2023-04-26
Sudan, rimpatriati tutti gli italiani. L’operazione lampo evita la tragedia
L'arrivo a Ciampino dei cittadini italiani dal Sudan (Ansa)
Il blitz coordinato dall’intelligence arriva appena in tempo. Oms: «Pericolo biologico».Terminata nella tarda serata di lunedì l’evacuazione degli italiani e di altri cittadini occidentali dal Sudan, dilaniato dagli scontri causati dal tentativo di colpo di Stato, in atto ormai da oltre una settimana. Sono atterrati all’aeroporto militare di Ciampino a bordo di un velivolo Kc-767 dell’Aeronautica Militare. Insieme a loro anche i militari della joint evacuation task force, il team militare della Difesa composto anche da Forze speciali, che ha gestito sul campo le operazioni. Nella notte il secondo velivolo: un C-130 con a bordo altri civili evacuati. Due velivoli distinti per un totale di 83 connazionali rimpatriati. A questi vanno aggiunti anche tre suore eritree, il Nunzio della Santa Sede, due cittadini libanesi, un bimbo con passaporto americano, quattro giovani greci e un religioso spagnolo. «Tutti i civili italiani sono stati tratti in salvo», ha dichiarato il ministro Guido Crosetto, sottolineando che l’evacuazione dal Sudan è stata un’«operazione molto complessa e rischiosa». «La Difesa», ha proseguito il ministro, «ha impiegato tutte le risorse disponibili per mettere in sicurezza gli italiani presenti in Sudan, lavorando sempre a stretto coordinamento con la presidenza del Consiglio e il ministero degli Esteri. All’operato, silenzioso e costante, dei nostri militari di Esercito, Marina militare, Aeronautica militare e Arma dei Carabinieri va il plauso e la gratitudine di tutta la nazione. Professionalità, serietà e uno straordinario senso del dovere e dello Stato che sono riconosciuti da tutti». L’operazione di evacuazione è stata pianificata e diretta dal Covi, Comando operativo di vertice interforze, con alla guida il generale Francesco Paolo Figliulo, che ha gestito anche lo stretto coordinamento con le strutture omologhe dei Paesi alleati e amici. Ma a garantire la tempestività e l’efficienza dell’operazione sono stati i nostri servizi di intelligence, l’Aise, diretta dal generale Giovanni Caravelli. Per capirlo basta seguire gli eventi sul terreno e l’ulteriore escalation degli scontri, che si è registrata ieri. Non solo a Khartoum, ma anche nelle altre regioni. Già nella serata di lunedì il quadrante meridionale della Capitale ha visto il riaccendersi degli scontri tra le ex milizie Janjaweed, ora inquadrate nella Rapis support force e comandate da Mohamed Dagalo Hemedti, e l’esercito regolare che fa capo all’ex golpista Abdel Fattah al Burhan. A Khartoum da ieri manca l’acqua e l’elettricità. Le banche sono chiuse e non funzionano nemmeno i servizi digitali delle carte di credito. Nel Darfur la situazione è ancor più delicata per via dei saccheggi. Se non bastasse, l’Oms ha reso noto che alcuni combattenti hanno occupato un laboratorio pubblico che contiene campioni di virus e malattie, tra cui la polio e il morbillo, creando una situazione estremamente pericolosa. «C’è un enorme rischio biologico associato all’occupazione del laboratorio centrale di sanità pubblica», ha dichiarato Nima Saeed Abid, rappresentante locale dell’Oms. Terminato il cessate il fuoco è stato anche possibile ricevere i primi numeri dei profughi scappati in Ciad e in Sud Sudan. Si tratta, secondo l’Unhcr, già di 270.000 persone. Destinate a raddoppiare in poco tempo. Il deteriorarsi della situazione rende difficile qualunque tipo di mediazione. Soprattutto vista la costante assistenza che i militari dell’Rsf ricevono dai russi del gruppo Wagner.
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