Tavernelle, ad Ancona, non è un posto per bimbi. È un’area cittadina un po’ fuori mano. C’è il cimitero. E c’è un parco che gli anconetani, nonostante le denunce di degrado che in passato hanno riempito le cronache dei giornali locali, ritengono essere il polmone verde della città. Qui, lo scorso mese di maggio, un rider marocchino avrebbe cominciato a girare con la sua bicicletta attorno a dei bambini. Poi sarebbe riuscito ad adescarne uno. Il piccolo ha nove anni e, stando alla denuncia per violenza sessuale che i suoi genitori hanno presentato ai carabinieri, sarebbe finito in un garage in uso all’immigrato un paio di volte. Un posto lontano da occhi indiscreti. E, soprattutto, lontano da chi avrebbe potuto impedire quello che le indagini stanno cercando di accertare. «Vieni, ti faccio vedere la mia bicicletta e ti faccio giocare con il mio cellulare», avrebbe detto lo straniero al bambino per convincerlo. Una volta a tiro l’avrebbe palpeggiato e, dopo aver mostrato al piccolo delle immagini pornografiche con il suo smartphone, si sarebbe fatto toccare. Nella denuncia che contiene il racconto della vittima viene descritto un secondo episodio. Il piccolo, questa volta, pur avendo seguito lo straniero si sarebbe ribellato. E a quel punto avrebbe rimediato una minaccia: «Se lo dici a tuo padre ti picchio». La paura deve aver stretto il bambino alla gola. E al papà infatti non ha detto nulla. Si è chiuso nel silenzio. Per giorni ha anche rifiutato il cibo. A casa era diventato schivo. Anche con la sorella maggiore. Che, però, è riuscita a tirargli fuori qualche parola. Nello studio dell’avvocato Costantino Larocca, alla fine, insieme a mamma e papà il racconto è finito su carta bollata. Con tanto di descrizione dei luoghi e dei fatti. Ma anche di tutti quei particolari che hanno aiutato i carabinieri a identificare e rintracciare il presunto autore della violenza: marocchino, sui 30 anni, con una bicicletta e uno zaino per le consegne. Un rider. Uno di quelli che bussano ai citofoni per recapitare il cibo da asporto e ai quali, spesso, aprono dei bambini. Quando la prima relazione degli investigatori è arrivata in Procura, il pubblico ministero Andrea Magi ha iscritto il fascicolo per il reato di violenza sessuale aggravata, perché commessa su un minorenne. Si è scoperto che l’indagato aveva un passato che non è bastato a fermarlo. Agli occhi degli inquirenti è balzato subito il precedente. Un caso che chi indaga avrebbe descritto come molto simile. Ma che si sarebbe chiuso con una valutazione dello straniero che potrebbe avere un peso anche questa volta: incapace di intendere e di volere. Ovviamente, però, sarà necessaria la perizia di un tecnico per verificare se nel frattempo la capacità dell’indagato di stare in giudizio è cambiata. Il gip del Tribunale di Ancona, Carlo Masini, nel frattempo ha affidato una consulenza tecnica a una psicologa per accertare se il bimbo è in grado di rendere la sua testimonianza in un incidente probatorio (ovvero nel contraddittorio tra le parti, che servirà a cristallizzare le dichiarazioni e a fornirle come prova in caso di un eventuale processo). L’esperta ha chiesto 60 giorni di tempo per portare a termine il compito e preparare una relazione. All’udienza durante la quale l’altro giorno sono state discusse le questioni tecniche erano presenti anche i familiari della parte offesa. Che per la prima volta hanno incrociato l’indagato, difeso dall’avvocato Davide Mengarelli. Da quella stessa aula solo un mese fa era passato un bengalese di 24 anni che ha patteggiato una pena a 1 anno e 2 mesi di reclusione per aver tentato «un approccio spinto» con una tredicenne a Falconara Alta. Come un albanese di 33 anni, che lo scorso gennaio ha patteggiato a 1 anno e 3 mesi, e che di minorenni ne aveva tentato di adescarne due. E anche un pakistano trentacinquenne, condannato lo scorso dicembre a 10 anni per aver costretto una quattordicenne, stando alle accuse, a subire incontri intimi nella struttura d’accoglienza che ospitava lo straniero sotto il ricatto di un video hard che altrimenti sarebbe stato diffuso. Non c’è una statistica ufficiale dei casi in cui dei minorenni risultano parti offese. Ma all’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario il procuratore generale Roberto Rossi, dal suo osservatorio, ha messo in chiaro una verità: i reati legati alle violenze di genere (compresi quelli in cui sono coinvolti dei minorenni) sono inesorabilmente in aumento. Dai 424 procedimenti registrati nel 2023 si è passati ai 484 del 2024. Un balzo che non lascia spazio a giustificazioni. E, come se non bastasse, Rossi ha sottolineato un aspetto che svela l’incapacità di affrontare il problema: «La prevenzione non può più essere delegata solo alle forze di polizia. È una questione culturale». La cronaca, invece, va a completare il quadro. E aggiunge che in molti casi gli autori delle presunte violenze sessuali sono stranieri. Una delle controindicazioni dell’accoglienza indiscriminata e della mancata integrazione.
Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino: ogni avvenimento nella realtà è stato preceduto da una strutturazione ideologica, ogni ideologia, prima o poi, se fertilizzata e irrorata, arriva nel reale. La pedofilia, il sesso intergenerazionale, è un fiore all’occhiello del «vietato vietare». Il genocidio non sarebbe arrivato alle camere a gas se non fosse prima stato teorizzato nei salotti buoni, l’abuso su minore non avrebbe avuto la possibilità di diffondersi con una rete di pedopornografia enorme senza una teorizzazione ideologica. L’avvocato Emanuele Fusi ha condotto uno studio particolarmente ricco sulla simpatia della sinistra del «vietato vietare» con la pedofilia e l’abuso su minore, ampollosamente ribattezzato libertà sessuale dei bambini. L’imperdibile libro si intitola La sinistra degli orchi. Ho visto Sound of freedom, è un film magnifico, basato sulla storia vera di Tim Ballard, agente della Homeland Security contro il traffico di minori, ed essere tratto da una storia vera lo rende ulteriormente potente. Il film inchioda lo spettatore. Oltre alla regia e alla recitazione perfette, c’è una fotografia particolarissima, apparentemente sciatta come i documentari fatti in maniera fortunosa, così da aumentare l’impressione di verosimiglianza. Costato 15 milioni di dollari, cioè pochissimo, sta guadagnando cifre notevoli, 40 milioni nel solo week-end di apertura, battendo Indiana Jones. Il film è stato girato nel 2018 dalla Fox, acquistata poi dalla Disney. La Disney decise di non far uscire il film, ritenendo che non avrebbe incassato nulla, mentre ha fatto uscire altri titoli che sono stati flop colossali. La Disney non fa più film per divertire la gente, ma per indottrinarla secondo il volere delle élite, e non fa uscire i film che le élite non vogliono. Il produttore, Eduardo Verastegui, è riuscito con difficoltà a riacquistare i diritti del film, fortunatamente gli altri film della Disney sono stati un tale flop che valeva la pena recuperare qualcosa rivendendogli Sound of freedom.
