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2020-12-09
Sul Mes i dissidenti grillini non dissentono più
Roberto Fico e Barbara Lezzi(Ansa)
A un certo punto, nel lungo post con cui la pasionaria grillina Barbara Lezzi ha tentato di giustificare l'ammainabandiera dei duri e puri sul Mes, è spuntato anche l'Edis. Un acronimo oscuro ai più, o almeno ai tanti che non masticano tecnicismi comunitari, che sta per European deposit insurance scheme e che è stato buttato lì per rivendicare risultati tangibili, ottenuti di fronte all'ala governista di M5s, dopo un lungo braccio di ferro che impegnerebbe ora l'esecutivo su una rigida agenda di riforme «necessarie» fino al termine naturale della legislatura. Tra cui, appunto, l'introduzione del citato Fondo di garanzia sui depositi, assente da tempo immemore dall'agenda politica e verosimilmente destinato a ricadere nell'oblio una volta calato il sipario sull'ennesima turbolenza della maggioranza. Formule magiche a parte, il segnale inviato sui social nella tarda mattinata di ieri, con una prosa abbondante di perifrasi e distinguo, da parte della senatrice ed ex-ministra vicinissima ad Alessandro Di Battista e capofila (almeno fino a ieri) dei dissidenti pentastellati sul Mes, è stato chiarissimo: il Conte-bis non cadrà sul Mes, e se qualcuno vorrà cacciare il premier da Palazzo Chigi, quel qualcuno non sarà di certo un parlamentare anti Mes, a prescindere da quale sia l'ala interna cui fa riferimento. Oggi, nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama (con un faro puntato in particolare su quest'ultima, dati i precari rapporti di forza) non è escluso un po' di gioco delle parti, o il manifestarsi di una sorta di «diritto di tribuna» per i più recalcitranti a ingoiare il rientro dei ranghi, ma nulla di così nocivo da far mancare i numeri al governo sulla risoluzione di maggioranza. Un esito alla fine prevedibile, come ha scritto ieri La Verità, a dispetto del clamore sollevato negli ultimi giorni dal documento degli oltre 60 parlamentari penstastellati che avevano puntato i piedi di fronte alla prospettiva di un docile assenso parlamentare alla riforma del tanto contestato meccanismo salva Stati, un tempo ritenuto da tutto il Movimento la punta di diamante del disegno della troika per spogliare l'Italia della propria sovranità. Un finale forse annunciato, ma non per questo meno imbarazzante per la galassia grillina, se si pensa che solo tre giorni fa Beppe Grillo in persona aveva intonato il de profundis per il Mes, definendolo uno «strumento utile e inadatto» su quello stesso blog delle Stelle che ospita ancora i punti del programma originario pentastellato, in cui fioccano le invettive anti Ue. E se si pensa che, nei due anni passati ininterrottamente al governo da M5s prima al fianco della Lega e poi dei dem, l'abiura, seppure soft, ha interessato altri pilastri della piattaforma delle origini, come la Tav e il Tap, il cui via libera definitivo scatenò una rivolta dei militanti pugliesi proprio nei confronti di Barbara Lezzi. Non a caso, il dietro-front della Lezzi e dei «casaleggio-dibattistiani» è stato salutato con formidabile tempismo dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, lesto nel proporsi come mediatore nel nome del bene superiore del Paese: «Era ciò che avevo fortemente auspicato» , ha affermato Di Maio, «e per cui ho lavorato insieme a tutti gli altri. Come ho ribadito più volte, il no all'utilizzo del Mes resta fermo, ma il voto sarà un voto sul governo, su una risoluzione, sul presidente del Consiglio. Prevalga la responsabilità». Nella narrazione della Lezzi, la svolta è arrivata dopo «due intere giornate insieme ad altri 60 parlamentari per mediare le posizioni, per trovare un punto di caduta e per fare in modo di non essere ricordati come coloro che hanno peggiorato uno strumento già pessimo senza aver avuto nulla in cambio a tutela dei cittadini». Appare sempre più evidente, però, come la partita, nelle dinamiche interne al Movimento, si sia spostata dal programma all'organigramma ed è difficile non pensare che la spada di Damocle di un affossamento in aula di Conte sia stata brandita da chi ha a cuore più di ogni altra cosa gli equilibri che dovranno uscire dalla chiusura dei tanto tormentati Stati generali. In questa aspra competizione interna per il Movimento c'è, verosimilmente, anche il motivo per cui era del tutto irragionevole pensare a un agguato fatale al premier: la pattuglia dei duri e puri grillini è perfettamente consapevole del fatto di operare in un Parlamento anacronistico, «frizzato» al 2018 e in cui il Movimento è sovradimensionato almeno del doppio rispetto al consenso di cui è attualmente accreditato dai sondaggi. Proiettarsi ora in una campagna elettorale, con un terzo dei seggi a disposizione e con le leve interne del comando saldamente in mano a Di Maio e soci, significherebbe dire addio per sempre alla poltrona, e non sarebbe saggio. Più logico sarebbe organizzarsi e lottare per portare a casa il più possibile e con ogni mezzo possibile nel lasso di tempo che separa tutti da fine legislatura, ed è più o meno quello che sta accadendo. Per trovare qualcuno deciso ad affossare Conte, bisognerà probabilmente guardare altrove, magari sempre dentro M5s come ha lasciato intendere in modo sibillino la stessa Lezzi quando parla «di chi esalta Conte in pubblico ma mira ad affossarlo». O più probabilmente dalle parti di Italia viva, ma questa è un'altra storia.
