Per un ritorno che sfuma, ce n’è un altro che si concretizza. Con ogni probabilità Antonio Conte non tornerà alla Juventus, mentre Massimiliano Allegri riabbraccia il Milan 11 anni dopo. Il blitz del nuovo direttore sportivo, Igli Tare, ha avuto successo e l’allenatore livornese ha detto sì all’offerta del Diavolo pervenuta nella serata di mercoledì: contratto biennale da 5 milioni a stagione più due di bonus con opzione per il terzo. Per Allegri si tratta di un ritorno a Milanello dove ha già allenato dall’estate 2010 al gennaio 2014. Un ciclo iniziato con la vittoria dello scudetto al primo colpo e culminato con l’esonero dopo una sconfitta per 4-3 sul campo del Sassuolo sotto i colpi di uno scatenato Domenico Berardi. Tare ha deciso di affondare il colpo per anticipare la folta concorrenza che si era creata attorno all’ex allenatore della Juventus e mettersi al riparo da eventuali colpi di scena provenienti da Napoli, che aveva pensato proprio a Max come sostituto ideale in caso di addio di Conte. Allegri-Milan è dunque il primo tassello di un effetto domino che coinvolge nove delle prime dieci squadre classificate dell’ultimo campionato, Como compreso. La mossa del club rossonero ha di fatto condotto Aurelio De Laurentiis a spingere l’acceleratore sulla trattativa per convincere il tecnico che si è appena laureato campione d’Italia a restare. Dopo giorni di riflessioni, il presidente azzurro sembra infatti aver trovato la chiave giusta per blindare sulla panchina partenopea Conte. Si attende solo l’ufficialità, ma le promesse presidenziali - sei acquisti top, tra cui l’imminente arrivo di Kevin De Bruyne, più il rifacimento di Castel Volturno - dovrebbero aver convinto l’uomo del quarto scudetto a rimanere. Stesso esito anche dall’incontro andato in scena ieri a Bologna tra Vincenzo Italiano e l’amministratore delegato Claudio Fenucci: avanti con il progetto tecnico avviato lo scorso anno, culminato con la storica conquista della Coppa Italia. Nessuna apertura, dunque, alle avances del Milan, che prima di virare su Allegri aveva sondato proprio il tecnico rossoblu. E la Juventus che fa? La mossa di Conte di rimanere al Napoli farebbe restare la Vecchia Signora con il cerino in mano spiazzando di fatto la dirigenza bianconera, per altro interessata in questi giorni da un riassetto societario con Cristiano Giuntoli che potrebbe essere clamorosamente accompagnato alla porta, l’imminente nomina del francese Damien Comolli a nuovo direttore generale e l’inserimento nell’organigramma di Giorgio Chiellini. L’unica certezza al momento è legata al nome di Igor Tudor: il croato, nonostante la presa di posizione dopo il 3-2 sul Venezia che ha sancito la qualificazione alla prossima Champions, guiderà la squadra al Mondiale per club, ma non rappresenta la prima scelta per il futuro. Sullo sfondo si è stagliata nelle ultime ore la suggestione Zinedine Zidane, fermo da tempo ma ancora molto stimato nell’ambiente juventino, e addirittura di Simone Inzaghi. La voce, riportata ieri dal Messaggero, avrebbe del clamoroso, ma l’allenatore dell’Inter, che ha ricevuto un’offerta da 60 milioni di euro per due anni dall’Al-Hilal, pare ormai destinato a lasciare la panchina nerazzurra dopo la finale di Champions League contro il Psg in programma sabato sera a Monaco. Motivo per cui il pressing interista su Cesc Fabregas si è fatto più stringente. L’allenatore del Como ha resistito negli ultimi giorni alla corte della Roma per dare priorità al progetto iniziato con i lariani, ma l’offerta dell’Inter può farlo vacillare. Tuttavia, la famiglia Hartono è pronta a blindarlo con il rinnovo di contratto e la promessa di un mercato ambizioso per alzare ulteriormente l’asticella. Intanto, a Firenze Raffaele Palladino si è dimesso, a poche settimane dal rinnovo. Un fulmine a ciel sereno che potrebbe trovare spiegazione solo nel grande giro di panchine: con Gian Piero Gasperini promesso sposo della Roma e Marco Baroni ai ferri corti con Claudio Lotito, l’ex tecnico del Monza è ora in orbita Lazio e Atalanta. A Formello si sonda anche un altro grande ex: Maurizio Sarri, vicinissimo al ritorno con un biennale da 2,8 milioni netti. A Zingonia, invece, è stato fatto il nome di Stefano Pioli (ma c’è anche la pista Thiago Motta), pronto a tornare in Serie A dopo l’avventura in Arabia Saudita con l’Al-Nassr dell’ormai ex Cristiano Ronaldo. Allungando lo sguardo sulle altre squadre della prossima Serie A, al Torino è giunto ai titoli di coda il rapporto tra Urbano Cairo e Paolo Vanoli, con il presidente granata che ha manifestato pubblicamente tutto il suo disappunto: «È lui che fa la squadra, che decide chi gioca. Mi aspettavo molto di più».
