
Il ministro della Cultura, Alberto Bonisoli: «Non ragiono con il passaporto ma è provinciale sceglierli solo perché stranieri. Voglio liberare dall'assedio le città d'arte e Venezia dalle maxi navi».Le grandi navi che sfilano davanti a San Marco non lo convincono. Anzi, proprio non gli piacciono. Per una ragione semplice: Venezia è unica, non c'è somma di denaro che valga metterne a rischio la bellezza fragile e irripetibile. Quella bellezza che spinse Friedrich Nietzsche a scrivere: «Se dovessi cercare una parola che sostituisce musica potrei pensare soltanto a Venezia». Il ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, racconta alla Verità il suo piano per difendere e valorizzare il più grande patrimonio artistico del mondo. Innanzitutto una premessa, che pare rispondere a chi, qualche legislatura addietro, sosteneva che con la cultura non si mangia: «Io mi considero un lavoratore della cultura e la cultura non fa lavorare solo me».Bocconiano, 56 anni, sposato con due figlie, di Mantova ma residente a Castelletto Ticino, già direttore della Nuova Accademia delle Belle Arti di Milano.Nel suo discorso d'insediamento ha detto che bisogna spendere di più per la cultura. Quanto di più? E perché?«Quanto potremo spendere di più lo decideremo insieme al resto del governo quando ci metteremo a tavolino per la legge di bilancio. Ma io credo che sia importante aumentare le risorse per due motivi. Il primo perché da tutta Italia mi segnalano carenza di personale. Inoltre nei prossimi tre anni molti dipendenti del ministero dei Beni e delle Attività culturali andranno in pensione. Per questo serve un piano straordinario di assunzioni nei beni culturali, ovviamente non tutti subito, altrimenti si creerebbe un tappo generazionale. Ma servono persone qualificate, motivate e competenti. Non abbiamo bisogno di precari».C'è anche l'ipotesi di spostare personale da altri ministeri?«In alcuni ministeri ci sono degli esuberi che a noi interessano. Persone laureate che potrebbero contribuire al nostro progetto con reciproca soddisfazione. Stiamo verificando con gli altri dicasteri se la strada è percorribile. Mi piacerebbe».Dove intende concentrare gli investimenti? «Distribuiremo queste risorse dove serve. Anche nei piccoli siti, in quelli meno conosciuti. Ma c'è anche un secondo motivo per investire in cultura…».Quale?«Il secondo punto è che abbiamo bisogno della crescita di valori positivi nella società, soprattutto nelle giovani generazioni. Stiamo studiando delle condizioni vantaggiose per favorire la fruibilità dei beni culturali, museali e archeologici ai ragazzi».A proposito di fruibilità, la sua decisione di abolire le domeniche gratuite nei musei ha scatenato un mare di polemiche.«Mi ha fatto molto piacere notare gli sviluppi del dibattito emerso, anche di alto livello, sui giornali in questi giorni. Ci tengo a precisare che non ho mai detto che le giornate gratuite nei musei e nei siti archeologici sarebbero state eliminate. Ribadisco che non solo resteranno, ma saranno aumentate. Ho semplicemente affermato che il sistema attuale non funziona più. Perché ogni territorio, ogni sito, ha la sua peculiarità e deve essere lasciata più libertà ai direttori di scegliere i giorni di accesso gratuito. C'è anche un problema di sicurezza, fruibilità e di decoro dei beni culturali. Tutto ciò mi è stato riferito dagli stessi direttori dei musei». Quindi c'è soprattutto un motivo pratico?«Le domeniche gratuite, nei momenti di alta stagione, hanno creato delle criticità che sono sotto gli occhi di tutti. Quindi questo concetto dell'obbligatorietà uguale per tutti va superato. Anche perché tratta allo stesso modo siti che attraggono milioni di visitatori e musei che hanno poche migliaia di visitatori l'anno. Ci sono siti che nel corso di una domenica hanno registrato solo cinque o sei visitatori, nonostante l'entrata gratuita. Ecco, il sistema va cambiato anche per questo. Ne discuteremo prossimamente insieme ai direttori dei musei».Riguardo ai direttori dei musei, il suo predecessore ha aperto a molti stranieri…«Io non ragiono in base al passaporto, mi sembra fuori dal tempo. L'importante è che un direttore sia bravo, certo per mia stessa formazione vorrei maggiore attenzione agli italiani, è un atteggiamento provinciale scegliere un