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La pasionaria Barbara Lezzi, vicina a Di Battista, annuncia la resa della fronda: il M5s voterà a favore della riforma del salva Stati E per fingere di non aver tradito tirano fuori di nuovo la «logica di pacchetto». Luigi Di Maio esulta: «Era ciò che fortemente auspicavo»A un certo punto, nel lungo post con cui la pasionaria grillina Barbara Lezzi ha tentato di giustificare l'ammainabandiera dei duri e puri sul Mes, è spuntato anche l'Edis. Un acronimo oscuro ai più, o almeno ai tanti che non masticano tecnicismi comunitari, che sta per European deposit insurance scheme e che è stato buttato lì per rivendicare risultati tangibili, ottenuti di fronte all'ala governista di M5s, dopo un lungo braccio di ferro che impegnerebbe ora l'esecutivo su una rigida agenda di riforme «necessarie» fino al termine naturale della legislatura. Tra cui, appunto, l'introduzione del citato Fondo di garanzia sui depositi, assente da tempo immemore dall'agenda politica e verosimilmente destinato a ricadere nell'oblio una volta calato il sipario sull'ennesima turbolenza della maggioranza. Formule magiche a parte, il segnale inviato sui social nella tarda mattinata di ieri, con una prosa abbondante di perifrasi e distinguo, da parte della senatrice ed ex-ministra vicinissima ad Alessandro Di Battista e capofila (almeno fino a ieri) dei dissidenti pentastellati sul Mes, è stato chiarissimo: il Conte-bis non cadrà sul Mes, e se qualcuno vorrà cacciare il premier da Palazzo Chigi, quel qualcuno non sarà di certo un parlamentare anti Mes, a prescindere da quale sia l'ala interna cui fa riferimento. Oggi, nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama (con un faro puntato in particolare su quest'ultima, dati i precari rapporti di forza) non è escluso un po' di gioco delle parti, o il manifestarsi di una sorta di «diritto di tribuna» per i più recalcitranti a ingoiare il rientro dei ranghi, ma nulla di così nocivo da far mancare i numeri al governo sulla risoluzione di maggioranza. Un esito alla fine prevedibile, come ha scritto ieri La Verità, a dispetto del clamore sollevato negli ultimi giorni dal documento degli oltre 60 parlamentari penstastellati che avevano puntato i piedi di fronte alla prospettiva di un docile assenso parlamentare alla riforma del tanto contestato meccanismo salva Stati, un tempo ritenuto da tutto il Movimento la punta di diamante del disegno della troika per spogliare l'Italia della propria sovranità. Un finale forse annunciato, ma non per questo meno imbarazzante per la galassia grillina, se si pensa che solo tre giorni fa Beppe Grillo in persona aveva intonato il de profundis per il Mes, definendolo uno «strumento utile e inadatto» su quello stesso blog delle Stelle che ospita ancora i punti del programma originario pentastellato, in cui fioccano le invettive anti Ue. E se si pensa che, nei due anni passati ininterrottamente al governo da M5s prima al fianco della Lega e poi dei dem, l'abiura, seppure soft, ha interessato altri pilastri della piattaforma delle origini, come la Tav e il Tap, il cui via libera definitivo scatenò una rivolta dei militanti pugliesi proprio nei confronti di Barbara Lezzi. Non a caso, il dietro-front della Lezzi e dei «casaleggio-dibattistiani» è stato salutato con formidabile tempismo dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, lesto nel proporsi come mediatore nel nome del bene superiore del Paese: «Era ciò che avevo fortemente auspicato» , ha