
All'Europarlamento passa il principio per cui un governo liberamente scelto dai cittadini può essere processato. La decisione antiungherese spacca il Ppe e il nostro esecutivo: avrà ricadute sulle europee.Caos a Strasburgo. Ieri mattina, in dieci minuti di votazioni serrate, l'europarlamento ha prima approvato (438 favorevoli, 226 contrari) la discussa direttiva sul diritto d'autore, e poi soprattutto - con un Ppe politicamente a pezzi - ha raggiunto la maggioranza dei due terzi (448 favorevoli, 197 contrari) per «processare» l'Ungheria di Viktor Orban. È la prima volta che il Parlamento europeo assume un'iniziativa del genere. Ora la palla passa ai governi, cioè al Consiglio d'Europa, che potrebbe far scattare le sanzioni: e in quel caso servirà una maggioranza ancora più larga, i quattro quinti del Consiglio.È un precedente di gravità enorme: passa il principio per cui, sulla base di valutazioni politiche del tutto discrezionali e arbitrarie, un governo liberamente scelto dai cittadini possa essere punito da una Ue i cui vertici (a partire dalla Commissione di Jean-Claude Juncker) non sono stati eletti da nessuno. Ed è una questione che - come vedremo - la delegazione grillina avrebbe fatto bene a considerare con più attenzione.Venendo al dato politico, una lacerazione drammatica del Ppe era nell'aria. Nella tarda serata dell'altro ieri, era stato lo stesso uomo forte del partito Manfred Weber ad ammetterlo, al termine di una riunione tesissima del gruppo: «Non abbiamo raggiunto un compromesso sull'Ungheria e per questo nel Ppe ci sarà libertà di voto». E poi l'aggiunta più grave: «Da parte mia, voterò a favore dell'attivazione dell'articolo 7», e cioè per sanzionare il governo di Budapest, fino al limite di togliere all'Ungheria il diritto di voto negli organi comunitari.Una scelta tre volte clamorosa: perché mette nel cestino democrazia e rispetto della volontà popolare, perché spacca il Ppe (gli austriaci del cancelliere Sebastian Kurz da una parte, i popolari scandinavi dall'altra), perché rende veramente poco credibile il ruolo di Weber come mediatore tra partiti tradizionali e sovranisti, e - meno che mai, a questo punto - come potenziale candidato condiviso alla guida della futura commissione Ue, dopo le elezioni europee di maggio 2019.Da ieri si sono capite due cose. Intanto, è praticamente iniziata una campagna elettorale rovente: immigrazionisti contro fautori della linea dura anticlandestini, difensori dell'inciucio europeo Pse-Ppe contro sostenitori di un'alternativa allo status quo, fautori dell'eurocentralizzazione contro coloro che invece vogliono riscrivere i trattati all'insegna di un maggiore rispetto delle diversità nazionali. E poi, a questo punto, non sarà facile impostare la corsa elettorale scegliendo il cosiddetto spitzenkandidat, cioè una specie di capopartito europeo preventivamente candidato a guidare la Commissione (uno per il Ppe, uno per il Pse, uno per i conservatori euroscettici di Ecr-Acre, uno per i sovranisti, eccetera): è invece probabile che la campagna elettorale per il rinnovo dell'assemblea di Bruxelles e Strasburgo sia più nazionale che mai, con un successo sovranista prevedibile in numerosissimi Paesi, e una «conta» per gli incarichi pesanti rinviata a dopo il voto, in base ai nuovi equilibri che si saranno determinati nell'europarlamento.Le forze populiste sembrano infatti in ottima salute elettorale in un numero enorme di Stati: Italia, Austria, i quattro di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia), la fascia balcanica (Slovenia, Croazia, fino alla Romania), e anche l'area scandinava (Svezia, Danimarca, Finlandia). Mentre i partiti tradizionali paiono sempre più stretti d'assedio nella fortezza Parigi-Berlino, e insidiati perfino lì da Le Pen e Afd. Nel caso tedesco, ci sarà un assaggio significativo già a metà ottobre, con le temutissime (daipopolari) elezioni regionali in Baviera: il partito bavarese cristiano-democratico Csu (alleato a livello nazionale con la Cdu di Angela Merkel) ha cercato di darsi un tono più robusto contro l'immigrazione, grazie al ministro degli interni Horst Seehofer, ma è comunque prevedibile una forte affermazione dei sovranisti di Afd.Tornando al voto di ieri, è particolarmente significativo anche il risvolto italiano. La Lega di Matteo Salvini ha ovviamente difeso Orban, e anche Forza Italia (che sta nel Ppe) si è convinta. I 5 stelle hanno invece votato contro Budapest: è prevalsa l'idea di rendere visibile una divergenza dalla Lega, forse per accontentare l'ala più dura della base grillina. Ma è un grave errore, a nostro avviso: gli eurodeputati M5s non hanno capito che, con un precedente di questo tipo, la prossima capitale a essere