Mentre il film guadagna e commuove, la maggior parte dei critici semplicemente non ne parla. Solo Variety, Rolling Stone e RogerEbert.com hanno recensito il film dall’uscita del 4 luglio. New York Times, Los Angeles Times e Hollywood Reporter non hanno nominato il film. Guardando Sound of freedom mi sono sentita commossa ed euforica, perché il bene esiste e in un mondo che sprofonda nell’ombra esistono coloro che combattono per salvare i bambini. Il dolore dei bambini abusati, come quello dei bambini uccisi, sommergerà il mondo nelle tenebre. Chiunque abusi di un bambino, chiunque lo uccida, chiunque renda la sua vita un inferno sta aggredendo l’umanità intera. Sarebbe molto meglio una macina al collo. Nel film, che tratta di una storia vera, e quindi di un unico episodio, gli utenti dell’abuso su minore sono tutti brutti sporchi e cattivi, trafficanti di droga e consociati. Mancano quelli belli carini affascinati simpatici, registi ed attori di Hollywood per esempio. L’attore Mark Wahlberg ha dichiarato che Hollywood è un’enorme rete di pedofilia, prostituzione infantile e traffico di esseri umani controllata da «pazzi malati». Tutti si sono precipitati a spiegare che Wahlberg è un povero pazzerello che dice scempiaggini ma le sue accuse si sommano a quelle di altri attori, Corey Feldman, Elijah Wood, Ricky Schroder che hanno denunciato un sistema pedofilo di abuso sui bambini nel cuore di Hollywood.
E poi c’è Jeffrey Epstein, amico dei Clinton, che si è suicidato mentre era in una cella antisuicidio nel Metropolitan Correctional Center di New York. In Europa abbiamo avuto un altro stinco di gentiluomo, Dutroux, che tra il 1985 e il 1996, ha rapito e torturato sei ragazze dagli 8 ai 19 anni, con gravissimo abusi sessuali. Sabine Dardenne e Laetitia Delhez, di 12 e 14 anni, riuscirono a sopravvivere alle sevizie; An Marchal e Eefje Lambrecks, di 17 e 19 anni, vennero uccise, mentre Julie Lejeune e Melissa Russo, entrambe di 8 anni, furono lasciate morire di stenti. Furono trovati nel covo innumerevoli reperti organici verosimilmente di altri uomini che non furono esaminati con la prova del Dna perché sarebbe stato «troppo caro», ed è indubbio che Dutroux avesse protezioni dall’alto, una grossa rete di protezioni, molto simile a quelle di Epstein.
Guardando il film mi sono sentita anche estremamente fiera. Faccio parte della squadra dei difensori. Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Non scendete dalla luna, per favore, quando trovate il lardo massacrato, se siete stati come degli idioti a guardare la gatta che gli si avvicinava a cerchi sempre più stretti, mentre biascicava di tolleranza. All’abuso su minore, alla diffusione tragica e totale degli abusi su minore, non si arriva senza un’ideologia. All’abuso del bambino non si arriva senza che si sia creata un’ideologia marcia e ripugnante che ha parlato di «vietato vietare» e libertà sessuale del bambini.
Il massacro è cominciato nel 1974, con il fior fiore della sinistra francese che firma su Liberation il manifesto dei pedofili, dove chiedono l’abbassamento dell’età del consenso. Lo scopo della sessualità è creare la vita della generazione successiva attraverso il piacere, un piacere con uno scopo magnifico e che unisce due persone di sesso diverso, quindi complementari sia nella mente che nel corpo. La pedofilia quindi è una deformazione della mente, in molti casi si traduce poi in un atto del corpo, un abuso, è una deformazione della mente che spesso si accompagna ad altri tratti patologici come il narcisismo o il sadismo. Come ogni situazione mentale, perché la pedofilia è una situazione mentale, può essere corretta e modificata, oppure può essere accentuata e scatenata. Chi parla a favore dell’abuso su bambini scatena ed esacerba tutti gli altri pedofili. Il cervello è plastico. Le neuroscienze lo hanno dimostrato al di là di ogni dubbio. Chiunque affermi che la pedofilia è immodificabile sta semplicemente mentendo. Forse dovremmo piantarla di far dirigere il mondo a gente con mentalità ascientifica.
Al momento attuale chi si dichiara attratto dai bambini non può essere perseguito: non è stato perseguitato Mario Mieli, non sono stati perseguitati coloro che pubblicizzano il suo libro, non sono stati perseguitati gli intellettuali francesi che hanno firmato nel 1974 l’appello dei pedofili per l’abbassamento del consenso, non sono stati perseguitati gli appartenenti all’associazione Nalbla, associazione nordamericana per il cosiddetto amore intergenerazionale, non sono stati perseguitati i redattori del Journal of Homosexuality per aver pubblicato numerosi articoli a favore di rapporti tra adulti e bambini, raccolti in un libro che si intitola Male Inter-Generational Intimacy: Historical, Socio-Psychological, and Legal Perspectives (Intimità intergenerazionale maschile: prospettive storiche, socio-psicologiche e legali), redatto da diversi autori, tra cui l’avvocato olandese Edward Brongersma che si definisce lui stesso orgogliosamente pedofilo senza che nessun magistrato ci trovi nulla di strano: questo è un errore gravissimo, perché nel momento in cui comunica di essere attratto da bambini sta facendo apologia di pedofilia e la sta aumentando. L’apologia di pedofilia è condannata dalla convenzione di Lanzarote che l’Italia ha firmato, ma non è ancora un reato. Per questo Mario Mieli può scrivere serenamente nel suo libro: noi checché rivoluzionarie noi sì che possiamo sedurre i vostri bambini, noi possiamo fare l’amore con loro, senza che nessun giudice ci trovi nulla di riprovevole e con innumerevoli siti Lgbt che dichiarano quanto è magnifico questo libro, imperdibile per ogni gay. Nel Vangelo sono scritte parole durissime contro chi scandalizza questi piccoli: meglio una macina al collo. Gesù non sta parlando dell’abuso su minori: quello è già condannato nel sesto comandamento. Sta condannando anche il solo parlarne.
La Corte dei diritti dell’uomo ha deciso di occuparsi del terribile scandalo del Forteto, la comunità fiorentina dove nel corso di 35 anni decine di bambini e disabili sono stati segregati, abusati e maltrattati. Ha avuto un primo esito favorevole il ricorso presentato ai giudici di Strasburgo dall’avvocato fiorentino Giovanni Marchese a nome di 16 tra le tante vittime dimenticate del Forteto, che da molti anni chiedono giustizia e un risarcimento. Nel dicembre 2020 Marchese, che da sempre si batte per la verità con il presidente dell’Associazione delle vittime del Forteto, Sergio Pietracito (che è anche uno dei 16 ricorrenti) aveva inviato a Strasburgo decine di faldoni, zeppi di documenti.
Ora la Corte ha dato al governo italiano due mesi di tempo, fino al 5 settembre, per rispondere a una serie di quesiti. A quel punto, potrà incardinarsi il giudizio vero e proprio.