«È la città che licenzia l’allenatore, il presidente gli dà solo la cattiva notizia». Il motto preferito di Alex Ferguson, che non corse mai quel rischio, vale zero nell’era dei social. Più un tecnico è «out» sul web, più si imbullona alla panchina. Sta accadendo ai due chiacchierati speciali dalle tifoserie, Massimiliano Allegri e Stefano Pioli, dai quali è necessario partire per le previsioni di primavera di quello che sarà il più fantasmagorico ballo dell’estate pallonara: la quadriglia (altro che valzer) degli allenatori in Italia e all’estero.
Allegri è sotto assedio da quando, tre anni fa, è tornato a Torino per rilanciare la Juventus con 7 milioni di stipendio a stagione: fallimento assoluto, non bisogna avere la chioma Apache di Daniele Adani per vederlo. Nessun exploit europeo, tre campionati da dimenticare (il primo chiuso a 16 punti dal Milan, il secondo a 18 dal Napoli, in questo è a -20 dall’Inter), top player come Dusan Vlahovic e Federico Chiesa deprezzati, gioco da provinciale e tifosi che fischiano allo Stadium. In questi casi un tecnico è definito «al capolinea» ma il livornese Max tiene botta: costringerebbe i dirigenti a sborsare un altro anno di contratto per cacciarlo ed è, da sempre, un grande allenatore di giornalisti dietro le quinte. Se vince la Coppa Italia e rimane aggrappato alla zona Champions potrebbe perfino rimanere.
«Abbiamo grande fiducia in lui, stiamo lavorando insieme per trovare la chiave», ha detto l’ad Maurizio Scanavino citando La Bohème. In attesa delle «notti di luna» la Signora però si guarda attorno, anche perché l’Allegriout rimane in tendenza sui social e la tifoseria minaccia di non rinnovare gli abbonamenti. Un’opzione facile sarebbe Raffaele Palladino del Monza, con Alberto Gilardino in Brianza. Una più difficile il ritorno a casa di Antonio Conte (John Elkann è di nuovo favorevole a questa soluzione), ma il sogno notturno rimane Zinedine Zidane.
L’ex fuoriclasse bianconero, vincitore di tre Champions League con il Real Madrid, era stato corteggiato già tre anni fa, prima di Allegri, ma disse no perché aveva voglia di staccare la spina. Ora è fuori dal giro, rigenerato e con il desiderio di rientrare da protagonista nella Torino che lo aveva lanciato e lo adora. L’operazione è fattibile, con una sola incognita che costringerà gli juventini a tifare Kylian Mbappè e perfino Marcus Thuram in giugno: se Didier Deschamps buca l’Europeo, il marsigliese è il candidato numero uno alla panchina per lui irrinunciabile, quella della Francia.
