2025-05-10
Maxi studio boccia i cambi di sesso nei bimbi
Un rigoroso report scientifico dell’amministrazione Usa smentisce l’approccio affermativo che porta a somministrare ormoni e perfino a operare minori con disforia di genere. Sulla stessa linea altre ricerche, ma gli attivisti non mollano per ragioni politiche.Persino l’Economist, rivista che certo non si entusiasma alla vista del nuovo presidente americano, ha dovuto ammettere che questa volta le cose sono state fatte decisamente bene, con tanti dati e poca ideologia. Pochi giorni fa il settimanale inglese ha pubblicato un articolo intitolato «Dove l’amministrazione Trump ha la scienza dalla sua parte», e ha dato notizia di un robusto rapporto realizzato dal dipartimento della Salute e dei servizi umani degli Stati Uniti intitolato «Trattamento della disforia di genere pediatrica: revisione delle prove e delle best practices» e pubblicato il primo maggio. Non è un documento politico a sostegno del bando trumpiano alla medicalizzazione dei minori, bensì un rapporto molto serio e lucido che analizza tutte le prove a disposizione. L’Economist ha riconosciuto che si tratta di un lavoro rigoroso, e difficile da contestare. Il che, in fondo, non stupisce chi abbia un minimo di conoscenza della materia dato che tutti gli studi seri realizzati negli ultimi anni (a partire dalla britannica Cass Review che ha richiesto quattro anni di lavoro) dicono più o meno le stesse cose. E cioè che l’approccio utilizzato finora per occuparsi dei minori con disforia di genere è antiscientifico e pericoloso. «Nell’ultimo decennio, il numero di bambini e adolescenti che mettono in discussione il proprio sesso e si identificano come transgender o non binari è cresciuto significativamente», si legge all’inizio del rapporto statunitense. «A molti è stata diagnosticata una condizione nota come disforia di genere e offerto un approccio terapeutico noto come “assistenza di affermazione di genere”. Questo approccio enfatizza l’affermazione sociale dell’identità auto-riportata dal bambino: farmaci soppressori della pubertà per prevenirne l’inizio; ormoni eterosessuali per stimolare i caratteri sessuali secondari del sesso opposto; e interventi chirurgici, tra cui mastectomia e (in rari casi) vaginoplastica. Migliaia di bambini e adolescenti americani hanno ricevuto questi interventi. Sebbene la non conformità al ruolo sessuale di per sé non sia patologica e non richieda trattamento, l’uso di interventi farmacologici e chirurgici come trattamento per la disforia di genere pediatrica è stato definito “medicamente necessario” e persino “salvavita”. Motivati dal desiderio di garantire la salute e il benessere dei propri figli, i genitori di bambini e adolescenti transgender spesso faticano a trovare il modo migliore per supportarli. Molti di questi bambini e adolescenti presentano patologie psichiatriche o neuroevolutive concomitanti, che li rendono particolarmente vulnerabili. Quando cercano un aiuto professionale, loro e le loro famiglie dovrebbero ricevere un’assistenza compassionevole, basata sull’evidenza scientifica e personalizzata in base alle loro specifiche esigenze». Difficile sostenere il contrario. «La società ha una responsabilità speciale nel salvaguardare il benessere dei bambini», prosegue il report. «Dato che le sfide affrontate da questi pazienti si intersecano con questioni profondamente controverse di rilevanza morale e sociale - tra cui l’identità sociale, il sesso e la riproduzione, l’integrità corporea e le norme di espressione e comportamento basate sul sesso - le pratiche mediche recentemente emerse per rispondere alle loro esigenze sono diventate oggetto di notevoli controversie».Il punto è esattamente questo: la medicina si è fusa con l’ideologia, e poi l’ideologia ha prevalso. E i risultati non sono buoni. Il report elenca sinteticamente alcune evidenze che emergono con chiarezza dalla letteratura scientifica disponibile riguardante l’approccio attualmente prevalente (di fatto anche in Italia) e cioè il cosiddetto «approccio affermativo», che sostanzialmente consiste nell’assecondare l’auto affermazione dei minori. Il percorso di medicalizzazione, soprattutto al di fuori dei nostri confini, è stato di frequente consigliato con leggerezza anche se, come si legge nel documento americano, «i rischi della transizione medica pediatrica includono infertilità/sterilità, disfunzione sessuale, alterata densità ossea, impatti cognitivi negativi, malattie cardiovascolari e disturbi metabolici, disturbi psichiatrici, complicanze chirurgiche e rimpianto». La prima, fondamentale conclusione a cui giunge lo studio americano riguarda le linee guida per il trattamento dei minori. «Negli Stati Uniti, le linee guida cliniche più influenti per il trattamento della disforia di genere pediatrica sono pubblicate da Wpath e dall’Endocrine society», leggiamo. «Una recente revisione sistematica della qualità delle linee guida internazionali non ha raccomandato nessuna delle due per l’uso clinico, dopo aver stabilito che “mancano di rigore e trasparenza nello sviluppo”». Di nuovo, non sorprende