Il Forteto è la comunità agricola fondata nel 1977 nelle campagne toscane, tra Calenzano e Barberino del Mugello, da un gruppo di soci soggiogati dal carisma di Roberto Fiesoli, che malgrado la terza media si spacciava per psicologo e si faceva chiamare «Il Profeta». Nel 2011 Fiesoli è stato arrestato e nel dicembre 2019 è stato tardivamente condannato dalla Cassazione a 14 anni e 10 mesi di reclusione per una serie di abusi e maltrattamenti. Per quasi 35 anni, però, il Profeta era riuscito a convincere gli enti locali, buona parte della politica nazionale e perfino la magistratura minorile che il Forteto fosse un esempio di buona amministrazione e un ottimo centro di educazione. Così dal 1977 al 2015, e quindi anche dopo l’arresto di Fiesoli, il Tribunale dei minori di Firenze ha affidato alla comunità almeno 86 bambini, sottratti alle famiglie grazie ad accuse di maltrattamenti in più casi risultati inesistenti. Decisioni davvero incredibili, perché - paradosso nel paradosso - già nel novembre 1978 Fiesoli e un altro fondatore del Forteto, Luigi Goffredi, erano stati arrestati per accuse gravissime, tra le quali l’avere masturbato due disabili in presenza di un minore della comunità. Nel maggio 1980 entrambi gli imputati erano stati condannati in via definitiva: Fiesoli a due anni di reclusione per atti di libidine violenti, e Goffredi a dieci mesi per maltrattamenti.
La terribile storia del Forteto meriterebbe davvero libri inchiesta e film di denuncia. Invece è stata sempre coperta da un’assurda, vergognosa omertà. Anche i faticosi lavori d’indagine condotti dalle due commissioni della Regione Toscana, terminati nel 2013 e nel 2015, sono passati quasi sotto silenzio, e questo malgrado le inquietanti scoperte su quella che in molti hanno definito «una setta».
Al Forteto, secondo decine di testimonianze concordanti, s’è accertato che bambini e ragazzi, oltre a essere stati abusati e seviziati, hanno lavorato senza compenso: «Erano come sequestrati», dice Marchese, «costretti a turni massacranti per 365 giorni l’anno, senza stipendio e senza contributi previdenziali». Nella comunità vigeva poi la rigorosa separazione tra uomini e donne, e a tutti erano vietati i rapporti eterosessuali mentre l’omosessualità era la norma, imposta soprattutto ai minori. Era rigorosamente vietato anche avere contatti con l’esterno, perché tutto quello che era fuori dal Forteto era «il male». Era una specie di schiavitù collettiva, insomma, basata sul plagio psicologico e sulla continua denigrazione delle famiglie d’origine. Chi si ribellava, del resto, veniva «processato», picchiato, umiliato.
Ma il silenzio continua ancora oggi, nonostante che dal marzo 2019 sia stata istituita una commissione parlamentare d’inchiesta. Subito dopo il suo varo, il primo aprile 2019, l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede proclamò: «So che non renderemo mai l’infanzia alle vittime, ma lo Stato oggi chiede formalmente scusa, anche se dopo 40 anni, e farà tutto il possibile perché si faccia giustizia». Bonafede si riferiva anche ai risarcimenti, fin qui mai riconosciuti alle vittime. Si vedrà che cosa deciderà Strasburgo. Contro la giustizia, comunque, e contro la verità, per decenni hanno giocato importanti interessi economici, visto il ricco fatturato della comunità. E anche gli stretti legami di Fiesoli con la sinistra.
Oggi Marchese ricorda che nel luglio 2000 la Corte europea dell’uomo era già stata chiamata a occuparsi del Forteto: in quel caso i giudici di Strasburgo, al termine di una lunga istruttoria, condannarono l’Italia a risarcire con 218 milioni di lire Dolorata Scozzari, la mamma di due bambini che le erano stati sottratti proprio per essere consegnati alla comune toscana. Il caso venne chiuso dalla Corte europea il 25 giugno 2008, con una risoluzione dove oggi si scopre che, per bloccare la controversia, il governo italiano aveva certificato il falso: Roma infatti aveva garantito ai giudici di Strasburgo che «i leader storici della comunità (cioè Fiesoli e Goffredi, ndr), pur condannati penalmente in passato, non erano più coinvolti nell’educazione dei bambini e non esercitavano più attività a contatto con i bambini».
È vero che nel giugno 2008 l’Italia da appena un mese era governata dal centrodestra, ma l’istruttoria sul «caso Scozzari contro Italia» era stata curata dal precedente governo di centrosinistra, tra il 28 aprile 2006 e il 6 maggio 2008 guidato da Romano Prodi. «Quando i giudici di Strasburgo si occuperanno dei 16 ricorsi», dice l’avvocato Marchese, «spero possa emergere anche la vergogna di questa bugia di 14 anni fa».
- La regione registra circa il doppio di minori fuori famiglia rispetto alla media italiana. Il Garante: «Cambiare il sistema».
- «Non solo gli uomini sono violenti». Il saggio della psicologa Antonella Baiocchi sfida i pregiudizi: «Oggi si pensa che i maschi maltrattino per natura. Il padre è sempre ostile, la mamma santa. Ma le donne prevaricano tanto quanto l'altro sesso».
- «Allontanarono i miei figli per un disegno. Il caso Val d'Enza ha riaperto le loro ferite». Parla il padre dei due fratellini tolti e poi restituiti ai loro genitori 11 anni fa a Basiglio, vicino Milano, per un infondato sospetto di abusi del maschio sulla sorella. «Tuttora i ragazzi sono traumatizzati».
Lo speciale comprende tre articoli.
L'ombra di Bibbiano si è allungata sulla Liguria, e una notevole tensione si è diffusa fra le istituzioni. Non ci sono inchieste giudiziarie aperte, tuttavia da indagini giornalistiche e da alcune dichiarazioni di politici e amministratori emergono i contorni di un sistema che ricorda molto da vicino quello attivo in Emilia Romagna. Per capire che cosa accada dobbiamo partire da un dato fornito nei giorni scorsi dal Sole 24 Ore, che - basandosi su informazioni ministeriali - ha calcolato quanti siano i minori in affido nel nostro Paese. Senza tenere conto dei minori stranieri non accompagnati, parliamo di circa 26.000 bimbi e ragazzi su tutto il territorio nazionale: «Un dato che rappresenta il 2,7 per mille del totale degli under 18 che vivono in Italia». Il 2.7 per mille è la media nazionale, ma ci sono alcuni casi particolari che saltano all'occhio. Ad esempio quello ligure. Scrive il Sole 24 Ore che «le regioni dove gli affidamenti sono più frequenti sono la Liguria (con il 5,8 per mille dei ragazzi e bambini coinvolti) e il Molise (dove l'affido riguarda il 3,9 mille dei minori)». Significa che in Liguria i bambini in affido sono quasi il doppio rispetto alla media nazionale. Stiamo parlando di 1.244 minorenni, di cui 685 affidati a famiglie e 559 che si trovano in centri, comunità, case famiglia eccetera.
Che in queste cifre enormi ci fosse qualcosa di strano se n'era già accorto qualche tempo fa il Garante regionale per l'infanzia, Francesco Lalla. «A partire dal 2013», dice, «molte persone ci hanno contattato per raccontarci le loro vicende. E ci eravamo convinti che il sistema dell'affidamento e dell'allontanamento non fosse proprio quello corretto, in base anche alla Convenzione di New York che, per gli allontanamenti parla di “necessità". Vuol dire che si fanno soltanto quando si è già fatto tutto il resto e non si può più fare altro». A quanto risulta - ma un dato ufficiale non c'è - i casi segnalati al Garante regionale sono circa 260, non pochi.
Negli anni passati, Lalla si è dato da fare per segnalare la situazione: «L'abbiamo fatta presente, abbiamo scritto anche note al Tribunale dei minorenni». Il Garante non è uomo che ami le baruffe politiche, dunque non si spinge oltre. Ma sembra proprio che appelli e segnalazioni siano rimasti inascoltati.
