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2019-03-30
Stretta della Chiesa sulle molestie. Obbligo di denunciare tutti gli abusi
Ansa
A sette mesi dalla pubblicazione del memoriale Viganò arriva una prima risposta concreta al dramma degli abusi. I tre documenti firmati dal Papa e pubblicati ieri arrivano a un mese dal termine del summit sulla protezione di minori avvenuto in Vaticano con tutti i capi dei vescovi del mondo dal 21 al 24 febbraio. Erano stati annunciati passi concreti, ed ecco quindi norme e linee guida che traducono nei fatti l'azione della Chiesa per contrastare la piaga degli abusi del clero.
I testi, di cui uno in forma di Motu proprio, riguardano soltanto lo Stato del Vaticano. La legge CCXCVII ha la natura di legge penale (non canonica) e introduce alcune importanti novità, innanzitutto all'articolo 3 si parla di «obbligo di denuncia» per «il pubblico ufficiale, che nell'esercizio delle sue funzioni abbia notizia o fondati motivi per ritenere che un minore sia vittima», fatto salvo «il sigillo sacramentale», vale a dire il segreto confessionale. Chi non lo fa sarà sanzionato e la norma riguarda la stragrande maggioranza delle persone che lavorano nella curia romana e per la Santa sede, comprese le nunziature in giro per il mondo: tutti, infatti, svolgono un ruolo di «pubblico ufficiale» e ora sono obbligati, come recita il Motu proprio, «a presentare, senza ritardo, denuncia al promotore di giustizia presso il tribunale dello Stato della Città del Vaticano». Il principio è quello di far maturare «in tutti», si legge ancora nel Motu proprio, «la consapevolezza del dovere di segnalare gli abusi alle Autorità competenti e di cooperare con esse nelle attività di prevenzione e contrasto».
Alla categoria del «minore» si equipara quella di «adulto vulnerabile» (articolo 1), che viene definito come «ogni persona in stato d'infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all'offesa». Per tutti i reati in questione (dalla violenza sessuale agli atti sessuali su minori, fino alla detenzione di materiale pedopornografico) si prevede la procedibilità d'ufficio, cioè anche in assenza di denuncia di parte. Viene quindi introdotta una prescrizione di vent'anni che, nel caso di vittima minorenne, inizia a decorrere dal compimento della maggiore età, un termine ben più lungo rispetto a quello finora vigente che era di quattro anni dal compimento del reato. Nello stesso tempo si istituisce, nell'ambito della Direzione vaticana di Sanità e Igiene, un Servizio di accompagnamento per le vittime di abusi.
Queste sono novità che, ha dichiarato il giudice del Tribunale vaticano Carlo Bronzano a Vatican news, «si sostanziano in istituti finora inediti, che introducono strumenti sempre più moderni ed efficaci». Anche nel reclutamento del personale si sottolinea il principio per cui «deve essere accertata l'idoneità del candidato ad interagire con i minori».
Quest'ultimo passaggio è articolato anche nelle Linee guida, sempre firmate dal Papa, e valide per il Vicariato della Città del Vaticano. Gli operatori pastorali, tra l'altro, devono evitare di «instaurare un rapporto preferenziale con un singolo minore; assumere comportamenti inappropriati o sessualmente allusivi; pubblicare o diffondere anche via web o social network immagini che ritraggano in modo riconoscibile un minore senza il consenso dei genitori o tutori». Chiunque sia dichiarato colpevole «sarà rimosso dai suoi incarichi» e se sacerdote incorrerà in tutto quanto già previsto dalle norme canoniche.
Nel Motu proprio si precisa che deve essere garantito «agli imputati il diritto a un processo equo e imparziale, nel rispetto della presunzione di innocenza, nonché dei principi di legalità e di proporzionalità fra il reato e la pena». E, in questo senso, deve essere fatto «tutto il possibile per riabilitare la buona fama di chi sia stato accusato ingiustamente». L'obiettivo generale di tutte queste norme pubblicate ieri, spiega Bronzano a Vatican news, è quello «di garantire una tutela effettiva dei diritti dei minori e, più in generale, delle persone vulnerabili, prevenendo ogni forma di aggressione nei loro confronti e reprimendo, con assoluto rigore e massima priorità, ogni condotta illecita in loro danno». Nessun cenno esplicito, nel documento, viene fatto al tema dell'omosessualità nel clero, pur sollevato da Viganò.