affermato Di Maio, «e per cui ho lavorato insieme a tutti gli altri. Come ho ribadito più volte, il no all'utilizzo del Mes resta fermo, ma il voto sarà un voto sul governo, su una risoluzione, sul presidente del Consiglio. Prevalga la responsabilità». Nella narrazione della Lezzi, la svolta è arrivata dopo «due intere giornate insieme ad altri 60 parlamentari per mediare le posizioni, per trovare un punto di caduta e per fare in modo di non essere ricordati come coloro che hanno peggiorato uno strumento già pessimo senza aver avuto nulla in cambio a tutela dei cittadini». Appare sempre più evidente, però, come la partita, nelle dinamiche interne al Movimento, si sia spostata dal programma all'organigramma ed è difficile non pensare che la spada di Damocle di un affossamento in aula di Conte sia stata brandita da chi ha a cuore più di ogni altra cosa gli equilibri che dovranno uscire dalla chiusura dei tanto tormentati Stati generali. In questa aspra competizione interna per il Movimento c'è, verosimilmente, anche il motivo per cui era del tutto irragionevole pensare a un agguato fatale al premier: la pattuglia dei duri e puri grillini è perfettamente consapevole del fatto di operare in un Parlamento anacronistico, «frizzato» al 2018 e in cui il Movimento è sovradimensionato almeno del doppio rispetto al consenso di cui è attualmente accreditato dai sondaggi. Proiettarsi ora in una campagna elettorale, con un terzo dei seggi a disposizione e con le leve interne del comando saldamente in mano a Di Maio e soci, significherebbe dire addio per sempre alla poltrona, e non sarebbe saggio. Più logico sarebbe organizzarsi e lottare per portare a casa il più possibile e con ogni mezzo possibile nel lasso di tempo che separa tutti da fine legislatura, ed è più o meno quello che sta accadendo. Per trovare qualcuno deciso ad affossare Conte, bisognerà probabilmente guardare altrove, magari sempre dentro M5s come ha lasciato intendere in modo sibillino la stessa Lezzi quando parla «di chi esalta Conte in pubblico ma mira ad affossarlo». O più probabilmente dalle parti di Italia viva, ma questa è un'altra storia.
David Neres festeggia con Rasmus Hojlund dopo aver segnato il gol dell'1-0 durante la semifinale di Supercoppa italiana tra Napoli e Milan a Riyadh (Ansa)
Nella prima semifinale in Arabia Saudita i campioni d’Italia superano 2-0 i rossoneri con un gol per tempo di Neres e Hojlund. Conte: «Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza». Allegri: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà».
È il Napoli la prima finalista della Supercoppa italiana. All’Alawwal Park di Riyadh, davanti a 24.941 spettatori, i campioni d’Italia superano 2-0 il Milan al termine di una semifinale mai realmente in discussione e torneranno lunedì nello stadio dell’Al Nassr per giocarsi il primo trofeo stagionale contro la vincente di Bologna-Inter, in programma domani sera.
Decidono un gol per tempo di Neres e Hojlund, protagonisti assoluti di una gara che la squadra di Antonio Conte ha interpretato con maggiore lucidità, intensità e qualità rispetto ai rossoneri. Il pubblico saudita, arrivato a scaglioni sugli spalti come da consuetudine locale, si è acceso soprattutto per Luka Modric durante il riscaldamento, più inquadrato sugli smartphone che realmente seguito sul campo, ma alla lunga è stato il Napoli a prendersi scena e risultato. Un successo meritato per i partenopei che rispetto al Milan hanno dimostrato di avere più idee e mezzi per colpire.