Insomma, a Genova e dintorni qualcosa davvero non andava. Lo sostiene da tempo Mauro Lami, dell'Associazione padri separati Liguria: «Abbiamo sentore da almeno 10 anni che il sistema non funzioni», dice, «perché da 10 anni riceviamo segnalazioni da tutta la regione». Quando è esploso il caso Bibbiano, il Garante ha colto l'occasione per tornare sull'argomento. Nei giorni scorsi ha diffuso un comunicato che invita ad essere prudenti e ad abbassare i toni, ma contiene un messaggio piuttosto chiaro: «Il sistema, che talvolta non abbiamo esitato a definire dannoso per bambini e famiglie, deve costruire percorsi virtuosi di prevenzione, tutela, garanzia e promozione delle istanze dei minori, partendo proprio da quelli maggiormente fragili e/o vulnerati», si legge nel testo. «E per questi ci permettiamo di suggerire la nostra proposta: creare un sistema rinnovato che veda insieme istituzioni e terzo settore, famiglie e loro rappresentanze». Tradotto: le vicende emiliane e la rinnovata attenzione sul tema degli affidi possono essere l'occasione buona per cambiare l'intera gestione dei bambini, che negli anni passati si è rivelata addirittura «dannosa».
Non ci sono però soltanto le preoccupazioni e gli inviti del Garante. Un bravo cronista, Diego Pistacchi del Giornale del Piemonte e della Liguria, ha scavato un po' e ha scoperto che a Genova operavano proprio i protagonisti di «Angeli e demoni». Dall'inizio del 2016 al 2018 gli incarichi conferiti a Claudio Foti del centro Hansel e Gretel sono stati almeno nove, tutti per affidamento diretto. «Il totale dei compensi», scrive Pistacchi, «supera i 13.000 euro». L'ultimo incarico è stato conferito il 2 ottobre del 2018. Al terapeuta piemontese è sempre stato richiesto di formare gli assistenti sociali del territorio: «Praticamente nei Municipi Centro Est, Levante e Medio Levante la formazione del personale dei servizi sociali veniva sempre affidata allo stesso professionista». Il quale, durante i corsi, invitava ad andare oltre le «descrizioni classiche delle tipologie della violenza all'infanzia (violenza fisica, psicologica, sessuale, grave trascuratezza e ipercuria)» per cercare abusi e maltrattamenti.
A parte gli incarichi affidati personalmente a Foti, il legame della Liguria con Hansel e Gretel inizia addirittura nel 2001, quando è nato il «Progetto Arianna» il cui scopo era quello di «contrastare il maltrattamento e l'abuso di bambine e bambine». Sul sito del programma era ben visibile il rimando al Centro Hansel e Gretel, la cui visione del problema abusi ha di fatto ispirato il lavoro dei professionisti del sociale liguri. Il «Progetto Arianna» servì infatti ad elaborare delle linee guida utili all'individuazione degli abusi. Per altro, sul territorio ligure sono molti attivi professionisti che fanno parte dell'orbita di Hansel e Gretel, ad esempio Elisabetta Corbucci, psicologa e psicoterapeuta che fa parte dell'associazione Rompere il silenzio di Foti. Risulta «Coordinatrice della cooperativa Il Cerchio delle relazioni (Genova)» e «opera nel Centro antiviolenza Mascherona». Risulta poi che sia la coop Il Cerchio, sia il Comune di Genova siano soci del Cismai.
Giova ripeterlo: non ci sono reati né inchieste. Ma è evidente quale sia stato l'approccio tenuto negli anni passati dai servizi sociali nel territorio genovese, che ovviamente hanno goduto del plauso dei locali rappresentanti del Pd allora al governo. Chi vuole andare in fondo a tutta questa storia, onde scoprire se ci siano casi di bambini tolti ingiustamente alle famiglie, è Mario Mascia di Forza Italia, che ha presentato alcune interrogazioni alla Giunta comunale di Genova.
Dopo i suoi interventi, sono accadute cose singolari. Dal Web è sparito il sito del «Progetto Arianna». L'assessore genovese alle Politiche educative, Francesca Fassio, pochi giorni fa, ha fatto «firmare un protocollo per individuare le linee guida per operatori sociali, psicologi, assistenti sociali e tutte le figure professionali che ruotano intorno ai minori e agli affidi». Inoltre, stando alla stampa locale, la Fassio avrebbe pure rimosso dall'incarico Marina Boccone, la dirigente comunale che si occupava del «Progetto Arianna». Se in pochi giorni si è fatta una rivoluzione del genere, significa che davvero le cose non andavano per niente bene. Il Comune spiega che farà verifiche sugli affidi e il consigliere Mascia appare determinato: «Andremo a fondo della vicenda con ogni strumento a disposizione», dice.
Vedremo se riusciranno a scacciare lo spettro di Bibbiano.
«Non solo gli uomini sono violenti»
L'idea è ovunque la stessa: dietro ogni abuso c'è sempre un maschio violento. Anzi: il maschio tende ad abusare perché la violenza è incistata nel suo Dna, che si tratti di quella contro le donne o di quella contro i minori. Lo sostengono le varie post femministe invasate con il Me too, e lo sostengono anche parecchi «professionisti dell'abuso» di cui abbiamo raccontato in questi giorni. È anche per via di questa tendenza a colpevolizzare il maschio che si prendono di mira ingiustamente tanti padri e che tanti uomini sono accusati di molestie che non hanno compiuto.
Fortuna che, tra le tante voci politicamente corrette pronte a ripetere la favola del maschio oppressore sempre e comunque, c'è anche qualcuno che ha il coraggio di sfidare i luoghi comuni. In questo caso il qualcuno è particolarmente coraggioso, perché si tratta di una donna: Antonella Baiocchi, psicologa, specialista in criminologia e in psicoterapia a orientamento cognitivo, nonché assessore nel Comune di San Benedetto del Tronto, dove è nata e dove è tornata dopo anni di lavoro in Veneto e nelle Marche.
Il suo libro appena pubblicato da Alpes colpisce fin dal titolo: La violenza non ha sesso. Tra le tante questioni interessanti che tratta, una è particolarmente rilevante. La studiosa, infatti, citando ricerche e saggi di autorevoli colleghi di ogni parte del globo, spiega che, quando si parla di violenza, «il ruolo di vittima riguarda indistintamente uomini e donne». E, «contrariamente a quanto crede l'immaginario collettivo, la violenza femminile è un fenomeno complesso e non meno frequente della violenza agita da soggetti maschili».
Parlando con La Verità, la Baiocchi dice che «la concezione della violenza che abbiamo oggi ha delle falle, e se non si sanano, ogni iniziativa anti violenza perde la sua efficacia». Questa concezione sbagliata non è presente solo a livello mediatico e nel sentire comune, ma è ben radicata, secondo la studiosa, anche «nella rete che si occupa di intercettare e combattere le violenze». Parliamo di professionisti i quali «credono che la violenza nella relazione sia agita soltanto dall'uomo. Si basano sulle cronache dei giornali e divulgano l'idea che la violenza sia unidirezione, cioè dall'uomo verso la donna».