Il destino di Pioli è differente nell’approccio ma potrebbe essere identico negli effetti. Dopo i disastri invernali (fuori dalla Champions, quinto derby consecutivo perso, preparazione sbagliata con infortuni muscolari da Guinness dei primati) il tecnico rossonero sta vivendo una primavera di resurrezione. Ora il Milan è una macchina da guerra, è secondo comodo in campionato e può arrivare in fondo all’Europa League. «Pioliout» aleggia sempre sui settori nobili di San Siro, soprattutto per non essere riuscito a cementare attorno a un fuoriclasse come Rafael Leao una squadra competitiva nel lungo periodo. Ma gli applausi della curva e le carezze di Zlatan Ibrahimovic («Siamo felici, deve continuare così, sta facendo un gran lavoro») sembrano convincere Gerry Cardinale a dargli ancora fiducia. Il piano B però è pronto. Difficile Antonio Conte, che si sarebbe proposto e verrebbe di corsa ma costa sui 20 milioni a stagione. Più semplice ottenere il sì di Thiago Motta che sta facendo volare il Bologna e viene definito l’uomo ideale per aprire un ciclo «da Milan».
Ormai blindato Daniele De Rossi alla Roma dopo la stupefacente rincorsa all’Europa che ha decretato il tramonto di Josè Mourinho, anche la Lazio sembra a posto: Igor Tudor ha firmato fino al 2025, ha il carattere per interiorizzare i valori dell’aquila e a scanso di imprevedibili terremoti potrà soddisfare le ambizioni giochiste di Claudio Lotito. Sugli scenari italiani, per panchine di medio cabotaggio aleggiano anche i nomi di Fabio Pecchia (oggi leader in serie B con il Parma) e del sorprendente Francesco Farioli che lavora con profitto a Nizza.
Il baricentro del toto-allenatori top si sposta per forza a Napoli, dove Aurelio De Laurentiis sta preparando l’ennesima rivoluzione. Con i 120 milioni dalla cessione di Victor Osimhen, il presidentissimo potrà contare sul budget perfetto per convincere Conte e per accontentarlo nelle consuete richieste da Wanda Osiris. I due si stimano, si sentono (De Laurentiis aveva provato a ingaggiarlo dopo lo sfascio di Rudy Garcia), sono anche andati in vacanza insieme. Il colpo dell’estate è tutt’altro che una chimera. E in caso di intoppi l’alternativa è Vincenzo Italiano. Il piccolo Sarri ha dato una dimensione internazionale alla Fiorentina, fa giocare calcio champagne ed è in scadenza di contratto: caratteristiche che piacciono al gran visir partenopeo.
I piani sono questi, ma sul luna park incombe una grande incognita che arriva dall’estero: fra due mesi Bayern Monaco, Barcellona, Liverpool e probabilmente Manchester United saranno senza allenatore. Non è pizza e fichi, soprattutto dopo il no di Xabi Alonso a spostarsi dalla sorpresa Leverkusen. Quelle panchine sono come una pastiera a Pasqua, fanno gola. Jurgen Klopp è l’utopia del Bayern, ma dopo i trionfi e gli stress di Anfield Road vorrebbe andare in vacanza in camper. A Barcellona l’uscita di scena di «piangina» Xavi lascia un vuoto che un certo ex ct in esilio dorato in Arabia Saudita potrebbe riempire: Roberto Mancini.
In alternativa c’è una sicura promessa come Roberto De Zerbi, soprattutto se al piccolo mago Merlino verrà dato tempo di assemblare in modo meno circense il gruppo di giocolieri.
L’intrigo internazionale risucchia inevitabilmente il prezzemolo del momento, Antonio Conte. Sia in Baviera, sia sulle Ramblas, sia nella Manchester depressa che guarda vincere Pep Guardiola sarebbe perfetto, e senza alcun problema di soldi. I guerrieri da inseguire urlando mentre corrono sulla fascia laterale ci sono già. Nella maionese impazzita può perfino rientrare Simone Inzaghi. L’allenatore che sta facendo volare l’Inter tratta il prolungamento fino al 2027, Beppe Marotta gli ha proposto 6,5 milioni e lui sarebbe felice di completare l’opera prima dell’auto-pensionamento dell’ad. Ma mentre gli Zhang nuotano nei debiti, dal punto di vista societario Liverpool e Bayern sono tentazioni formidabili, piazze pazzesche, sfide che cambiano la vita. E che valgono un paio di scudetti.
