
Il capo economista di Unicredit benedice l'idea, ma continua lo psicodramma dei dem dopo l'ok della Camera alla proposta. Silvia Fregolent fa ammenda, Luigi Marattin il bullo. Ma se non leggono poche pagine di mozione, come votavano su bail in e Jobs act?C'era una volta il partito dei competenti, quello che simpatizzava per le patenti di voto e non perdeva occasione per definire ciarlatani i componenti del governo gialloblù. E invece è bastata una semplice mozione parlamentare per far sciogliere come neve al sole tutta la spocchia del Partito democratico. La storia è ormai nota: nella seduta di martedì 28 maggio, la Camera ha approvato all'unanimità (476 voti favorevoli) la mozione 1/00013 a prima firma di Simone Baldelli (Forza Italia) con la quale si impegna il governo a «sbloccare il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso imprese e professionisti, accelerandone i tempi». Nulla da obiettare, anche perché restituire quei 57 miliardi di crediti alle aziende costituirebbe un importantissimo volano per l'economia. D'altronde, come ha osservato la stessa Commissione europea, il mancato pagamento dei debiti della Pa rappresenta la causa del fallimento di un'azienda italiana su quattro e della perdita di 450.000 posti di lavoro all'anno.Piccolo particolare, uno degli strumenti individuati dalla mozione approvata per accelerare i rimborsi è la cartolarizzazione del debito «anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio», meglio noti nell'ambiente con il nome di minibot. Senza dubbio i lettori della Verità ricorderanno che proprio su queste pagine ci siamo occupati della questione a più riprese nel corso dell'estate del 2017, quando l'idea promossa dal leghista Claudio Borghi (oggi presidente della commissione Bilancio della Camera) scatenò un vivace dibattito fuori e dentro i confini nazionali. Oggi i minibot approdano in Parlamento e la cosa non deve sorprendere, considerato che la loro attuazione è prevista dal contratto di governo sottoscritto da Lega e M5s. Quello che ha lasciato tutti a bocca aperta, semmai, è stato il disco verde da parte dei parlamentari del Pd, gli stessi cioè che puntualmente fanno coincidere le dichiarazioni di Borghi con l'aumento dello spread. Un lungo elenco che comprende, tra gli altri, l'ex premier Paolo Gentiloni, gli ex ministri Pier Carlo Padoan, Maria Elena Boschi, Marianna Madia e Graziano Delrio, ma anche Francesco Boccia (predecessore di Borghi alla presidenza della commissione Bilancio), Piero Fassino e Luigi Marattin. Quando dalle parti di via delle Fratte si sono resi conto della clamorosa figura di palta, il caso umano del Pd è deflagrato in tutta la sua potenza. Qualcuno, come il capogruppo dem in commissione Finanze Silvia Fregolent, si è scusato parlando di errore di comprensione («Mi assumo la responsabilità di avere sottovalutato il testo», ha spiegato al Foglio). La maggior parte ha preferito nascondere la testa sotto la sabbia, ma c'è anche chi ha avuto il coraggio di passare al contrattacco. Luigi Marattin si è inventato l'hashtag #Ealloraiminibot, pubblicando una sfilza di tweet sui presunti insuccessi economici del governo. Tentativo naufragato miseramente, come dimostra il commento di Alberto Bisin, economista alla New York University da sempre critico nei confronti dell'esecutivo, il quale sempre su Twitter lo ha invitato a «non mancare di rispetto per i tuoi elettori». Nella serata di venerdì, poi, la presa di posizione ufficiale: «Il Partito democratico presenterà un ordine del giorno urgente al dl Crescita per escludere l'impiego di strumenti come i cosiddetti “minibot" per creare nuovo debito». La mozione, si legge nel testo diffuso dal gruppo alla Camera, non solo non è vincolante ma «ha subito aggiunte spurie e modifiche dell'ultimo momento prima del voto finale». Sorvoliamo per un attimo sul fatto che in aula i «titoli di piccolo taglio» erano stati citati eccome (da Stefano Fassina) e che anche senza i voti del Pd la mozione sarebbe passata comunque. Non c'è ordine del giorno, invece, in grado di dissipare il seguente dubbio amletico: ma i dem ci sono (davvero votano gli atti parlamentari senza capirli) oppure ci fanno (prima sbagliano e poi accusano gli altri di camuffare i documenti)? Vogliono davvero che lo Stato restituisca le somme dovute alle imprese e ai cittadini oppure intendono rimangiarsi l'impegno sottoscritto con la mozione? Ma la vera questione, ben più grave, è un'altra. Siamo davvero sicuri che i deputati del Pd che hanno votato a favore delle riforme spacciate dal proprio partito come necessarie (Jobs act) o ancora peggio passate in sordina (bail in) le abbiano davvero lette prime di approvarle? Visti i catastrofici risultati ottenuti da questi provvedimenti, il sospetto è più che lecito. Nel frattempo, i minibot continuano a far discutere gli economisti. «Al netto della folle retorica», si chiede su Twitter il capo economista a Unicredit Erik Fossing Nielsen, «cosa c'è di sbagliato nel cartolarizzare i debiti» della Pa? Contattato dalla Verità, Claudio Borghi spiega che «insieme alla flat tax, i minibot sono una delle due colonne dello shock fiscale di cui parla Matteo Salvini» e rappresentano «per i cittadini la possibilità di spendere dei soldi che altrimenti non avrebbero, permettendo così il rilancio dell'economia».
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.
I tagli del governo degli ultimi anni hanno favorito soprattutto le fasce di reddito più basse. Ora viene attuato un riequilibrio.
Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.
Maurizio Landini (Ansa)
La Cgil proclama l’ennesima protesta di venerdì (per la manovra). Reazione ironica di Meloni e Salvini: quando cade il 12 dicembre? In realtà il sindacato ha stoppato gli incrementi alle paghe degli statali, mentre dal 2022 i rinnovi dei privati si sono velocizzati.
Sembra che al governo avessero aperto una sorta di riffa. Scavallato novembre, alcuni esponenti dell’esecutivo hanno messo in fila tutti i venerdì dell’ultimo mese dell’anno e aperto le scommesse: quando cadrà il «telefonatissimo» sciopero generale di Landini contro la manovra? Cinque, dodici e diciannove di dicembre le date segnate con un circoletto rosso. C’è chi aveva puntato sul primo fine settimana disponibile mettendo in conto che il segretario questa volta volesse fare le cose in grande: un super-ponte attaccato all’Immacolata. Pochi invece avevano messo le loro fiches sul 19, troppo vicino al Natale e all’approvazione della legge di Bilancio. La maggioranza dei partecipanti alla serratissima competizione si diceva sicura: vedrete che si organizzerà sul 12, gli manca pure la fantasia per sparigliare. Tant’è che all’annuncio di ieri, in molti anche nella maggioranza hanno stappato: evviva.