È diffusa, dunque, una cultura che «vede l'uomo come essere che nasce violento, che ha nel suo Dna la prevaricazione, mentre la donna nasce con caratteristiche quali umiltà, generosità, debolezza. Sono tutte sciocchezze. Siamo caduti nell'idea che il maschio sia portatore di violenza perché socialmente ha sempre avuto un ruolo predominante, mentre la donna era per lo più la sottomessa».
Con l'emancipazione femminile, dice la Baiocchi, tutto cambia. La donna si ritrova in un ruolo diverso. Ma lo affronta con le stesse strategie del passato, per colpa di quello che la dottoressa chiama «analfabetismo psicologico». «Le donne», racconta, «conoscono solo due strade: o vincere o sottomettersi. E, per vincere, anche la femmina ha cominciato ad agire come prevaricatrice. Per difendere la sua posizione prevarica». In questo modo, comportandosi sempre secondo questa dicotomia (prevaricare/ sottomettersi), maschi e femmine precipitano in conflitto costante e perdono il rispetto reciproco. Anche per rompere questo circolo vizioso, la studiosa sostiene che andrebbe abolito il termine «femminicidio» e bisognerebbe creare la categoria del «debolicidio», che punisca la «prevaricazione o uccisione di chiunque si trovi in situazione di debolezza». Maschi compresi, dunque.
Ma se della violenza sulle donne si parla tantissimo, dice la studiosa, «non si è mai indagata la violenza che subisce l'uomo. In Italia esiste una sola relazione sull'argomento. All'estero invece ce ne sono tantissime». Talvolta, però, per capire che la violenza non è una caratteristica esclusiva del maschio, basta semplicemente il buon senso. Se le donne fossero vittime indifese «per natura», nelle coppie lesbiche il conflitto non dovrebbe esistere. E invece il libro della Baiocchi presenta un capitolo molto interessante sulla violenza nelle relazioni tra donne. «Le coppie lesbiche hanno le stesse reazioni delle altre», spiega. «Al di là del sesso, possono mostrare la stessa ostilità. La donna oggi utilizza la violenza fisica molto più di un tempo e almeno quanto l'uomo». Ripetere concetti di questo tipo non è semplice, e infatti la Baiocchi - anche nel suo ruolo di assessore - non ha avuto sempre la strada spianata: «Le femministe mi hanno mangiato viva», sorride. «Adesso però hanno imparato ad amarmi». Nel nostro Paese, continua la dottoressa, «bisognerebbe creare dei centri antiviolenza anche per l'uomo vittima, non solo per le donne. Ma lo Stato non spende un euro per questo, pure se i nuovi poveri sono spesso gli uomini divorziati. Nessuno li aiuta ad affrontare la propria debolezza. In compenso ci sono tanti centri che aiutano gli uomini a non essere “maltrattanti". E per le donne prevaricatrici?».
Questa idea dell'uomo maltrattante ritorna purtroppo nelle faccende riguardanti i minori. «C'è sempre questa idea del padre ostile, mentre la madre è a priori una santa. Tutto questo porta incredibili ferite. Ma purtroppo il pregiudizio è diffuso anche fra avvocati, giudici... Gli stessi psicologi e assistenti sociali seguono questo pregiudizio». E i casi come quello di Bibbiano lo confermano.
«Allontanarono i miei figli per un disegno. Il caso Val d’Enza ha riaperto le loro ferite»
«Eravamo seduti a tavola quando, al telegiornale, hanno cominciato a parlare dei fatti di Bibbiano. Mio figlio e mia figlia non hanno retto nemmeno un minuto di quel servizio: si sono alzati e se ne sono andati. Si vedeva che stavano male».
Sono le parole di un papà al quale, nel 2008, furono tolti i figli per colpa di un disegnino sconcio, di una segnalazione (sicuramente in buona fede, forse un po' imprudente) ai servizi sociali e dei soliti psicologi che vedono abusi ovunque. Specialmente dove non stanno. Un papà che ha sperimentato l'inferno e, dopo anni di sofferenze e umiliazioni, decide di parlarne con La Verità.
Undici anni fa, Maria e Marco (nomi di fantasia) hanno 9 e 12 anni. La più piccola frequenta la scuola elementare di Basiglio, un paesino di 8.000 abitanti in provincia di Milano. Un giorno, la maestra si accorge che Maria e una sua amichetta sono distratte durante la lezione: stanno maneggiando un quadernino. La docente lo prende, ne sfoglia le pagine e, sgomenta, ci trova alcuni ritratti davvero sgradevoli. In uno si vede una bimba accovacciata su un ragazzino e, a fianco, c'è una scritta a dir poco oscena: «Maria fa sesso orale con suo fratello tutte le domeniche per 10 euro». L'amichetta della bambina nega ogni responsabilità: sì, il quadernino è suo, ma il disegno non l'ha fatto lei. Allora la maestra si allarma: sarà la stessa Maria ad aver realizzato quello schizzo, come una sorta di denuncia di una violenza sessuale che sta subendo in casa? Com'è ovvio, la docente decide di parlarne con la madre della bimba, che però non riconosce la grafia di Maria. Ne è sicura: «Quel disegno non l'ha fatto mia figlia».
Sembra tutto finito. Ma intanto la preside dell'istituto scolastico ha inviato una segnalazione ai servizi sociali, che non contattano mai la famiglia, non chiedono mai un colloquio, non svolgono mai un approfondimento. Si limitano a chiedere al tribunale, con una solerzia più svizzera che lombarda, di emettere un decreto di allontanamento dalla famiglia per Maria e suo fratello. Un modus operandi piuttosto simile a quello che si vedeva a Bibbiano, dove, stando a quanto affermano i pubblici ministeri che conducono l'inchiesta «Angeli e demoni», bastava il sospetto infondato di un abuso per mettere in moto l'implacabile macchina degli assistenti sociali. Così, poche settimane dopo l'episodio del quadernino, succede l'imponderabile.
«Mio figlio viene prelevato il giorno del suo compleanno, mentre sta festeggiando all'oratorio», ricorda suo papà. «I vigili telefonano a mia moglie, le chiedono di riportare a casa il piccolo e, appena arriva, lo prendono e lo portano via». Le forze dell'ordine, che hanno in mano un provvedimento del tribunale minorile sollecitato, appunto, dai servizi sociali di Basiglio, allontanano dalla famiglia anche la sorellina più piccola, Maria. Per più di un mese, i genitori non possono avere nessun contatto con i figli. «La gente del paese era quasi tutta con noi», assicura il padre dei due ragazzi, «ma gli psicologi insistevano: “Quel disegno l'ha fatto sua figlia, anche se lei non lo riconosce"».
Pure l'avvocato che ha seguito il caso di Basiglio, Antonello Martinez, riferisce alla Verità di psicologi che forzavano la mano per ottenere dai bambini una sorta di confessione: «A quei bimbi hanno detto cose terribili. Quando li hanno portati via, se ne sono usciti con una frase atroce, del tipo: “Questa è l'ultima volta che vedete i vostri genitori"». Affermazione che - magari non è soltanto un caso - ne ricorda molto un'altra, altrettanto inquietante, pronunciata da un assistente sociale di Bibbiano durante una seduta con uno dei minori sottratti: «Dobbiamo fare una cosa grossa. Sai qual è? Gli psicologi la chiamano elaborazione del lutto. Dobbiamo vedere tuo padre nella realtà e sapere che quel papà non esiste più e non c'è più come papà. È come se dovessimo fare un funerale». Continua Martinez: «I due ragazzini subivano pressioni assurde: “O dite così o non rivedrete più mamma e papà", li minacciavano».