Di solito ce ne infischiamo dei bruchi, ma ammiriamo il loro volo quando diventano farfalle: prima o poi le farfalle ci faranno pagare il fio della nostra impudenza, soprattutto i lepidotteri rossoblu, cresciuti a lasagne emiliane, pane e Thiago Motta. Il Bologna spicca il volo battendo 1-0 l’Atalanta e si conferma rivelazione spassosa di questo girone d’andata. L’allenatore felsineo - destinato a una panchina blasonata l’anno prossimo, si parla già di Napoli e Milan - ha costruito un gruppo coeso, dove l’atteggiamento mentale va a braccetto con quello tattico, non teme di osare quando serve, sa coprirsi rinunciando a utopie velleitarie. Ieri pomeriggio, un gol di Ferguson imbeccato dal neo entrato Orsolini al minuto 86 ha regalato i tre punti ai bolognesi contro una Dea messa bene in campo da Gasperini, speculare agli avversari nella postura strategica, un po’ sfortunata in attacco. De Ketelaere poco incisivo, gli ingressi di Scamacca e di Muriel impalpabili. Prendano nota i milanisti: Alexis Saelemakers, punto fermo nello scacchiere del Bologna supportando l’ariete Zirkzee, forse sarebbe stato ancora utile all’ombra della Madonnina. Nel frattempo il Diavolo arrostisce tra le pieghe roventi di un inferno infermieristico. Il pasticciaccio brutto di venerdì sera, che ha condotto la banda di Pioli a pareggiare 2-2 sul campo della Salernitana a trazione Pippo Inzaghi, è stato dominato da un’immagine emblematica. Fikayo Tomori che azzarda uno scatto, si blocca e constata il ko del suo bicipite femorale. Ennesima grana muscolare per un milanista: sebbene gli infortuni siano comuni a tutte le squadre di questi tempi, il caso Milan sta diventando patologico e motivo di disperazione per dirigenza e tifosi. Il resto racconta cascami di una partita che i rossoneri avrebbero dovuto vincere, nonostante un Rafa Leao svogliato, una squadra troppo alta, con Candreva tra gli avversari che imperversava sulle fasce. Se fosse nato in Brasile con il cognome di Candrevinho, probabilmente avrebbe goduto di una carriera più sfavillante. Al gol di Tomori nel primo tempo hanno replicato Fazio e l’ex l’esterno di Inter e Sampdoria, beneficiando di una rara papera del super portiere Maignan. Per gli ospiti la raddrizza Jovic nel finale (una delle poche note positive, il serbo sta tornando a centrare la porta), ma Stefano Pioli quest’anno evidenzia difficoltà di lettura dei match e un certo qual nervosismo nelle conferenze post gara, come se il fardello caricato sulle spalle fosse troppo pesante. Chi invece è abituato a sollevar fardelli senza timore reverenziale di subire critiche è quel toscanaccio dal «corto muso» di Max Allegri. La sua Juve - e le sue squadre in generale - non somiglia affatto al City di Guardiola o al Milan di Sacchi, però il tecnico porta a casa la pagnotta, imbastisce un collettivo dalla difesa impenetrabile e, prima o poi, la palla la butta dentro. Il match vinto 2-1 in casa del Frosinone era cominciato tra lo stupore degli juventini. In attacco viene schierato del diciottenne turco Kenan Yildiz, affiancato dal veterano dell’area di rigore Arkadiusz Milik. L’esclusione iniziale del bomber Dusan Vlahovic, non proprio l’uomo ideale nel progetto offensivo dell’allenatore, pareva significare un’inspiegabile bocciatura tecnica e psicologica del giovane attaccante, considerato virgulto da grande squadra. Questo nonostante le parole di conforto spese nei suoi confronti proprio da Allegri qualche giorno prima. Invece, dopo la rete della sorpresa Yildiz e il pareggio nella ripresa di Baez, gli uomini di Di Francesco si disuniscono, gli juventini ci provano con una traversa di McKennie, fino all’ingresso del discusso Vlahovic in luogo del giovane turco. McKennie crossa in area dalla destra, il serbo stacca da campione a centro area e piazza la palla dove Turati non può arrivare. È il minuto 81. Ad