Secondo monsignor Charles Scicluna, un protagonista del summit del febbraio scorso in Vaticano, le linee guida pastorali valide per il Vaticano potrebbero servire come esempio e modello per le conferenze episcopali nel mondo. A questi documenti, che entreranno in vigore dal giugno prossimo, seguirà, come annunciato al summit dei vescovi, un vademecum anti abusi pubblicato dalla congregazione per la Dottrina della fede valido per la chiesa universale.
«L’acceleratore di luce leggerà i misteri dell’universo»
Nel 1989 cade il muro di Berlino, e con esso, la cortina di ferro. Nello stesso anno nasce il Web, che abbatterà molti «muri» costituiti dalla distanza fisica, spaziale. Il luogo in cui questo accade è il Cern di Ginevra. È grazie a questa invenzione che posso intervistare un «mostro» della scienza contemporanea, il professor Lucio Rossi, via Skype. Rossi è un fisico italiano già responsabile dei magneti superconduttori del mitico acceleratore di particelle, detto Large hadron collider (Lhc) del Cern: è uno dei protagonisti della scoperta del Bosone di Higgs, noto al pubblico con un'espressione più mediatica che scientifica: la particella di Dio. Ora dirige il progetto Lhc ad alta luminosità, volto a aumentare considerevolmente le prestazioni di Lhc.
Ci può descrivere in poche parole cosa è il Cern?
«Cern sta per European organization for nuclear research, organizzazione internazionale e intergovernativa per la ricerca in fisica nucleare e in fisica delle particelle. L'idea di base è mettere in comune le risorse per poter fare delle infrastrutture significative, con i grandi strumenti scientifici che il singolo Stato non può permettersi. Il Cern ha 22 Stati membri, di cui 21 europei, più Israele. Ci sono poi otto Stati associati, come India, Pakistan, Turchia e Ucraina, e tre Stati osservatori: Usa, Federazione Russa e Giappone. Inoltre cooperano una cinquantina di Stati, come l'Albania, l'Egitto, il Brasile e molti altri».
Il direttore generale è un'italiana, Fabiola Gianotti. Qual è il nostro ruolo?
«Uno dei padri fondatori è il fisico Edoardo Amaldi, primo segretario generale del Cern tra il 1952 e il 1954. Gli italiani amano collaborare, hanno una buona preparazione universitaria, che permette loro di avere spesso molto successo. D'altra parte le condizioni per la ricerca in Italia sono difficili e i nostri laboratori sono di taglia media. Veniamo dunque molto volentieri al Cern, portando nel nostro Dna l'amore per la scienza, retaggio della nostra cultura cristiana, quella da cui sono sorte le scuole e le università, che si fonda sulla convinzione che conoscere sia un'esperienza fondamentale dell'essere umano».
Qual è il compito del «suo» acceleratore?
«Prendiamo delle particelle molto piccole, le acceleriamo arrivando vicino, molto vicino alla velocità della luce, e le facciamo incrociare, collidere, l'una contro l'altra. Ricreiamo così delle concentrazioni di energia che esistevano nell'universo primordiale: andiamo verso il Big bang, gettiamo luce sull'origine dell'universo, che nel frattempo si è molto raffreddato. Questo ci permette di conoscere bene di quali mattoni e forze è fatto l'edificio dell'universo. Certo, da un lato conosciamo molto bene le cose che possiamo vedere, ma abbiamo capito che c'è qualcosa di molto importante che ci sfugge, per esempio la materia oscura, così detta perché non la vediamo. Ma non basta accelerare e far scontrare le particelle, ci vogliono anche occhi che vedono (i rilevatori di particelle), una notevole potenza di calcolo e tantissima teoria fisica per interpretare gli eventi».
Quali devono essere le virtù dello scienziato?