Il procedimento dinanzi al giudice minorile è durato 59 giorni: «Tutto sommato, un periodo abbastanza breve», spiega l'avvocato. Alla fine, il tribunale ha riconosciuto che la ricostruzione dei fatti operata dai servizi sociali era totalmente fantasiosa. La compagna di scuola di Maria era arrivata persino ad ammettere di essere la vera autrice del famigerato disegnino osceno. C'è stato anche un processo a carico di quelli che i familiari ritenevano i responsabili di un allontanamento ingiustificabile. Tutti assolti. «E infatti», si rammarica il padre, «non abbiamo mai visto un euro di risarcimento».
Intanto, le vite di Maria e Marco sono irrimediabilmente segnate. I due bambini, ormai giovani adulti, si portano dietro, a distanza di 11 anni, profonde ferite: «Quello è un trauma che non passa mai», commenta con rassegnazione il loro papà. L'avvocato Martinez conferma: Marco, che adesso ha 23 anni, «quando vede i lampeggianti di una volante delle forze dell'ordine si terrorizza». Tutto perché, 11 anni fa, gli assistenti sociali di Basiglio stabilirono in quattro e quattr'otto che quel disegno sconcio su un quadernino era un grido di aiuto di una bambina e non lo scherzo di pessimo gusto di una compagna di scuola. Tutto perché, in virtù di quell'episodio, nel giorno del suo compleanno arrivarono a prelevarlo di forza.
«È normale che un giudice allontani i bambini dalle famiglie di fronte a certe relazioni presentate da quelli che dovrebbero essere professionisti affidabili», dice il padre di Maria e Marco. «Anche se poi questi minori vengono collocati in strutture presso le quali lavorano gli stessi assistenti sociali che hanno chiesto gli allontanamenti… Mi pare un conflitto d'interessi bello e buono».
Suo figlio maggiore «è stato per parecchio tempo in terapia. Così, quando ha sentito delle cose che sono successe a Bibbiano, gli è sembrato di rivivere quel trauma. Anche io mi sono rivisto nelle vicende di Bibbiano. Ho vissuto le stesse cose. Ma strappare un bambino dalle braccia dei genitori è una faccenda delicata: ci vorrebbero i piedi di piombo e i guanti di velluto. I miei figli si porteranno per sempre stampato nella mente quel dolore».
- Da Bibbiano alle vicende Veleno e Lucanto spunta sempre il Cismai. Punto di riferimento degli psicologi più contestati.
- Sul sito Internet del coordinamento compaiono vari comunicati a favore dei porti aperti e della Sea Watch. E poi bordate pesanti contro la legge sull'affido condiviso.
- Lo psicologo promotore della Carta di Noto: «Sono convinti che i maltrattamenti siano molto diffusi. Così si va fuori strada».
Lo speciale contiene tre articoli
È il 10 ottobre del 2018. Al teatro Metropolis di Bibbiano è in programma un grande convegno organizzato dall'Unione dei Comuni Val d'Enza. Tra i promotori ci sono anche la Regione Emilia Romagna e l'Ausl di Reggio Emilia. Il titolo è: «Rinascere dal trauma: il progetto "La Cura"». Il partner principale dell'iniziativa è il Centro «Hansel e Gretel» di Claudio Foti, arrestato nell'ambito dell'inchiesta «Angeli e demoni». La direzione artistica e la regia dell'evento sono affidate a Fadia Bassmaji, anche lei attualmente indagata. Partecipano: Paolo Burani (indagato); Nadia Bolognini (indagata); Francesco Monopoli (indagato); Marietta Veltri (indagata); Marco Scarpati (indagato); Federica Anghinolfi (indagata); Andrea Carletti (indagato). Sono i nomi che ormai abbiamo imparato a conoscere: sempre gli stessi che si ripetono e rimbalzano di convegno in convegno. E c'è un altro nome che talvolta si affaccia. È quello di Gloria Soavi, psicologa e psicoterapeuta ferrarese, già dirigente presso l'Asl di Ferrara, consulente tecnico d'ufficio e, soprattutto, presidente del Cismai, organizzazione che ha collaborato alla produzione del convegno di Bibbiano.
È la stessa Soavi che, nel maggio del 2016, ha partecipato a un altro grande evento, sempre al teatro Metropolis di Bibbiano. Un convegno intitolato: «Quando la notte abita il giorno: l'ascolto del minore vittima di abuso sessuale e maltrattamento». I partecipanti? Ovvio, sempre i soliti: Anghinolfi, Bassmaji, Foti, Bolognini, Scarpati, Monopoli... Patrocinio offerto dalla Regione Emilia Romagna, con tanto di commossa introduzione a cura di Roberta Mori del Partito democratico, probabilmente il maggiore sponsor del giro della Val d'Enza. Anche in questo caso, il Cismai era tra gli organizzatori.
l'origine
Ma di che cosa stiamo parlando, esattamente? Il Cismai è il Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia. È nato nel 1993 e ha la sede legale a Castelnuovo Rangone, provincia di Modena. Una delle sue fondatrici, Marinella Malacrea, lo definisce come una «community di professionisti». In sostanza è un insieme di associazioni che, tra enti e persone fisiche, conta 495 membri in tutta Italia. Stando alla descrizione presente sul suo sito, il Cismai ha come obiettivo quello di «costituire una sede permanente di carattere culturale e formativo nell'ambito delle problematiche inerenti le attività di prevenzione e trattamento della violenza contro i minori, con particolare riguardo all'abuso intrafamiliare».
Non è certo la prima volta che del Cismai si parla sui giornali, anzi. Il coordinamento compare, in un modo o nell'altro, in quasi tutti i grandi casi di abusi su minori della storia recente. In particolare, però, gli operatori legati al Cismai compaiono sempre nelle storie di abusi inventati o comunque discussi. A partire proprio dal famoso caso Veleno, nel quale una ginecologa, Cristina Maggioni, all'epoca indicata come vicina al Cismai (oggi però non risulta tra i soci), si trovò a lavorare fianco a fianco con Cristina Roccia (del centro studi Hansel e Gretel ed ex moglie di Claudio Foti).
«C'è un dettaglio molto interessante che riguarda le esperte che hanno interrogato i bambini della Bassa Modenese», commenta Pablo Trincia, autore del libro Veleno (Einaudi). «Le dottoresse Roccia e Farci, consulenti del Tribunale che hanno interrogato alcuni bambini, lavoravano a Torino, mentre Valeria Donati e le sue colleghe dei Servizi sociali esercitavano a Mirandola e in Emilia Romagna. Pur operando in regioni diverse avevano dato la stessa interpretazione ai racconti dei bambini. All'epoca dei fatti tutte loro facevano parte, o avevano seguito i corsi di formazione, del Cismai. Si tratta di un'associazione estesa su tutto il territorio nazionale».