Allegri ieri è girata bene su tutti i fronti e può prendersi i meriti, per lo meno fino alla prossima volta. Il suo commento finale ricorda quello di Pippo Baudo quando si vantava di aver lanciato un talento televisivo: «La panchina ha rasserenato Vlahovic», dice con piglio furbastro. La punta resta un patrimonio del calcio europeo, la responsabilità di gestirla al meglio rimane. Così come resta il compito dell’Inter di conservare il primato in Serie A. Ieri i ragazzi di Simone Inzaghi, orfani di Lautaro Martinez, ci sono riusciti, soverchiando con una certa qual disinvoltura il Lecce a San Siro: 2-0, gol di Bisseck al quarantatreesimo e Barella al minuto 78, espulsione di Banda tra i pugliesi. I nerazzurri vantano un centrocampo dalle molteplici risorse, l’armeno Mkhitaryan è un veterano solido e tecnico, Carlos Augusto non delude, le alternative in panchina garantiscono profondità. In attacco Arnautovic fa da boa, ma non supporta Thuram con la qualità del capitano argentino infortunato. Poco male. La pratica Lecce viene archiviata e lava l’onta della prematura eliminazione in Coppa Italia contro il Bologna. l’Inter è prima a 44 punti, non dà segni di cedimento, ha gli uomini per giocare su due fronti, quello europeo e quello nazionale. Dipenderà dalla tenuta atletica e mentale. La Juve segue a 40, poi il Milan a 33, Bologna a 31, Fiorentina 30. In attesa di Roma-Napoli - disputata mentre questo giornale andava in stampa - cominciano a definirsi alcuni equilibri.
Tra tre giorni ricomincia il campionato: il Napoli affidato a Rudi Garcia cerca il bis, la Juve vuole e deve riscattare due anni senza trofei, Inter e Milan per la seconda stella. Ma non solo: le ambizioni dell’Atalanta, le possibilità di Lazio e Roma per un posto in Champions.
A poco più di 48 ore dall’inizio della nuova stagione, facciamo le carte al campionato che sarà. La Serie A 2023/2024, almeno sulla carta, parte con più di un’incognita e molto equilibrio, almeno per quel che riguarda la parte alta della classifica. Difficile come non mai quest'estate comporre una griglia di partenza. Dopo la splendida e trionfale cavalcata della scorsa stagione, mettere il Napoli in cima alla lista delle favorite sarebbe semplice, ma sui partenopei sorgono alcuni dubbi legati innanzitutto al cambio di allenatore: i giocatori erano entrati in perfetta sincronia con i dettami tecnico-tattici di Luciano Spalletti, ripetersi sotto la guida di Rudi Garcia potrebbe richiedere più tempo e non è affatto scontato che ci si possa riuscire. La garanzia, però, è rappresentata, almeno per il momento, dalla permanenza all’ombra del Vesuvio dei big in attacco: Victor Osimhen e Khvicha Kvaratskhelia. Il nigeriano, capocannoniere dello scorso campionato con 26 gol, è vicino al rinnovo di contratto con Aurelio De Laurentiis, ma il calciomercato è pazzo come non mai, soprattutto quest’estate dove a farlo da padrone sono i petrodollari provenienti dall’Arabia Saudita, il cui mercato dei trasferimenti chiude il 20 settembre, 17 giorni dopo rispetto a quello italiano. Dopo il rifiuto di un’offerta di 140 milioni di euro, però, è difficile che il Napoli lasci partire il suo bomber in questa finestra di mercato. Anche sul georgiano, vera rivelazione della Serie A 2022/2023, a inizio luglio c’erano delle sirene di mercato provenienti dalla Premier League, sponda Liverpool, con i Reds che in caso di partenza di Mohamed Salah, richiesto fortemente dall’Al Ittihad, squadra che ha già acquistato Karim Benzema, N’golo Kanté e Fabinho, potrebbero fiondarsi proprio sul numero 77 napoletano. Il Napoli, finora, è riuscito a resistere all’assalto dei suoi calciatori migliori, dovendo sacrificare «solo» il difensore centrale coreano Kim MIn-jae, andato al Bayern Monaco per 50 milioni di euro, rimpiazzato con il brasiliano 22enne Natan, prelevato dal Bragantino per 10 milioni.
