a 4 persone»
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Così l'eurodeputato della Lega, Roberto Vannacci, in un'intervista a margine dei lavori della plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo.
Così l'eurodeputato della Lega, Roberto Vannacci, in un'intervista a margine dei lavori della plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo.
Il battesimo del fuoco per l’ex superpoliziotto Vittorio Rizzi, oggi a capo del Dipartimento informazioni per la sicurezza, è arrivato. Il neo capo dell’ufficio di coordinamento dei nostri servizi è chiamato subito ad affrontare una questione delicatissima, la pubblicazione sul quotidiano Domani di una nota «riservata» inviata dallo stesso Dis alla Procura di Roma su alcuni accessi a banche date sensibili effettuati da appartenenti alle agenzie di sicurezza su Gaetano Caputi, il capo di gabinetto di Giorgia Meloni. Nella giornata di ieri l’esposto è stato limato ed è stato perfezionato l’iter di consegna alla Procura di Perugia (competente per le questioni che riguardano i magistrati capitolini). Il documento, a quanto risulta alla Verità, sarà depositato oggi.
Nel testo non viene ipotizzato alcun reato dal momento che il Dis non è un organo di polizia giudiziaria. Sono, però, rappresentati fatti ben precisi e sarà il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, a verificare se questi configurino reati. Gli addetti ai lavori segnalano che la Procura potrebbe avere violato l’articolo 42 comma 8 della legge 124 del 2007 sui servizi segreti dal momento che i pm, destinatari dell’informativa, avrebbero dovuto tutelarne «la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia».
A mettere in moto il tutto era stato lo stesso Caputi, il quale, circa un anno fa, aveva denunciato per alcuni articoli sui suoi affari personali i giornalisti di Domani, il quotidiano che aveva già fatto le lastre ai guadagni del ministro della Difesa, Guido Crosetto, con l’aiuto, secondo gli inquirenti, del tenente della Guardia di finanza, Pasquale Striano. Per questo, il 24 giugno scorso, la Procura di Roma aveva chiesto ai servizi chi avesse effettuato, con user-id intestate al Dis, interrogazioni presso la banca dati Punto Fisco su Caputi. La risposta dell’ex direttore generale, Elisabetta Belloni, era stata trasmessa, nel luglio scorso, in busta chiusa con la classificazione di «riservato». La missiva conteneva l’approfondimento svolto dall’Aisi e firmato dal direttore, Bruno Valensise. Infatti, la verifica aveva permesso di constatare che a fare le interrogazioni erano stati tre agenti dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna, in tre diverse occasioni, tra il 23 gennaio e il 25 settembre 2023. Gli 007 avevano ispezionato i dati anagrafici, le dichiarazioni dei redditi e atti di compravendita immobiliare del Catasto riguardanti lo stretto collaboratore del premier.
Il controllo più veloce si era reso necessario per identificare compiutamente «il capo di gabinetto del presidente del Consiglio», citato in un’operazione top secret da soggetti che avevano intenzione di avvicinarlo. In un secondo caso, nell’ambito di «un’attività informativa svolta in relazione alla protezione di interessi nazionali connessi al piano strategico sull’idrogeno», si era scoperto che individui attenzionati avevano in programma un incontro con Caputi e, su tutti, erano stati effettuati check. Le giustificazioni addotte dagli 007 per quegli accessi hanno trovato conferma negli atti (che in un caso sono definiti come «caratterizzati da elevata sensibilità»).
Non ha trovato, invece, spiegazione la «radiografia» di 57 minuti svolta il 4 settembre 2023 da un funzionario di origini fiorentine, un ex poliziotto approdato ai servizi grazie agli stretti rapporti con il Giglio magico. L’uomo ha raccontato di aver cercato conferma a un rumor, ma l’attuale governance dell’Aisi ha fatto sapere che non sono stati trovati «elementi sull’indiscrezione relativa agli allora presunti rapporti di parentela tra la consorte del soggetto d’interesse e quella del dottor Caputi». Tutte queste informazioni sensibili sono finite, per errore, a disposizione del quotidiano Domani. Infatti gli 007, nell’avviso di chiusura delle indagini sui cronisti (accusati di rivelazione di segreto in concorso con ignoti), non sono considerati fonte degli articoli incriminati.