Conte ha scelto la miglior formazione possibile, confermando il 3-4-2-1 con l’unica eccezione rispetto alle ultime gare di campionato che riguarda il ritorno tra i titolari di Politano al posto di Lang. Davanti la coppia McTominay-Neres ad agire alle spalle di Hojlund. Ed è stato proprio il centravanti danese uno dei protagonisti del match e della vittoria del Napoli, mettendo lo zampino in entrambi i gol e facendo impazzire in marcatura De Winter. L’ex difensore del Genoa è stato scelto da Allegri come perno della difesa a tre per sostituire l'infortunato Gabbia, un’assenza che alla fine dei conti si è rivelata più pesante del previsto. Ma se quella del difensore centrale era praticamente una scelta obbligata, il turnover applicato in mezzo al campo e sulla corsia di destra non ha restituito gli effetti desiderati. Nel solito 3-5-2 hanno trovato spazio dal primo minuto anche Jashari e Loftus-Cheek, titolari al posto di Modric e Fofana, ed Estupinan per far rifiatare Bartesaghi, uno degli uomini più in forma tra i rossoneri.
Il Napoli ha preso infatti fin da subito l’iniziativa, con Elmas al tiro già al 2’ e con Maignan attento a bloccare senza problemi. Il Milan ha poi avuto due ghiotte occasioni: al 5’ sugli sviluppi di una rimessa laterale Pavlovic ha tentato una rovesciata, il pallone è arrivato a Loftus-Cheek che, solo davanti a Milinkovic-Savic, ha mancato incredibilmente l’impatto; al 16' Saelemaekers ha sprecato calciando alto da buona posizione. È l’illusione rossonera, perché da quel momento sono i partenopei a comandare il gioco. Al 32' McTominay ha sfiorato il vantaggio con un destro di prima poco fuori, mentre Nkunku al 37’ ha confermato il suo momento negativo non inquadrando nemmeno la porta a conclusione di un contropiede che poteva cambiare la partita. Partita che è cambiata in maniera decisiva due minuti dopo, al 39’, quando è arrivato il gol che ha sbloccato la semifinale: da un'azione insistita di Elmas sulla sinistra, il pallone è arrivato a Hojlund il cui tiro in diagonale ha messo in difficoltà Maignan. La respinta troppo corta del portiere francese è finita sui piedi di Neres, il più rapido ad avventarsi sul pallone e a depositarlo in rete. Il Napoli è andato vicino al raddoppio già prima dell’intervallo con un altro contropiede orchestrato da Elmas e concluso da Hojlund, su cui Maignan ha dovuto compiere un mezzo miracolo.
Nella ripresa il copione non è cambiato. Rrahmani ha impegnato ancora Maignan da fuori area, poi al 64’ è arrivato il 2-0 che ha chiuso la partita: Spinazzola ha affondato a sinistra e servito Hojlund, veloce e preciso a finalizzare con freddezza, firmando così una prestazione dominante contro un De Winter in grande difficoltà. Allegri ha provato a cambiare volto alla gara passando al 4-1-4-1 con l’ingresso di Fofana e Athekame, ma il Milan non è riuscito di fatto mai a rientrare davvero in partita. Anzi. Al 73' uno scatenato Hojlund ha sfiorato la doppietta personale. Poi, al 75', il Milan ha regalato alla parte di stadio rossonera la gioia più grande di tuta la serata, ovvero l'ingresso in campo di Modric. Il croato è entrato tra gli applausi del pubblico, ma è solo una nota di colore in una serata che resta saldamente nelle mani del Napoli. Nel finale spazio anche a qualche tensione, sia in campo che in panchina. Prima le scintille tra Tomori e McTominay, ammoniti entrambi da Zufferli. Poi, in pieno recupero, un battibecco verbale tra Oriali e Allegri. E mentre scorrevano i sette minuti di recupero concessi dal direttore di gara, accompagnato dal coro dei tifosi sauditi di fede azzurra «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi», è arrivato il verdetto definitivo.
Nel post partita Massimiliano Allegri ha riconosciuto i meriti degli avversari: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà». Sull’eliminazione da Coppa Italia e Supercoppa è stato netto: «Siamo dispiaciuti, ma il nostro obiettivo resta la qualificazione in Champions, che è un salvavita per la società». Di tutt’altro tono Antonio Conte, soddisfatto della risposta della sua squadra: «Battere il Milan fa morale. Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza. Con energia, anche in emergenza, siamo difficili da affrontare». Parole di elogio per Hojlund: «Ha 22 anni, grandi margini di crescita e oggi è stato determinante. Sta capendo sempre di più quello che gli chiedo».
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