Tra le pretendenti allo Scudetto, oltre al Napoli, vanno sicuramente inserite le milanesi e la Juventus. Il Milan, dopo il quinto posto dello scorso anno diventato quarto grazie alla penalizzazione inflitta alla Juventus, è la squadra che ha cambiato più di tutte. Dal licenziamento dall'area tecnica di Paolo Maldini e Ricky Massara, al parco giocatori con la cessione record di Sandro Tonali, passato agli inglesi del Newcastle per 80 milioni di euro, e l'arrivo di otto nuovi innesti: dal secondo portiere Marco Sportiello, ai centrocampisti Tijjani Reijnders, Ruben Loftus-Cheek, Yunus Musah, Christian Pulisic e agli attaccanti Luka Romero, Samuel Chukwueze e Noah Okafor. I rossoneri, a differenza del Napoli hanno mantenuto la guida tecnica ma hanno rivoluzionato la rosa. Per questo motivo Stefano Pioli ha lavorato durante il ritiro estivo a nuovi assetti: l'incognita principale del nuovo progetto del Milan, a caccia del ventesimo scudetto che significherebbe cucire la seconda stella sulla maglia, riguarda il tempo che ci vorrà per l'inserimento dei nuovi giocatori. Seconda stella ambita anche dai cugini nerazzurri: l'Inter è reduce da una stagione che l'ha vista fortemente stentare in campionato con 12 sconfitte, ma conquistare due trofei (Coppa Italia e Supercoppa italiana) e giungere fino alla finale di Champions League, persa a Istanbul 1-0 contro il Manchester City. Simone Inzaghi ha mantenuto gran parte della sua rosa, dovendo rinunciare a Romelu Lukaku, il cui ritorno dal Chelsea è saltato dopo la clamorosa rottura dovuta a una trattativa parallela con la Juventus, a Edin Dzeko trasferitosi in Turchia al Fenerbahçe, a Marcelo Brozovic andato in Arabia Saudita all'Al Nasr di Cristiano Ronaldo e agli esterni di fascia Robin Gosens, passato in Bundesliga all'Union Berlino, e Raoul Bellanova, andato al Torino dopo la fine del prestito dal Cagliari. Il dg Beppe Marotta li ha sostituiti con Marko Arnautovic preso dal Bologna, Marcus Thuram arrivato a parametro zero dopo l'esperienza con il Borussia Mönchengladbach, Davide Frattesi dal Sassuolo, Juan Cuadrado, ingaggiato a sorpresa dopo la scadenza di contratto con la Juve, e Carlos Augusto dal Monza, uno dei migliori esterni sinistri dello scorso campionato.