Ma allora perché la velina è finita nel fascicolo del procedimento messo a disposizione dei giornalisti? La domanda resta senza risposta e adesso gli inquirenti perugini dovranno capire a chi sia addebitabile quell’errore: al procuratore? Al pm Maurizio Arcuri? Alla cancelleria?
Intanto al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, martedì, il sottosegretario con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano, ha raccontato che quelle ricerche non erano state ordinate dal governo, ma che due su tre, come abbiamo già ricostruito, erano giustificate, derivando da attività in corso. I rapidi controlli degli operatori non necessitavano dell’autorizzazione dell’autorità delegata. L’analisi durata quasi un’ora non avrebbe, invece, avuto nessuna copertura operativa.
Nelle prossime ore lo stesso Copasir sentirà sul caso Almasri il direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise), Giovanni Caravelli, e la settimana dopo, invece, sarà convocato Lo Voi che ha fatto sapere di trovarsi all’estero, come rivelato dalla Verità (è in vacanza a Mauritius). Dovrà dare risposte sia sulla questione della divulgazione della nota su Caputi che sulla Squadra Fiore, un’agenzia investigativa con addentellati nei servizi segreti su cui sta indagando la Procura.
Sullo scivolone legato alla velina riservata, i laici del centrodestra stanno preparando una richiesta di apertura di una pratica sia per incompatibilità ambientale che per la valutazione di eventuali profili disciplinari. I consiglieri hanno già presentato un’altra istanza riguardante la frettolosa comunicazione di iscrizione sul registro degli indagati inviata da Lo Voi al premier Giorgia Meloni e ad altri rappresentanti del governo. Il comitato di presidenza non avrebbe ancora smistato la pratica alla commissione competente, che dovrebbe essere la prima.
Mentre il procuratore di Roma è sotto assedio, solo il consigliere togato Andrea Mirenda, giudice fuori dalle correnti, ha presentato un’istanza di apertura di una pratica a tutela. Nella proposta non c’è la firma né dei consiglieri di Magistratura indipendente, la corrente moderata a cui Lo Voi appartiene, né di quelli di centrosinistra che lo hanno sostenuto nelle ultime nomine. Per esempio, in quinta commissione, nel 2019, l’unico voto che Lo Voi raccolse, da candidato procuratore della Capitale, fu quello di Mario Suriano, toga progressista di Area. Ma adesso, per citare Vittorio Gassmann nell’Audace colpo dei soliti ignoti, gli altri magistrati lo «hanno rimasto solo».
Solo Mirenda, pur ritenendo il diritto di critica all’operato dei magistrati «il sale della democrazia», bolla come «inaccettabile che la critica esondi in radicale messa in discussione della funzione giudiziaria stessa». E la Meloni si sarebbe macchiata di questa grave invasione di campo laddove ha ricordato che Lo Voi era stato l’artefice «del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona» e quando ha sostenuto di «non essere ricattabile», attribuendo, a detta di Mirenda, «all’iniziativa del procuratore di Roma connotazioni financo “ricattatorie” e “intimidatorie”» e «adombrando poi una sorta di movente politico dell’inchiesta sol perché scaturita da denuncia di parte avversa». Alcuni colleghi di Mirenda non hanno apprezzato il documento: «Se Lo Voi non applica articoli di legge, si deve potere dire, non è al di sopra delle regole. Qui è una questione di tecnicalità», spiega una consigliera. Nei corridoi del Csm sembra che, a parte Mirenda, nessuno, in questi giorni, si sia esposto sulla questione Lo Voi, forse perché in molti ritengono che potesse muoversi diversamente, che abbia avuto troppa fretta o non abbia dato il giusto peso a quanto stava facendo.
«È un procuratore non può fare una gaffe di questo tipo», commenta un altro consigliere. Ma Mirenda la deve pensare diversamente. Adesso vedremo se il comitato di presidenza, sotto l’egida del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, deciderà di alzare uno scudo su Lo Voi, proteggendolo dalle critiche del premier e, anche, dei suoi colleghi.
Sapete chi finanzia l’associazione che ha denunciato Giorgia Meloni e i suoi ministri alla Corte penale dell’Aia per il caso Almasri? George Soros. Sì, è proprio lui, o meglio la sua fondazione, a staccare gli assegni che servono a sostenere Front-Lex, il gruppo di legali che si occupa di difendere i migranti e di accusare i politici che si oppongono all’invasione.