«Ci vogliono doti di natura, occorre masticare la matematica, avere un qualche intuito in fisica. Poi ci vuole la curiosità dei bambini, perché ci permette di porci delle domande. Il dubbio sistematico non porta a nulla. Al contrario, lo scienziato persegue in modo religiosamente fanatico delle intuizioni, delle idee. Domanda è per me sinonimo di apertura al mondo: attirati, catturati dalle bellezze del cosmo, ci domandiamo come e perché».
Vengono in mente i pionieri della scienza sperimentale, uomini inclini alla ricerca filosofica e teologica, spesso molto religiosi...
«Certamente, perché la religione dà, o cerca di dare delle risposte a delle domande . Chi è religioso ricerca il senso e vuole comprenderlo in modo sempre più approfondito. Le verità della fede, infatti, non sono statiche: vanno penetrate sempre più, perché avendo a che fare con l'essenza dell'umano sono inesauribili. Anche nella scienza accade qualcosa di analogo: la teoria sulla gravitazione di Isaac Newton è stata superata da quella di Albert Einstein e un domani avremo una teoria che sopravanzerà quella del fisico tedesco. Qui al Cern abbiamo trovato il bosone di Higgs, che poteva sembrare un punto di arrivo. E invece no, abbiamo delle discrepanze che ci spingono ad andare oltre».
Oggi gli scienziati non sono più religiosi come un tempo…
«Anche oggi molti scienziati hanno un senso religioso, del mistero. Che per me si identifica con Dio. Una volta c'erano persone religiose solo per moda culturale; oggi l'onda culturale va in un'altra direzione e ci si adegua. Difficile però trovare scienziati che si dichiarano fermamente atei; molti oggi preferiscono non esporsi, altri si definiscono agnostici o indifferenti. Siamo in un tempo di pensiero debole».
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Riduci
A sette mesi dal memoriale Viganò, il Papa firma tre documenti: previste sanzioni per chi tace sulle violenze, i colpevoli saranno rimossi dagli incarichi. Divieto di comportamenti allusivi con i minori e no a foto sul Web.«L'acceleratore di luce leggerà i misteri dell'universo». Lo scienziato del Cern Lucio Rossi è stato nella squadra del Bosone di Higgs: «Non c'è mai un punto di arrivo, cerchiamo l'assoluto e Dio» .Lo speciale comprende due articoli.A sette mesi dalla pubblicazione del memoriale Viganò arriva una prima risposta concreta al dramma degli abusi. I tre documenti firmati dal Papa e pubblicati ieri arrivano a un mese dal termine del summit sulla protezione di minori avvenuto in Vaticano con tutti i capi dei vescovi del mondo dal 21 al 24 febbraio. Erano stati annunciati passi concreti, ed ecco quindi norme e linee guida che traducono nei fatti l'azione della Chiesa per contrastare la piaga degli abusi del clero.I testi, di cui uno in forma di Motu proprio, riguardano soltanto lo Stato del Vaticano. La legge CCXCVII ha la natura di legge penale (non canonica) e introduce alcune importanti novità, innanzitutto all'articolo 3 si parla di «obbligo di denuncia» per «il pubblico ufficiale, che nell'esercizio delle sue funzioni abbia notizia o fondati motivi per ritenere che un minore sia vittima», fatto salvo «il sigillo sacramentale», vale a dire il segreto confessionale. Chi non lo fa sarà sanzionato e la norma riguarda la stragrande maggioranza delle persone che lavorano nella curia romana e per la Santa sede, comprese le nunziature in giro per il mondo: tutti, infatti, svolgono un ruolo di «pubblico ufficiale» e ora sono obbligati, come recita il Motu proprio, «a presentare, senza ritardo, denuncia al promotore di giustizia presso il tribunale dello Stato della Città del Vaticano». Il principio è quello di far maturare «in tutti», si legge ancora nel Motu proprio, «la consapevolezza del dovere di segnalare gli abusi alle Autorità competenti e di cooperare con esse nelle attività di prevenzione e contrasto».Alla categoria del «minore» si equipara quella di «adulto vulnerabile» (articolo 1), che viene definito come «ogni persona in stato d'infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all'offesa». Per tutti i reati in questione (dalla