E poi c'è la Juve. I bianconeri non si sono quasi mossi sul mercato a causa di una situazione di bilancio da rimettere in ordine. Il colpo più importante finora non è stato messo a segno sul campo ma sulla scrivania, con l'arrivo dal Napoli del direttore sportivo Cristiano Giuntoli. A disposizione di Massimiliano Allegri per ora, rispetto all'anno scorso, c'è Timothy Weah, preso dal Lille per sostituire proprio Cuadrado. L'estate bianconera è stata caratterizzata a lungo dalla trattativa che avrebbe dovuto portare Lukaku a Torino e Dusan Vlahovic al Chelsea, ma al momento la distanza che c'è tra i due club sul conguaglio economico da corrispondere in favore della Juve, ha bloccato lo scambio. Stando così le cose, sembra difficile vedere una Juventus tanto diversa dalla passata stagione, anche se l'assenza degli impegni europei, alla lunga potrebbe favorire la squadra di Allegri, a caccia di riscatto dopo due annate molto complicate e senza trofei. E poi ci sono le due romane, l'Atalanta, la Fiorentina, pronte a inserirsi là davanti, quantomeno per un posto in Champions o in Europa. La Lazio punta molto sui meccanismi di gioco ben collaudati di Maurizio Sarri, anche se ha dovuto rinunciare a Sergej Milinkovic-Savic, andato al Al Hilal per 40 milioni di euro, e avrà l'impegno europeo infrasettimanale, la Roma ha incontrato più di una difficoltà in sede di mercato per dare a José Mourinho una rosa all'altezza, ma si sta muovendo proprio in questi giorni per rimediare le lacune di una rosa che dovrà fare a meno a lungo dell'attaccante Tammy Abraham, infortunatosi gravemente durante l'ultima partita dello scorso campionato, e al centrocampista serbo Nemanja Matic, trasferitosi in Francia al Rennes. L'Atalanta è forse la squadra che si è mossa meglio sul mercato ed è pronta a tornare a stupire come qualche anno fa: ha ceduto alla cifra record di 85 milioni il classe 2003 Rasmus Højlund al Manchester United e ha subito reinvestito su Gianluca Scamacca (30 milioni dal West Ham), El Bilal Touré (30 milioni dall'Almeria) e Charles De Ketelaere (in prestito oneroso di 3 milioni dal Milan). Anche la Fiorentina si è mossa piuttosto bene sul mercato: su tutti il colpo dall'Argentina Lucas Beltran, centrocampista offensivo classe 2001 preso dal River Plate per 25,5 milioni di euro e l'attaccante ex Spezia Mbala Nzola, oltre al centrocampista brasiliano Arthur arrivato in prestito dalla Juve.
«Leonardo Bonucci vuole la fascia? Se ne era andato, se la vuole la compra e gioca in piazza», disse nel 2021 Massimiliano Allegri, da poco tornato all’ovile della Continassa, per insolentire il rapporto con uno dei giocatori più rappresentativi della sua Juventus, in verità già scandito da sganassoni (pare solo verbali, ma chissà). Comunque un rapporto mai sbocciato, tenuto a bada dietro le quinte dagli esperti funamboli dell’allusione e dagli uffici stampa, ma destinato a deflagrare. Accade oggi, quando Leo, forse non un autentico capitano di ventura, di sicuro però un Giovanni Dalle Bande (bianco)nere autorevole in mezzo alla difesa e guida di quel BBC - Bonucci Barzagli Chiellini - che per diversi anni ha fatto la fortuna della Signora, si cimenta con la società in un braccio di ferro per non finire defenestrato. Si dice che Cristiano Giuntoli, nuovo direttore sportivo, l’anno scorso deus ex machina del Napoli scudettato, abbia ricevuto un mandato chiaro: silurare il difensore trentaseienne. Incarico mai attribuito prima d’ora a un dirigente, per lo meno non in modo così plateale, nemmeno a Paolo Maldini quando fu investito dell’onere di ricostruire il Milan post cinesi.
Il complice-mandante è noto: Allegri, che non vorrebbe ostacoli nel suo spogliatoio. L’agone della battaglia ora si sposta dal campo di gioco all’agorà degli Azzeccagarbugli. L’avvocato di Bonucci nei giorni scorsi avrebbe diffidato i vertici della Juve attraverso una pec in cui ha chiesto il reintegro del giocatore in rosa. A Torino hanno risposto picche. Il club ha compiuto una scelta precisa e, pur mettendo a disposizione del calciatore le migliori strutture per allenarsi, non vuole saperne di reintegrarlo. Bonucci lo sa. Ma punta a dilatare i tempi.