Il nome di Soros, finanziere e speculatore che da anni sposa ogni causa progressista, spunta ogni volta che ci sia da scoprire chi sta dietro le Ong che operano nel Mediterraneo, oppure chi si faccia carico delle finanze di partiti in disarmo come quello radicale. Di origine ungherese ma da tempo emigrato negli Stati Uniti, Soros ha investito montagne di denaro per sostenere le candidature democratiche negli Stati Uniti, ma ne ha spese altrettante per condizionare la vita politica della vecchia Europa.
Nessuno sa dire perché sia così interessato a destabilizzare i governi moderati del Vecchio continente e perché punti i suoi soldi su organizzazioni che danno del filo da torcere ad alcuni Paesi. È un fatto però che a differenza di altri finanzieri, che mettono il loro denaro su titoli che hanno prospettive di rialzo, ovvero di crescita, Soros non disdegna di scommettere le sue fortune sui ribassi, cioè sulla decrescita infelice, se non sul fallimento. Del resto, uno dei suoi più grossi colpi resta l’investimento contro la lira, quando ancora non esisteva la moneta unica. Erano anni di grande volatilità delle valute, ma soprattutto era un periodo in cui il nostro Paese, per compensare una bassa competitività, usava la leva della svalutazione. Per rimanere competitiva, l’Italia in pratica deprezzava un po’ la sua moneta, recuperando il gap con altri Stati con bilanci più solidi, conquistando quote di mercato. E Soros si infilò in una di queste operazioni, scommettendo contro la nostra moneta e ovviamente guadagnando miliardi. Quanti? Nessuno lo sa dire con precisione, ma da allora in poi la sua fama di investitore cinico, che non guarda in faccia nessuno, tanto meno a un Paese in difficoltà, è andata rafforzandosi.
Ma se negli affari si è fatto la fama di cattivo e pure spregiudicato, tanto da attirarsi le antipatie di molti, il finanziere ungherese naturalizzato in America poi in politica ama indossare i panni del buono, ovvero di colui che si fa carico delle sofferenze del mondo e che sposa, ma solo investendo un po di soldi, le cause più disparate, purché in odore di progressismo. I migranti prima di tutto. Sono anni che Soros apre il portafogli per pagare il conto della flottiglia che staziona nel Mediterraneo in attesa di fare incetta di profughi. Quando si passano in rassegna i finanziamenti alle Ong, la Open society, ovvero la fondazione del magnate ungherese, è sempre in prima fila.
Soros tuttavia, non si limita a far restare a galla le bagnarole dei descamisados alla Luca Casarini. Oltre a quelle finanzia i gruppi specializzati in fake news (che poi, grazie a Trump e dopo le ammissioni di Zuckerberg abbiamo capito che servono a tappare la bocca a chi su migranti, Lgbt e gender non la pensa come la sinistra) e anche una serie di esponenti politici, come per l’appunto quelli radicali, i quali dopo aver stretto la rosa nel pugno evidentemente hanno bisogno anche di stringere altro oltre alle spine, pena l’uscita di scena per carenza di fondi. I soldi ovviamente sono dichiarati come da regola, ma nessuno si è davvero mai chiesto quale sia l’interesse di un finanziere americano per uno sparuto gruppetto politico. Tutti hanno accettato la cosa come se fosse tollerabile che un uomo dai molti interessi finanziari e industriali che vive di là dall’Atlantico, sia il principale finanziatore degli esponenti di una formazione politica che da tempo staziona in Parlamento. Così come ora nessuno pare sorprendersi se un finanziere supporta un’associazione che denuncia alla Corte dell’Aia il presidente del Consiglio.
Qualche settimana fa, replicando alle critiche di chi l’accusava di favorire Elon Musk, Giorgia Meloni ha risposto che ci si dovrebbe preoccupare di più dei rapporti stretti che legano la sinistra a George Soros. Vero. Anche perché negli anni il finanziere ha speso la bella cifra di 23 miliardi per sostenere le cause che rischiano di metterci in ginocchio. Perciò dopo la notizia dell’associazione che denuncia il presidente del Consiglio alla Corte dell’Aia, forse è il caso di chiedersi dove voglia arrivare e di accendere un faro sulle sue attività. Il finanziere non è un filantropo, è uomo che nella sua carriera si è abituato a guadagnare e anche molto. Forse conviene domandarsi dove e sulla pelle di chi questa volta voglia fare affari.