violenza sessuale agli atti sessuali su minori, fino alla detenzione di materiale pedopornografico) si prevede la procedibilità d'ufficio, cioè anche in assenza di denuncia di parte. Viene quindi introdotta una prescrizione di vent'anni che, nel caso di vittima minorenne, inizia a decorrere dal compimento della maggiore età, un termine ben più lungo rispetto a quello finora vigente che era di quattro anni dal compimento del reato. Nello stesso tempo si istituisce, nell'ambito della Direzione vaticana di Sanità e Igiene, un Servizio di accompagnamento per le vittime di abusi.Queste sono novità che, ha dichiarato il giudice del Tribunale vaticano Carlo Bronzano a Vatican news, «si sostanziano in istituti finora inediti, che introducono strumenti sempre più moderni ed efficaci». Anche nel reclutamento del personale si sottolinea il principio per cui «deve essere accertata l'idoneità del candidato ad interagire con i minori».Quest'ultimo passaggio è articolato anche nelle Linee guida, sempre firmate dal Papa, e valide per il Vicariato della Città del Vaticano. Gli operatori pastorali, tra l'altro, devono evitare di «instaurare un rapporto preferenziale con un singolo minore; assumere comportamenti inappropriati o sessualmente allusivi; pubblicare o diffondere anche via web o social network immagini che ritraggano in modo riconoscibile un minore senza il consenso dei genitori o tutori». Chiunque sia dichiarato colpevole «sarà rimosso dai suoi incarichi» e se sacerdote incorrerà in tutto quanto già previsto dalle norme canoniche.Nel Motu proprio si precisa che deve essere garantito «agli imputati il diritto a un processo equo e imparziale, nel rispetto della presunzione di innocenza, nonché dei principi di legalità e di proporzionalità fra il reato e la pena». E, in questo senso, deve essere fatto «tutto il possibile per riabilitare la buona fama di chi sia stato accusato ingiustamente». L'obiettivo generale di tutte queste norme pubblicate ieri, spiega Bronzano a Vatican news, è quello «di garantire una tutela effettiva dei diritti dei minori e, più in generale, delle persone vulnerabili, prevenendo ogni forma di aggressione nei loro confronti e reprimendo, con assoluto rigore e massima priorità, ogni condotta illecita in loro danno». Nessun cenno esplicito, nel documento, viene fatto al tema dell'omosessualità nel clero, pur sollevato da Viganò.Secondo monsignor Charles Scicluna, un protagonista del summit del febbraio scorso in Vaticano, le linee guida pastorali valide per il Vaticano potrebbero servire come esempio e modello per le conferenze episcopali nel mondo. A questi documenti, che entreranno in vigore dal giugno prossimo, seguirà, come annunciato al summit dei vescovi, un vademecum anti abusi pubblicato dalla congregazione per la Dottrina della fede valido per la chiesa universale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/stretta-della-chiesa-sulle-molestie-obbligo-di-denunciare-tutti-gli-abusi-2633172359.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lacceleratore-di-luce-leggera-i-misteri-delluniverso" data-post-id="2633172359" data-published-at="1765425873" data-use-pagination="False"> «L’acceleratore di luce leggerà i misteri dell’universo» Nel 1989 cade il muro di Berlino, e con esso, la cortina di ferro. Nello stesso anno nasce il Web, che abbatterà molti «muri» costituiti dalla distanza fisica, spaziale. Il luogo in cui questo accade è il Cern di Ginevra. È grazie a questa invenzione che posso intervistare un «mostro» della scienza contemporanea, il professor Lucio Rossi, via Skype. Rossi è un fisico italiano già responsabile dei magneti superconduttori del mitico acceleratore di particelle, detto Large hadron collider (Lhc) del Cern: è uno dei protagonisti della scoperta del Bosone di Higgs, noto al pubblico con un'espressione più mediatica che scientifica: la particella di Dio. Ora dirige il progetto Lhc ad alta luminosità, volto a aumentare considerevolmente le prestazioni di Lhc. Ci può descrivere in poche parole cosa è il Cern? «Cern sta per European organization for nuclear research, organizzazione