Una strategia non priva di logica: aggiungendo inerzia alla situazione, potrà in un secondo momento citare la società davanti al collegio arbitrale, ottenendo o la risoluzione del contratto - percepisce sei milioni di euro all’anno netti e l’accordo con i bianconeri scade nel 2024 - o un indennizzo di circa due milioni. Qualcuno ammette che la sua sia una questione di cuore, non di puntiglio. Bonucci vorrebbe la Juve come il giovane Werther desiderava la sua amata Lotte. Con la differenza che Leo tanto giovane non è più e nel suo carniere vanta ancora due, forse tre anni agonistici ai massimi livelli, dunque decidere del suo futuro, che lui immagina ancora sotto la Mole, è faccenda impellente. Per ora si allena da separato in casa: orari diversi rispetto ai compagni, i suoi partner di sedute sono i colleghi in esubero. Un’umiliazione scandita da una frase social: «La realtà di oggi continua a insegnarmi quanto l’amore e l’affetto possano arrivare oltre le situazioni imposte» ha scritto l’innamorato tradito. E l’amore, si sa, è una tela di Penelope da fare e disfare, fedeli al motto «prima si ama, poi si ricama».
Di sceneggiate plateali, questo Penelope-Leonardo, ne ha fatte, disfatte e ricamate in una carriera sfolgorante, ricca di prodezze, ma arroventata dal temperamento fumantino di chi non rinuncia a un duello d’onore. Per rievocare una disfida eclatante, bisogna tornare a febbraio nel 2017, durante una gara allo Juventus Stadium tra la Juve e il Palermo. Bonucci affronta Allegri a brutto muso, volano parole grosse, al tecnico scappa il labiale: «Stai zitto, testa di c...». Qualche giorno dopo c’è da affrontare il Porto in Champions League, il capitano finisce fuori dai convocati, trascorrendo tutta la partita seduto su uno sgabello in una foto destinata a fare il giro del mondo, quasi a rappresentare il castigo destinato al penintente. Lo screzio genera crepe.
L’anno successivo Leo abbandona l’ovile, finisce al Milan a trazione Fassone e Mirabelli, per 42 milioni. «Sposterò gli equilibri», promette lui, ma la stagione non va come deve andare, l’intesa con mister Montella non decolla, affiorano le magagne: il difensore puntella le sue caratteristiche se collocato all’interno di un impianto rodato, ma se deve guidare una retroguardia in erba, gli riesce difficile tamponare la breccia nelle mura davanti alla porta. La Juve gli manca troppo, l’anno dopo ritorna a casa. Allegri lo accoglie, senza amarlo, poi tocca a Sarri e Pirlo comandare in panchina.
Nel 2021 torna Max da Livorno, che gli toglie la fascia. Nel 2022 si iscrive di nuovo agli onori delle cronache per una lite plateale con Cristiano Mozzillo, segretario della prima squadra dell’Inter, durante la finale di Supercoppa italiana. Il dirigente nerazzurro aveva irriso lo juventino perché non era riuscito a entrare in campo - il suo ingresso era previsto per i supplementari - dopo il gol partita interista. Bonucci, multato poi con 10.000 euro di ammenda, si scaglia contro di lui, il battibecco accarezza la rissa.
Il centrale viterbese è fatto così. Non tollera gli oltraggi. Leggenda vuole che prese per il bavero persino Paulo Dybala durante la finale di Champions persa contro il Real per stimolarne la grinta. Intendiamoci. Se deve atteggiarsi a Enrico Toti, non si tira indietro: prima di arrendersi, tirerebbe addosso al nemico la stampella. Lo ha fatto agli Europei, segnando un gol decisivo per l’Italia nella finale con gli inglesi, urlando con orgoglio nazionalpopolare: «Ne avete di pastasciutta da mangiare!». Oggi, più che la stampella, gli occorreranno dei cerotti per lenire le ferite sul cuore nell’ultima tenzone con la sua amata, desiderata, sospirata Juventus.







