L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) «deve vigilare affinché gli esperti da essa consultati non si trovino in situazione di conflitto di interessi» e «non può sottrarsi a tale obbligo di imparzialità oggettiva esigendo dal richiedente che dimostri la parzialità del membro del comitato interessato». È quanto ha stabilito una sentenza della Corte di giustizia europea che si è espressa a favore della D&A Pharma.
La vicenda inizia dopo che la casa farmaceutica si è vista rifiutare dall’Ema l’autorizzazione all’immissione in commercio dell’Hopveus, un medicinale a base di sodio oxibato, una sostanza attiva indicata per combattere la dipendenza dall’alcool. Una volta incassato il no dovuto a un parere sfavorevole emesso dal comitato per i medicinali per uso umano (Chmp), che costituisce parte integrante dell’Ema, la D&A Pharma, come si legge in una nota dei giudici del Lussemburgo, «ha chiesto un riesame della sua domanda, proponendo in particolare una revisione delle indicazioni terapeutiche del medicinale, nonché la convocazione di un gruppo consultivo scientifico per il settore psichiatria (Gcs psichiatria)». Anche questa domanda ha ricevuto parere sfavorevole e quindi la società farmaceutica si è vista negare dalla Commissione europea l’immissione in commercio del suo farmaco per curare l’alcolismo, l’Hopveus. «Deplorando, tra l’altro, la mancanza di imparzialità degli esperti consultati (in presunta situazione di conflitto di interessi) e la violazione del principio di esame in contraddittorio», si legge ancora nel comunicato della Corte, «la D&A Pharma ha chiesto al Tribunale dell’Unione europea di annullare la decisione della Commissione. Poiché il suo ricorso è stato respinto, tale laboratorio si è rivolto alla Corte di giustizia».
La sentenza della Corte a questo punto dà ragione alla società farmaceutica, rilevando che un «membro del gruppo di esperti consultato dal Chmp si trovava in situazione di conflitto di interessi, tale da inficiare in modo sostanziale la procedura». L’esperto infatti svolgeva attività di consulente per le aziende farmaceutiche Lundbeck e Janssen. Un altro esperto era invece ricercatore principale per il farmaco AD 04, sviluppato dalla società Adial Pharmaceuticals, e anch’esso oggetto di una procedura di esame dinanzi all’Ema. Anche l’AD 04 riguarda il trattamento della dipendenza dall’alcol e sarebbe, quindi, un prodotto rivale dell’Hopveus. La curia ha poi aggiunto che «la sentenza del Tribunale è viziata da errore di diritto, in quanto l’interpretazione della politica relativa agli interessi concorrenti operata dal Tribunale è incompatibile con il principio di imparzialità oggettiva. Infine, considerando che lo stato degli atti consente di statuire sulla controversia, la Corte aggiunge che la decisione di convocazione di un gruppo di esperti ad hoc anziché del Gcs Psichiatria costituisce un vizio che ha inficiato la procedura di adozione del parere dell’Ema, il quale a sua volta incide sul procedimento di adozione della decisione assunta dalla Commissione. Infatti l’Ema è tenuta ad impegnarsi affinché il Chmp consulti sistematicamente un Gcs qualora il richiedente il riesame chieda, in tempo utile e in modo debitamente motivato, una tale consultazione».
Al di là dei vizi di diritto ciò che colpisce è proprio l’accusa di conflitto di interessi. E non è la prima volta che l’Ema viene accusata di operare in conflitto di interesse. Basta ricordare infatti che il bilancio totale dell’Ema per il 2024 ammonta a 478,5 milioni di euro. Circa il 92,4% del bilancio dell’Agenzia deriva da tasse e oneri, il 7,3% dal contributo dell’Unione europea e lo 0,3% da altre fonti. Tasse e oneri vengono versati dalle stesse case farmaceutiche che richiedono l’autorizzazione a immettere i loro prodotti in commercio. Quindi soldi versati da società private coinvolte nelle procedure di farmacovigilanza.
Un cortocircuito che non nasce oggi e che, anzi, cresce ogni anno di più. Nel 2021 l’Ema ha avuto un budget di 385,9 milioni di euro. Il 14% dei fondi arrivava dall’Ue, mentre la restante parte, l’86%, circa 330 milioni, da tasse e oneri. Non solo Ema, perché anche la Fda (Food and Drug Administration) l’ente analogo statunitense, riceve finanziamenti dall’industria farmaceutica. I fondi per l’anno 2022 sono stati definiti dal New York Times o «così dominanti che hanno rappresentato i tre quarti - ovvero 1,1 miliardi di dollari - del budget della divisione farmaceutica dell’agenzia». Non solo, la Mhra (Medicines and Healthcare products Regulatory Agency) ovvero l’agenzia del Regno Unito, è soggetta allo stesso corto circuito. Sul suo sito scrive: «Riceviamo fondi dalla Fondazione Bill e Melinda Gates, ma la maggior parte delle nostre entrate deriva dall’industria farmaceutica tramite le tasse». Nel 2021 hanno ricevuto da cinque grandi aziende del farmaco 4 milioni e 804.525 sterline: 1.476.902 da Pfizer, 1.410.534 da Astrazeneca, 1.544.906 da GlaxoSmithKline, 9.613 da Johnson e Johnson e 362.570 da Moderna.