internazionale e intergovernativa per la ricerca in fisica nucleare e in fisica delle particelle. L'idea di base è mettere in comune le risorse per poter fare delle infrastrutture significative, con i grandi strumenti scientifici che il singolo Stato non può permettersi. Il Cern ha 22 Stati membri, di cui 21 europei, più Israele. Ci sono poi otto Stati associati, come India, Pakistan, Turchia e Ucraina, e tre Stati osservatori: Usa, Federazione Russa e Giappone. Inoltre cooperano una cinquantina di Stati, come l'Albania, l'Egitto, il Brasile e molti altri». Il direttore generale è un'italiana, Fabiola Gianotti. Qual è il nostro ruolo? «Uno dei padri fondatori è il fisico Edoardo Amaldi, primo segretario generale del Cern tra il 1952 e il 1954. Gli italiani amano collaborare, hanno una buona preparazione universitaria, che permette loro di avere spesso molto successo. D'altra parte le condizioni per la ricerca in Italia sono difficili e i nostri laboratori sono di taglia media. Veniamo dunque molto volentieri al Cern, portando nel nostro Dna l'amore per la scienza, retaggio della nostra cultura cristiana, quella da cui sono sorte le scuole e le università, che si fonda sulla convinzione che conoscere sia un'esperienza fondamentale dell'essere umano». Qual è il compito del «suo» acceleratore? «Prendiamo delle particelle molto piccole, le acceleriamo arrivando vicino, molto vicino alla velocità della luce, e le facciamo incrociare, collidere, l'una contro l'altra. Ricreiamo così delle concentrazioni di energia che esistevano nell'universo primordiale: andiamo verso il Big bang, gettiamo luce sull'origine dell'universo, che nel frattempo si è molto raffreddato. Questo ci permette di conoscere bene di quali mattoni e forze è fatto l'edificio dell'universo. Certo, da un lato conosciamo molto bene le cose che possiamo vedere, ma abbiamo capito che c'è qualcosa di molto importante che ci sfugge, per esempio la materia oscura, così detta perché non la vediamo. Ma non basta accelerare e far scontrare le particelle, ci vogliono anche occhi che vedono (i rilevatori di particelle), una notevole potenza di calcolo e tantissima teoria fisica per interpretare gli eventi». Quali devono essere le virtù dello scienziato? «Ci vogliono doti di natura, occorre masticare la matematica, avere un qualche intuito in fisica. Poi ci vuole la curiosità dei bambini, perché ci permette di porci delle domande. Il dubbio sistematico non porta a nulla. Al contrario, lo scienziato persegue in modo religiosamente fanatico delle intuizioni, delle idee. Domanda è per me sinonimo di apertura al mondo: attirati, catturati dalle bellezze del cosmo, ci domandiamo come e perché». Vengono in mente i pionieri della scienza sperimentale, uomini inclini alla ricerca filosofica e teologica, spesso molto religiosi... «Certamente, perché la religione dà, o cerca di dare delle risposte a delle domande . Chi è religioso ricerca il senso e vuole comprenderlo in modo sempre più approfondito. Le verità della fede, infatti, non sono statiche: vanno penetrate sempre più, perché avendo a che fare con l'essenza dell'umano sono inesauribili. Anche nella scienza accade qualcosa di analogo: la teoria sulla gravitazione di Isaac Newton è stata superata da quella di Albert Einstein e un domani avremo una teoria che sopravanzerà quella del fisico tedesco. Qui al Cern abbiamo trovato il bosone di Higgs, che poteva sembrare un punto di arrivo. E invece no, abbiamo delle discrepanze che ci spingono ad andare oltre». Oggi gli scienziati non sono più religiosi come un tempo… «Anche oggi molti scienziati hanno un senso religioso, del mistero. Che per me si identifica con Dio. Una volta c'erano persone religiose solo per moda culturale; oggi l'onda culturale va in un'altra direzione e ci si adegua. Difficile però trovare scienziati che si dichiarano fermamente atei; molti oggi preferiscono non esporsi, altri si definiscono agnostici o indifferenti. Siamo in un tempo di pensiero debole».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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