direttore solo perché straniero. Però se è bravo e sa fare il suo lavoro non vedo controindicazioni».Ci sono città d'arte assediate dai turisti come Roma, Firenze e soprattutto Venezia. Cosa pensa delle navi da crociera che passano davanti a San Marco? Sono da bloccare? «Non ne faccio un mistero, le grandi navi a Venezia non mi piacciono: il bene culturale non è replicabile, di piazza San Marco ce n'è una sola in tutto il mondo. Se un patrimonio rischia di rovinarsi è chiaro che bisogna rimuovere i motivi dei rischi. Ma non è una decisione che posso prendere da solo. Bisogna intervenire con altri soggetti, pubblici e privati, per studiare la soluzione migliore». E sull'assedio alle città d'arte?«C'è un solo modo per ridurre l'assedio: far conoscere a livello nazionale e internazionale anche siti meno noti e più piccoli. Distribuire il flusso dei turisti su un numero maggiore di siti potrebbe essere la soluzione. Io spero che, in futuro, il numero di turisti continui ad aumentare, ma dobbiamo distribuirli meglio e, nel caso, dirottarne una parte su località meno conosciute ma ugualmente importanti a livello storico, artistico e archeologico. Siamo il Paese che possiede più beni artistici e archeologici in assoluto al mondo. Dobbiamo fare in modo che siano visibili e conosciuti tutti».Quindi si deve educare il turismo. Dirigerne le mete…«Bisogna portarlo in quella parte d'Italia non congestionata dal turismo, eppure bellissima e ricca di cultura. Il turismo è stato la Cenerentola dell'agenda politica italiana per cui i Paesi vicini a noi nel tempo ci hanno superato in attrattività turistica». Come farlo? «Innanzitutto promuovendo in maniera più energica il nostro Paese all'estero. E serve anche una cabina di regia: non esiste che l'Italia, quando va a promuoversi all'estero, ci vada con venti voci diverse. Andiamo una volta sola e facciamo vedere quant'è bello il nostro Paese».Possediamo un grande patrimonio di opere, anche trafugate e che finiscono esposte in musei all'estero…«Stiamo già lavorando di concerto con il ministero della Giustizia per inasprire le norme sui furti di beni culturali e contro i danni eventuali. Si tratta di progetti tante volte annunciati e mai realizzati».C'è il caso dell'Atleta di Lisippo al Getty. Intende chiederne la restituzione?«L'Atleta di Lisippo? Auspico che la diplomazia culturale possa risolvere la questione con il Getty Museum. Spero davvero di riuscire nel corso del mio mandato a riportarlo in Italia».Cambiando argomento, il suo governo è spaccato sul destino delle soprintendenze: la Lega è per l'abolizione, i 5 stelle sono per rafforzarle. Come ne uscirà?«L'attività di governo si basa su un contratto, che è un metodo nuovo e rispetta il volere degli elettori. Ebbene nel contratto tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini non si parla di abolizione delle soprintendenze, quanto piuttosto del rafforzamento della tutela e della valorizzazione. Serve un'analisi del lavoro delle soprintendenze, che oggi mancano delle necessarie risorse per essere efficaci».Si spieghi meglio.«Voglio controllare come stanno le cose. Appurare se è vero che i soprintendenti sono costretti a tralasciare la tutela perché privi di mezzi. Perché non hanno l'auto per raggiungere i siti archeologici. Se è così meglio rinunciare a qualche viaggio all'estero del ministro Bonisoli e comprare le automobili».Parliamo di cinema...«C'è una cosa che mi chiedo: perché solo in Italia la stagione cinematografica è così corta e per quattro mesi non escono film? E poi c'è anche il discorso delle serie televisive più seguite dal pubblico che sono tutte straniere, c'è modo di contrastarne la concorrenza? Sono due argomenti su cui voglio riflettere».Tra cento anni per quale motivo vorrebbe essere ricordato nella storia della cultura italiana? «Per aver promosso un concetto di cultura poliedrica dove ogni persona possa scegliersi il tipo di cultura che vuole e la possa utilizzare per diventare un cittadino più consapevole e una persona migliore. Vorrei poter dare un contributo in modo che possa formarsi una cultura che dia identità alle comunità e che aiuti a formare una società più equa e inclusiva in cui vivere».
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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