2018-11-25
Stupratore assolto perché è un immigrato
In Francia un uomo del Bangladesh, già condannato per aver abusato di una minorenne, viene lasciato libero dopo aver violentato un'altra ragazzina. Per i giudici non ha i «codici culturali» per capire il reato. La polizia: «Per lui le francesi sono tutte prostitute».No, non si tratta di un romanzo distopico o di un film horror: ma di realtà vera, di pura cronaca, nella Francia (e nell'Europa) del 2018. Un incubo riuscito. Lo ha raccontato ieri Le Figaro, il quotidiano francese, facendo riferimento a un verdetto emesso tre giorni prima, il 21 di novembre, dalla Corte d'assise della Manche (la Manica, un dipartimento della Normandia). Un immigrato proveniente dal Bangladesh, già con precedenti di aggressione sessuale ai danni di una minorenne, e che era una seconda volta sotto processo con l'accusa di aver stuprato un'altra ragazza di 15 anni, è stato assolto: ed è stata accolta la tesi difensiva secondo cui l'imputato «non aveva i codici culturali» per essere pienamente consapevole della situazione. Morale: il gentiluomo è ora a piede libero. Le Figaro riferisce non solo l'impostazione dell'avvocato difensore (un problema di «interpretazione» dei codici), ma pure la testimonianza del capitano di polizia davanti alla corte: «L'accusato considera le donne francesi come puttane, ha un comportamento da predatore». Tesi accreditata pure dai periti, che - riferisce il quotidiano francese - descrivono il rifugiato come una personalità «narcisista ed egocentrica, impregnata della cultura maschilista del suo Paese d'origine, dove le donne sono relegate al ruolo di oggetti sessuali». Sta di fatto che, in un paradossale rovesciamento logico, l'origine dell'imputato si è trasformata in un fattore cruciale per la decisione della Corte, con una surreale prevalenza di elementi sociologici, antropologici, «culturali», sulla fredda dinamica dei fatti, sul comportamento in sé, sulla violenza.Naturalmente, dopo il verdetto (reso ancora più incredibile dalle «motivazioni»), è partito il tentativo di circoscrivere la portata allucinante della vicenda. Sempre Le Figaro, dando in questo caso la parola all'avvocato della vittima, scrive che, dopo la sentenza, il presidente della Corte si sarebbe giustificato dicendo che i fatti non sarebbero stati sufficientemente chiari, che l'autore non era consapevole della mancanza di consenso della vittima, e che dunque non sarebbero stati sicuri gli elementi giuridici («costrizione, minaccia o sorpresa») che, secondo il codice penale francese, sono necessari per configurare una violenza. Ma l'arrampicata sugli specchi ha solo peggiorato la situazione, aprendo un pandemonio, reso ancora più paradossale dal fatto che in questi giorni, un po' in tutta Europa, ci sono eventi e campagne contro la violenza sulle donne (proprio ieri era in programma in Francia una marcia contro le violenze sessuali).Inevitabile e motivatissima l'indignazione di Valérie Boyer, deputata di centrodestra (Les Republicains), che ha scritto una lettera aperta al primo ministro francese: «Lasciamo che esista una cultura che permette agli uomini di violentare le donne? Un immigrato violenta due minorenni, resta libero, e un tribunale considera i “codici culturali" del criminale come circostanza attenuante?». Dal partito di Marine Le Pen, è intervenuto l'eurodeputato Nicolas Bay, sparando - giustamente - a zero anche sul «silenzio assordante delle femministe». E sempre Le Figaro riporta il commento amaro di Muriel Salmona (una psicoterapeuta dell'associazione Mémoire traumatique, che assiste proprio numerose vittime di violenza): «Le donne sono derubricate alla condizione di oggetto sessuale, ma non è grave, è solo cultura». Questi i fatti, che ciascuno può giudicare. Non è nemmeno difficile immaginare cosa sarebbe successo, non solo in termini giudiziari, ma pure di «trattamento» mediatico, se, davanti alle stesse circostanze, l'imputato fosse stato - ad esempio - un giovane bianco, magari con simpatie politiche di destra. Inutile girarci intorno: anche in quel caso sarebbero stati presi in considerazione «elementi culturali», ma come aggravante (altro che attenuante!), come prova definitiva del carattere mostruoso del crimine e dell'aggressore. Resta spazio per andare all'attacco di altrettanti tabù, e per due osservazioni conclusive. La prima. Esiste una sorta di «autorazzismo», di senso di colpa occidentale, che porta significativi segmenti delle nostre società, quando sono in causa immigrati o minoranze etniche, ad applicare un diverso «standard» di giudizio. È un razzismo al contrario, evidentemente rivolto verso noi stessi: un atteggiamento che trionfa in settori della sinistra e delle élite intellettuali, ma si fa strada anche in parti della magistratura. La seconda. Non si vuole prendere di petto un problema reale, testardamente rimosso proprio mentre è sotto gli occhi di tutti: e cioè, con le ondate migratorie illegali e l'arrivo di centinaia di migliaia di giovani maschi, il tema della loro sessualità, di come finisca per «esprimersi», del rischio concreto di un moltiplicarsi di stupri e violenze, con il corollario della possibile diffusione di malattie.Ma siamo dolorosamente certi che - non solo in Francia -chi dovesse sollevare questo genere di domande sarebbe immediatamente tacciato di razzismo. O peggio.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.