Il punto, a proposito del Cismai, non è solo che i suoi membri possano avere, negli anni, commesso degli errori. Il problema riguarda piuttosto il metodo che i professionisti che gravitano nell'orbita del coordinamento utilizzano. «Le linee guida del Cismai», spiega Pablo Trincia, «indicano un metodo preciso da utilizzare quandosi ascolta un minore». È stata Gloria Soavi, ricorda Trincia, a ribadire che «l'approccio è al bambino in quanto presunta vittima, con uno stato psicologico e una situazione di trauma, nella consapevolezza che una neutralità assoluta in un rapporto nei confronti di un bambino non ci può essere». E proprio su questo punto, conclude il giornalista delle Iene, «il Cismai è stato, ed è tutt'ora duramente criticato da una parte della comunità scientifica». Anche la politica si è più volte interessata al coordinamento e ai suoi metodi.
l'interrogazione
Nel 2001 alcuni senatori della Repubblica, tra i quali l'avvocato Augusto Cortelloni (Udeur), presentarono un'interrogazione che tirava in ballo la già citata dottoressa Cristina Maggioni. I senatori chiesero se rispondesse al vero che la professionista avesse curato per le Procure italiane ben 358 perizie, per essere poi qualificata dal pm della Procura di Milano Tiziana Siciliano come una persona «incompetente, inaffidabile, neofita della materia, se non in mala fede».
La parte conclusiva di quell'interrogazione di 18 anni fa sembra essere uscita direttamente dalle carte dell'odierna inchiesta «Angeli e demoni». Chiesero i senatori «se non sia vero che l'applicazione del protocollo Cismai sia palesemente lesiva dei diritti della difesa, del principio costituzionale del ́giusto processo, nonché altamente idonea a snaturare le regole processuali penali esistenti». Secondo l'interrogazione, in pratica, la finalità degli operatori legati al Cismai sarebbe stata sempre la stessa: dimostrare ipotetiche e troppo spesso inventate violenze sessuali.
I senatori si chiedevano infatti «se non sia vero che attraverso l'applicazione del metodo Cismai si addivenga sempre e comunque a pronunce penali di condanna anche nei confronti di soggetti innocenti», perché «il protocollo prende le mosse dalla presunzione di colpevolezza certa dell'indagato».
Non solo: nell'interrogazione si domandava anche se «non sussista il pericolo che i soci, nell'esercizio degli incarichi ricevuti dalla magistratura, considerati gli obblighi Cismai a cui sono tenuti, perpetrino condotte penalmente rilevanti, come, ad esempio, la frode processuale, la falsa perizia o falsa interpretazione, intralciando, di conseguenza, l'attività dell'autorità giudiziaria».
Tanti rapporti
Lette quasi vent'anni dopo, sono parole che fanno spavento. All'epoca dell'interrogazione, nel 2001, il ministro della Giustizia era Piero Fassino. Rispose semplicemente che i professionisti del Cismai erano tutti titolati e con i curricula in ordine. Disse poi che avrebbe fatto ulteriori approfondimenti, ma non si ha notizia di grandi iniziative.
Da allora, i professionisti del Cismai hanno continuato a lavorare un po' dappertutto, spesso collaborando con le istituzioni. Non per nulla, tra i soci del coordinamento compaiono numerosi enti pubblici: si va dall'Asl 2 di Torino al Comune di Vicenza, dall'Ulss 1 di Belluno al Centro regionale per la diagnostica del bambino maltrattato di Padova. Poi troviamo il Comune di Genova per il progetto Contrasto al maltrattamento e all'abuso, il Comune di San Giuliano Milanese per il Servizio minori e famiglie, il Comune di Trieste per il Servizio minori, l'Ospedale Pediatrico di Bari, il Comune di Napoli, il Comune di Albano Laziale, le Comunità educative per Minori di Ferrara e Argenta, l'Unione dei Comuni modenesi area nord per il Servizio minori famiglie e giovani, l'Unione dei Comuni Valle Savio di Cesena, e l'Usl della Romagna. Nel 2013, il Cismai ha collaborato con l'ufficio del difensore civico dell'Emilia Romagna per il dossier intitolato L'ascolto del minore nei procedimenti giudiziari civili e penali, curato da Elena Buccoliero. Costei è l'attuale direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati. Il suo nome compare nelle carte dell'inchiesta «Angeli e demoni». La Buccoliero non risulta indagata, ma secondo il gip di Reggio Emilia era il tramite tra Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali Val d'Enza, e alcuni «giudici amici», che avrebbero potuto contribuire alla causa del sistema bibbianese. Ah, tanto per non farsi mancare nulla: la Buccoliero, nel 2018, ha scritto un libro assieme a Gloria Soavi...
Sono numerosi i progetti della Regione Emilia Romagna con cui il Cismai ha collaborato. E sono strette anche le relazioni del coordinamento con il Garante per l'infanzia, Filomena Albano. Fra le altre cose, la Albano ha firmato una convenzione che porterà, tra un anno, alla pubblicazione, presentazione e diffusione di un dossier sui maltrattamenti dei bambini e degli adolescenti in Italia. Uno dei due partner è il Cismai.
Gli stessi nomi
Come dicevamo, i nomi sono sempre quelli. Tornano nell'inchiesta Veleno, in «Angeli e demoni». Compaiono anche nel caso di Angela Lucanto, la protagonista del libro Rapita dalla giustizia di Maurizio Tortorella e Caterina Guarneri (da cui la recente fiction con Sabrina Ferilli). Anche lì si parlava di abusi mai avvenuti, anche lì entrò in gioco Claudio Foti.
In quella brutta storia c'entrava una ragazza di nome Antonella, che s'inventò violenze e molestie. A sentirla fu pure la neuropsichiatra infantile Marinella Malacrea, socio fondatore del Cismai. L'anno scorso, la signora ha sfornato un libro intitolato Curare i bambini abusati (Raffaello Cortina), con interventi di Claudio Foti e Nadia Bolognini tra gli altri.
Ma restiamo un attimo sul caso Lucanto. Il pm, in quella circostanza, era Pietro Forno. Come scrisse Il Foglio nel 2001, «durante il processo di primo grado [...] , la psicoterapeuta Marinella Malacrea viene sospettata di fare perizie “forzate". Uno degli avvocati, Guido Bomparola, chiede che un foglietto di appunti della psicoterapeuta venga allegato agli atti. C'è scritto: “Con Forno rimango poi d'accordo che farò bastare gli elementi che ho… informo Forno che se non riuscirò a produrre un minimo di alleanza (con la teste, ndr) non mi pare utile farle un esame psicologico, sarebbe… (non si capisce la parola, ndr) oltre che controproducente».
La difesa
In questi giorni, da quando è esplosa l'inchiesta «Angeli e demoni», sul sito del coordinamento compare un comunicato intitolato «il Cismai è una comunità scientifica, non una fabbrica di mostri». Dicono i vertici dell'associazione: «Ci dispiace e ci preoccupa essere dipinti come professionisti ossessionati dalla necessità di costruire mostri, come figure professionali pregiudizialmente ostili verso le famiglie che hanno problemi coi figli. Ci indigna essere definiti complici di una strategia complottista allo scopo di creare falsi abusi».
L'elenco dei casi dubbi, discutili, discussi e smentiti, tuttavia, è lungo e davvero inquietante. Se il Cismai non è una «fabbrica di mostri», resta che forse, nei metodi che utilizzano i suoi associati e gli operatori di riferimento, c'è qualcosa da rivedere.
