La Consulta ci infligge il via libera alla sugar tax perché ce lo chiede l’Oms
Da Fioramonti all’Oms passando per la Consulta. La storia della sugar tax, l’imposta sulle bevande zuccherate ed edulcorate, ci insegna che la scienza è una pezzuola che si può tirare da un lato e dall’altro. A volte per fare cassa, altre volte per giustificare lo Stato etico. In questo caso, il percorso è stato tanto lungo quanto sofferto. Era ottobre del 2019, quando dopo il dibattito innescato dall’allora ministro dell’università Lorenzo Fioramonti sulla necessità di educare i cittadini, arriva l’imposta sul consumo di bevande con zuccheri aggiunti. Entità? Dice la bozza della manovra 2020: «Euro 10 per ettolitro, per i prodotti finiti; di euro 0,25 per chilogrammo, per i prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione».
Una specie di Iva aggiuntiva, in altre parole, inevitabilmente destinata a scaricarsi sui prezzi finali al consumo. Da quella data parte una tempesta di polemiche, rinvii, pezzi di maggioranza che si staccano e tentativi di tappare i buchi di bilancio con altri balzelli. Passano i mesi e alla fine con qualche modifica e nessuna miglioria, la manovra arriva all’Aula e poi diventa legge. L’anno successivo, a seguito di alcuni ricorsi, il Tar del Lazio stoppa l’imposta perché violerebbe il principio di uguaglianza tributaria (il riferimento è agli articoli 3 e 53 della Costituzione). In effetti la sugar tax va a colpire bevande con zuccheri o edulcoranti compresi quelli di origine naturale e salva invece succhi non fermentati privi di aggiunte. Il Tar a giustificare la propria scelta sottolineava proprio l’intento extra fiscale e quindi «educativo» dello schema arrivando alla conclusione di dover accendere semaforo rosso. Ieri, l’iter di valutazione ha visto il parere finale della Consulta che arriva drammaticamente a conclusioni opposte. «Premesso che la sugar tax», si legge nel dispositivo, «rientra nel novero dei tributi indiretti sulla produzione e sul consumo di certi prodotti ritenuti dannosi per la salute, il cui eccessivo utilizzo può, pertanto, generare un aggravio di spesa pubblica, connesso alla conseguente necessità di assicurare appropriate cure attraverso il servizio sanitario nazionale», secondo la Corte, «proprio per le specifiche giustificazioni scientifiche che stanno a fondamento di tale imposta il legislatore ha fatto uso ragionevole dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria».
A prendere per buone le decisioni di un ministro grillino di cui il 99% degli italiani non ricorda nemmeno più il nome è quindi da un lato la Corte e dall’altro un’entità più grande dello stesso Fioramonti: l’Oms. Come risulta, infatti, dalla relazione illustrativa della disciplina di legge istitutiva della sugar tax, «tale imposta è stata disegnata raccogliendo l’invito dell’Organizzazione mondiale della sanità», si legge sempre nel dispositivo, «contenuto nel suo rapporto del 2015 [«Fiscal policies for diet and prevention of noncommunicable diseases (Ncds)»] e in altri studi scientifici». Duole notare che, come ogni volta che si tratta di affrontare il tema Oms, il decisore tende a omettere tutta quella scienza che sembra dire il contrario.
Il caso della Gran Bretagna è indicativo. Uno studio del 2019, a oltre due anni dall’introduzione dell’imposta dimostrava che il consumo di zucchero complessivo era aumentato del 2,6%. Secondo Public Health England, la gente mangia più cibi dolci di quanto non facesse prima, con un incremento pesante di biscotti e poi di gelati e ghiaccioli. Che la tassa sullo zucchero, che entrerà in vigore a luglio anche in Italia, sia efficace, comunque non è così confermato nemmeno in altri Paesi. In Norvegia, ad esempio, dove esiste dal 1992, quando venne introdotta per raggranellare denaro per le case pubbliche più che per migliorare lo stile alimentare, la tassa funziona, ma i consumi di zuccheri continuano. Con uno stratagemma. La gente raggiunge la vicina Svezia, dove al di là del confine sono sorti centri commerciali specializzati in dolci. In Messico, l’imposta pesa addirittura il 10%. I consumi di bevande edulcorate sono scesi, ma come spiega pure la rivista Lancet è diminuito il consumo di prodotti benefici che le medesime multinazionali riuscivano a immettere sul mercato a prezzi più contenuti grazie agli incassi sulle lattine di bibite. Insomma, nulla dimostra a oggi che esista un circolo virtuoso e che tutto ciò comporti un risparmio sul welfare sanitario. Al contrario possiamo essere certi che a partire dal secondo semestre di quest’anno a diminuire sarà il fatturato delle aziende interessate e quindi il gettito dello Stato. Caleranno probabilmente dal prossimo anno anche gli occupati e i lavoratori coinvolti nel processo. Quindi, sommando tutti gli elementi, l’assunto secondo cui un documento dell’Oms equivale a verità scientifica non trova giustificazione. Anzi, apre a una lunghissima serie di pericoli. La Verità li ha elencati negli ultimi anni. Dal contrasto al tabacco, ai piani pandemici, le mosse dell’Oms sono mirate quasi esclusivamente a succhiare sovranità ai singoli Stati spesso (nel caso del Vecchio Continente) con la collaborazione della Commissione Ue. Il modello aggressivo prevede che l’Oms rediga testi di indirizzo e le autorità nazionali recepiscano i testi con valore di legge. Bruxelles ovviamente mira a soffocare il potere politico del Consiglio e dell’Europarlamento. Nulla a che vedere con la salute e la scienza. Con la sentenza di ieri, la Consulta si porta avanti, basta un paper del 2015 targato Oms per stracciare anni di diritto tributario e consentire allo Stato di vestirsi da infermiere e decidere al posto nostro. Si comincia con lo zucchero e chissà dove si finisce.