messa nel mirino, dopo Budapest, potrebbe essere Roma. Per questo, diventa cruciale capire come si schiererà il governo italiano in seno al Consiglio europeo, al momento della decisione finale sulle sanzioni contro Budapest: prevarrà la linea di Salvini o quella dei 5 stelle?Quanto all'altra questione rovente, quella del copyright, cioè del diritto d'autore, la contestatissima direttiva è stata approvata, inclusi i due articoli più discussi, l'11 e il 13. Il primo introduce quella che è stata definita link tax: in sostanza, chiunque voglia pubblicare su Internet un link o anche un breve estratto di due righe dovrà ricevere l'autorizzazione dell'editore del testo linkato, pagandogli un compenso. L'articolo 13 aggrava la situazione, poiché scarica sulle piattaforme (Youtube, Facebook, Twitter, Google, ecc) ogni responsabilità per eventuali violazioni del diritto d'autore. Morale: appare scontato che i giganti del Web rimuoveranno automaticamente molti contenuti degli utenti, utilizzando filtri rigidissimi.Così, un obiettivo altamente condivisibile (una migliore protezione del diritto d'autore anche in territori finora «scoperti») rischia di realizzarsi in forme che destano notevoli dubbi. Festeggiano gli editori tradizionali (ma non tutti: alcuni si rendono conto che il meccanismo, se applicato alla lettera, ridurrà molto la circolazione in rete dei loro contenuti), e si preoccupano tutti quelli che ritengono che la nuova direzione di marcia possa innescare un involontario ma clamoroso effetto di censura.
La sede della Banca d'Italia a Roma (Imagoeconomica)
Le 2.452 tonnellate sono detenute dalla Banca d’Italia, che però ovviamente non le possiede: le gestisce per conto del popolo. La Bce ora si oppone al fatto che ciò venga specificato nel testo della manovra. Che attende l’ultima formulazione del Mef.
La Bce entra a gamba tesa sul tema delle riserve auree detenute dalla Banca d’Italia. Non bastava la fredda nota a ridosso della presentazione dell’emendamento di Fratelli d’Italia alla manovra. Nonostante la riformulazione del testo in una chiave più «diplomatica», che avrebbe dovuto soddisfare le perplessità di Francoforte, ecco che martedì sera la Banca centrale europea ha inviato un parere al ministero dell’Economia in cui chiede in modo esplicito di chiarire la finalità dell’emendamento. Come dire: non ci fidiamo, che state tramando? Fateci sapere.
Con Gianni Tessari, presidente del Consorzio Lessini Durello, esploriamo la storia di una grande eccellenza italiana apprezzata nel mondo.
(IStock)
Gli italiani si sentono meno al sicuro: questo non dipende dal numero di forze dell’ordine nelle strade ma da quello dei malviventi lasciati liberi di delinquere. All’estero i banditi vanno in cella. Nel nostro Paese rischiano di più la galera quanti indossano la divisa.
Volete sapere perché gli italiani si sentono meno sicuri di prima? La risposta non è legata solo al numero di agenti che presidiano le strade, ma soprattutto al numero di malviventi lasciati liberi di delinquere. Altri Paesi europei hanno meno poliziotti di noi e, nonostante ciò, i furti sono in media inferiori di numero a quelli che si registrano a casa nostra. Così pure la percentuale di rapine e di violenze. Se la statistica premia chi ha forze dell’ordine meno presenti delle nostre, una ragione c’è: altrove, quando beccano un ladro, lo mettono dentro e ce lo tengono. E così pure quando arrestano uno stupratore.
(Ansa)
Ciucci (ad Stretto di Messina): «Dagli operai agli ingegneri, in un mese migliaia di richieste». A breve le risposte alla Corte dei Conti.
«Vorrei mettere per un attimo le polemiche da parte e soffermarmi su una dato che più di ogni altro evidenzia l’impatto e “il peso” del Ponte sullo Stretto per il Paese. Il 27 ottobre, quindi circa un mese fa, Eurolink-Webuild, il contraente generale, ha aperto le selezioni per assumere personale legato alla realizzazione dell’opera. In pochissime settimane sono arrivate 16.000 candidature. Parliamo di operai specializzati, assistenti di cantiere e ingegneri con esperienza e alle prime armi, ma anche di buyer, ispettori e responsabili It. Non più posti di lavoro potenziali, ma persone in carne e ossa che se la costruzione dell’opera fosse avviata starebbero già lavorando. Per questo continuiamo ad adoperarci con più forza di prima per dare risposte adeguate alle domande che ci sono state rivolte, in piena collaborazione con l’Europa, la Corte dei Conti e le authority coinvolte». Così Pietro Ciucci, amministratore delegato di Stretto di Messina Spa, la società pubblica che deve realizzare l’opera, rivela alla Verità i numeri sulla corsa al lavoro che coinvolge migliaia di giovani del Sud Italia e non solo.