che le linee guida Wpath non siano scientificamente attendibili: sono state realizzate da un gruppo di attivisti e non da una associazione medica. Attorno alla quale, non molto tempo fa, è esploso un notevole scandalo: sono emerse chat interne da cui si evinceva che l’associazione faceva pressioni sui medici e ignorava sistematicamente le critiche. Come si legge nel report del governo americano, Wpath «ha soppresso revisioni sistematiche che i suoi dirigenti ritenevano avrebbero minato il suo approccio terapeutico preferito». Gli sviluppatori delle linee guida «hanno inoltre violato i requisiti di gestione dei conflitti di interesse ed eliminato quasi tutte le età minime raccomandate per gli interventi medici e chirurgici in risposta a pressioni politiche. Sebbene le linee guida abbiano allentato i criteri di ammissibilità per l’accesso ai bloccanti della pubertà, agli ormoni eterosessuali e agli interventi chirurgici, vi sono prove convincenti che le cliniche di genere statunitensi non rispettano nemmeno quei criteri più permissivi». Non c’è da stare tranquilli dato che gli standard Wpath sono citati e utilizzati anche in Italia, e compaiono riferimenti a essi anche sui siti del ministero della Salute. Non è finita. Secondo il report appena pubblicato, «Il modello di assistenza gender-affirming, così come praticato nelle cliniche statunitensi, è caratterizzato da un processo guidato dal bambino in cui le valutazioni complete della salute mentale vengono spesso minimizzate o omesse, e gli “obiettivi di incarnazione” del paziente fungono da guida principale per le decisioni terapeutiche. In alcune delle principali cliniche pediatriche di genere del Paese, le valutazioni vengono condotte in un’unica sessione della durata di due ore. Le voci [...] di chi cerca di evitare la transizione hanno svolto un ruolo fondamentale nell’attirare l’attenzione del pubblico sui rischi e i danni associati alla transizione medica pediatrica. Le loro preoccupazioni sono state sminuite, respinte o ignorate da importanti sostenitori e professionisti della medicina pediatrica». In buona sostanza qui parliamo di terapie con rischi elevatissimi a cui sono stati e in alcune nazioni (tra cui la nostra) sono ancora sottoposti i minorenni sulla base di scarsissime evidenze nel migliore dei casi. In realtà, esistono piuttosto evidenze del fatto che certi trattamenti andrebbero semplicemente evitati. E andrebbe invece potenziato l’approccio psicologico, fatto anche di osservazione e attesa. A tale riguardo il report è drastico: «Vi è una carenza di ricerca sugli approcci psicoterapeutici per la gestione della disforia di genere nei bambini e negli adolescenti. Ciò è dovuto in parte alla caratterizzazione errata di tali approcci come “terapia di conversione”. Una base di evidenze più solida supporta gli approcci psicoterapeutici per la gestione delle comuni comorbilità di salute mentale. La psicoterapia è un’alternativa non invasiva agli interventi endocrini e chirurgici per il trattamento della disforia di genere pediatrica. Revisioni sistematiche delle evidenze non hanno trovato prove di effetti avversi della psicoterapia in questo contesto». Assuntina Morresi, docente all’università di Perugia, membro del Comitato nazionale per la bioetica e partecipante al tavolo organizzato dal governo sulla disforia di genere, spiega alla Verità che il report statunitense «si basa su dati rigorosi e si pone in linea con la Cass Review britannica, e conferma le conclusioni delle revisioni sistematiche indipendenti della Svezia e della Finlandia. E pone un grosso dubbio sull’efficacia del protocollo olandese per la disforia di genere dei minori, cioè bloccanti della pubertà più ormoni cross-sex più eventualmente chirurgia». A parere della studiosa, le evidenze che emergono «lasciano propendere per un rapporto rischi-benefici in cui i rischi pesano di più rispetto ai benefici». C’è da augurarsi, dunque, che delle conclusioni a cui sono giunte le revisioni del Nord Europa, poi la Cass Review e infine questo report americano tengano conto non soltanto il tavolo ministeriale ma pure le società scientifiche italiane. Se lo augura Fulvia Signani, docente all’università di Ferrara e autrice di uno dei più interessanti volumi sulla disforia di genere. «Il documento americano e la Cass Review sono due lavori scientifici che richiedono una accettazione formale da parte delle società scientifiche, che però attualmente non si vede. Sarebbe invece molto auspicabile che ciò accadesse. Ogni considerazione diagnostica e clinica riguardo sulla incongruenza/disforia di genere di ognuna delle professioni sanitarie dovrebbe tener conto di questi aggiornamenti molto approfonditi e documentati. Ciò potrebbe portare alla modifica di percorsi esclusivamente legati all’approccio affermativo». Questo approccio è ancora in larga parte utilizzato pure qui da noi, per ragioni più politiche che scientifiche. Prima ne prenderemo atto mettendo un freno a pratiche pericolose e dannose, meglio sarà per tutti. E per i minorenni soprattutto.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)