Tifano Ong e attaccano il ddl Pillon
Basta navigare per qualche minuto nella sezione del suo sito dedicata alle news per comprendere il posizionamento del Cismai. A gennaio, ad esempio, ha diramato più di un comunicato stampa sul caso della Sea Watch ferma in mare. In una delle note era intervenuta addirittura la presidente Gloria Soavi con queste parole: «Vietare lo sbarco viola la legge Zampa e la Convenzione Onu». E, per cercare di dare una struttura scientifica alle leve ideologiche usate per fare pressing sull'apertura dei porti, entrò nel dibattito dicendosi d'accordo con il medico di bordo: «Non è possibile escludere episodi di autolesionismo».
La finalità: «Chiediamo che siano fatti sbarcare e che siano garantite loro le cure necessarie, in modo che possano quantomeno ritrovare un po' di speranza. Questa situazione è gravissima». L'altro tema che caratterizza il Cismai e che sembra appassionarlo nei dibattiti è il disegno di legge Pillon, su separazioni, divorzi e, appunto, affido dei minori. Come la pensano al Cismai? Il 10 novembre 2018 il coordinamento aderì a una manifestazione di protesta, con la Cgil e le associazioni di femministe, organizzata in tutta Italia. In un comunicato spiegarono così le ragioni di quella partecipazione: «La nostra contrarietà è legata al senso del nostro impegno in difesa dei diritti dei minori di età. Il nostro è un no ad una visione che nega la centralità dei diritti dei minori, che nega la necessità di ascoltare la loro voce, la loro sofferenza e il loro punto di vista. I bambini non sono pacchi. I loro diritti non sono negoziabili».
E per dare più forza a quella presa di posizione era scesa in campo pure la presidente Soavi, che dopo aver esposto le «forti contrarietà del coordinamento», ha pensato bene anche di mettere in guardia i cittadini «sulle possibili gravi ripercussioni sulla vita dei minori». Ecco le sue parole: «L'approccio del ddl Pillon è generalista e finisce con il penalizzare le complessità delle situazioni. È pensato sulle istanze degli adulti e non tiene conto dei diritti delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi. Abbiamo bisogno invece di avanzare sulla strada dei diritti dei minori e non retrocedere: se un bambino manifesta la volontà di non incontrare un genitore la prima cosa da fare è capire perché e non pensare che uno dei due genitori lo stia influenzando o, peggio, che il bambino menta». Sempre che il bambino non si trovi in una situazione da «Angeli e demoni»...
Fabio Amendolara
«Un modello sbagliato. Trova violenze anche se non ci sono»
Avvocato, psicologo, psicoterapeuta, docente universitario. Guglielmo Gulotta è un'autorità in materia di minori, ed è la mente dietro la Carta di noto, importante strumento chi opera nel campo dell'abuso sessuale sui ragazzini. I professionisti che si riferiscono alla Carta di noto vengono spesso presentati come i «grandi avversari» del Cismai, i cui componenti, negli anni, non hanno risparmiato critiche pesanti. Gulotta, però, la vede un po' diversamente.
«Sono riusciti a far credere, e molti magistrati ci hanno creduto, che esistessero due scuole di pensiero», spiega. «Una che fa capo a quelli che sono i “pratici" dei Centri di tutela del bambino, l'altra che fa riferimento agli accademici e a qualche professionista. Ma così non è».
Gli «accademici» sareste voi della Carta di Noto.
«In realtà la Carta di Noto è nata proprio per rispondere a un'esigenza degli operatori ed è il precipitato della letteratura scientifica internazionale. Dall'altra parte, invece, si fanno documenti, lezioni, conversazioni che partono da una premessa non provata: che gli abusi sessuali nei confronti di bambini anche piccoli in ambito famigliare siano comuni. È un fenomeno, si dice, diffuso e che non è facile da scoprire, anche perché spesso i bambini sono minacciati, sono reticenti e anche quando ritrattano non c'è da fidarsi. Quella sugli abusi diffusi, tuttavia, è una profezia che si auto avvera».
Cioè?
«Mi spiego. Sulla base di questa premessa non provata, molti Centri - non dico tutti, ma molti - anche in buona fede, intervistano i bambini con domande suggestive quali “cosa ti ha fatto il papà?" (e quindi qualcosa deve avergli fatto), “dove ti ha toccato?" (e quindi da qualche parte deve averlo toccato). E il risultato è che trovano in segni equivoci la prova del fatto che sono di fronte a un abuso».
Facciamo un esempio concreto.
«Marito e moglie sono in conflitto. La bambina ogni tanto passa del tempo con il padre separato. Dopo uno di questi incontri torna ed è un po' arrossata nelle parti genitali. La mamma chiede “chi è stato?" o “che cosa è successo?". Non porrebbe queste domande se avesse un foruncolo sul naso o un lobo arrossato. La bambina risponde come può, la mamma teme che “qualcosa" sia successo. Non è detto che la mamma voglia calunniare: è preoccupata. Anche perché può pensare che il marito, il quale magari l'ha tradita con una donna più giovane, sia capace di tutto. Così madre e figlia si recano in un Centro. E lì trovano qualcuno impreparato che, partendo dalla premessa che gli abusi siano comuni, riscontra che qualcosa è successo. In sostanza, la premessa diventa provata perché qualcuno - partendo da un presupposto errato - continua a riscontrare che ci sono abusi. Anche se non ci sono quasi mai tracce di tipo fisico che questi abusi li dimostrino».
I vostri contestatori (quelli che fanno riferimento al Cismai, tra gli altri) dicono che voi difendete i pedofili.
«Hanno detto anche che la Carta di Noto è qualcosa che abbiamo prodotto per aiutare i nostri clienti accusati di queste malefatte. Però sono state prodotte, nel 2010, le Linee guida nazionali, che dicono praticamente le stesse cose, con la partecipazione di due rappresentanti per ogni associazione scientifica: Società italiana di criminologia, Società italiana di medicina legale, Società italiana di neuropsichiatria infantile, Società italiana di Neuropsicologia, Società italiana di psichiatria, Società di psicologia giuridica. Hanno addirittura sostenuto, taluni, che il gruppo che afferisce alla Carta di Noto prende queste posizioni per lucrare professionalmente. Ancora si dimostra come, oltre tutto, ragionano illogicamente. L'indignazione che insorge per le pratiche che abbiamo criticato, tende a scoraggiare la diagnosi di falsi abusi, il che dovrebbe far diminuire il nostro lavoro professionale».
Resta che non tutti gli abusi sono inventati.
«Ovviamente i pedofili ci sono. E nessuno nega che esista l'incesto. Ma qui stiamo parlando di casi in cui sono coinvolti bambini piccoli e c'è di mezzo un conflitto famigliare. C'è addirittura chi dice che non esista il meccanismo chiamato alienazione genitoriale, cioè la manipolazione psicologica che un genitore fa del bambino contro l'altro genitore. Ci dicono che l'alienazione parentale non è riconosciuta dal Dsm. Ma nemmeno lo stalking o il mobbing lo sono. Significa forse che non esistono?».
Esiste una letteratura scientifica su tutto ciò?
«Quando dico che la Carta di Noto è il precipitato di tanto sapere, invito ad andare su Google Scholar, che dà conto della produzione scientifica in relazione a differenti argomenti. Si può vedere come ci sono 141.000 pubblicazioni che parlano delle domande ai minori vittime, 41.800 articoli sulla alienazione parentale e 23.400 pubblicazioni sulla suggestionabilità dei bambini. I nostri protocolli estraggono da tutta questa letteratura dei principi utili per i professionisti. Coloro che non tengono conto dei protocolli prodotti, conoscono questa letteratura?».
Francesco Borgonovo







