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2022-10-31
Prima di Dracula, il mito dei non-morti. Il vampirismo e la storia.
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Eliminazione di un vampiro in un cimitero della Romania (Getty Images)
Sono negli occhi e nella mente di tutti, dai libri alla filmografia del Ventesimo secolo, dal classico della letteratura gotica «Dracula» di Bram Stoker all’omonimo film con Bela Lugosi del 1931 fino al capolavoro del 1992 di Francis Ford Coppola. I vampiri che noi conosciamo, nobili figure notturne assetate di sangue ispirati dalla storia del conte rumeno Vlad Dracul sanguinario e impalatore di turchi, hanno in realtà radici che affondano nel remoto passato dell’Europa, dalla Grecia alla Serbia, fino all’Irlanda e all’Inghilterra.
Caratterizzati da un binomio costante che attraversa le culture e le superstizioni popolari, quello del ritorno in vita di un corpo morto e dell’ematofagia (la sete di sangue umano), sono stati nei secoli fenomeno di studio da parte di storici e filosofi che hanno ricondotto il vampirismo a epoche ben più remote rispetto a quelle in cui nacque e si sviluppò il mito gotico che ne decretò la fama universale.
Se i primissimi accenni al nutrimento con il sangue da parte di esseri sovrannaturali si possono ritrovare addirittura nel Talmud dove il nome di Lilith, la moglie ribelle di Adamo, fu descritta come vampiro. Corrispondente alla figura del sacro testo ebraico il mostro ermafrodita Lami, una creatura mostruosa della mitologia greca che avrebbe tratto nutrimento dal sangue dei bambini. E proprio in Grecia si ha traccia di una delle tradizioni popolari più vicine alla figura attuale del vampiro. Il Brucolaco (in greco Vrykolakas/βρυκόλακας) fu il tipico esempio del non-morto o redivivo, diffusosi in seguito anche in Puglia e in Bulgaria. Plasmato da timori ancestrali sul tema del peccato in vita, il corpo del vampiro ellenico rifiutava la sepoltura e cercava il sangue umano in quanto dotato delle proprietà necessarie a far rivivere la carne, meglio se succhiato da un essere umano in tenera età. Proprio il tema della sepoltura è fondante nella cultura classica greca come elemento fondamentale per un passaggio alla vita ultraterrena. Una mancata tumulazione dovuta a svariati motivi tra i quali una morte disonorevole in pace o in guerra era alle origini del fenomeno del non-morto dell’antica Grecia e della conseguente pena a cui il corpo, in una straziante ricerca della pace eterna era sottoposto. Fino alla ricerca del sangue e della carne altrui. Nell’Iliade la prima prova della correlazione tra potere del sangue e richiamo delle ombre dall’aldilà. Ulisse, per alimentare l’ombra del veggente Tiresia, riempie di sangue ovino una vasca perchè possa comunicare con lui. La tradizione dei brucolachi, nell’osmosi culturale balcanica, raggiunse la Serbia e la Bulgaria, per poi diffondersi in gran parte dell’Europa orientale. Qui, nei secoli, si creò la tradizione alla quale le fonti moderne attingeranno l’ispirazione per i capolavori della letteratura romantico-gotica. Alcuni dei più famosi brucolachi serbi passarono infatti alla storia della tradizione popolare ben prima del Dracula di Stoker. Sava Savanovic, un mugnaio di un borgo della Serbia centrale che, ritornato da una morte in circostanze misteriose, avrebbe attratto le sue vittime alla macina per poi berne il sangue. i ritorni dei non-morti, collegati ai decessi violenti o dovuti a circostanze non chiare, furono la base di investigazioni che altro non fecero che alimentare la leggenda. Molti sono infatti i rapporti nei paesi balcanici dal medioevo in poi in cui si accenna al fenomeno,con la prima comparsa del sostantivo vampiro forse derivato da Bàm (un dio manicheo che, traslitterato, suona in serbo e greco come Vàm) aggiunto alla parola russa pirb (bevuta, baldoria) oppure dallo slavo upirb in seguito upiri (a sua volta tratto dal latino impurus).
Un secondo impulso alla tradizione del vampirismo avvenne tra Seicento e Settecento, quando alla superstizione e alla tradizione si avvicinò lo spirito scientifico e in particolare l’evoluzione degli studi in anatomia e fisiologia sui fenomeni post-mortem. Dalle riesumazioni di cadaveri furono per la prima volta annotati casi di morte apparente o segni fisiologici come le macchie ipostatiche o la crescita di capelli e unghie, così come rumori dovuti alla decomposizione. Legati ai segni ed alle manifestazioni dei non-morti furono anche le grandi epidemie dei secoli XVII e XVIII. Alla base delle ispirazioni letterarie del secolo successivo, oltre ai testi di anatomo patologia, vi furono anche trattati e resoconti di viaggio fondamentali per lo sviluppo della mitologia del vampiro, come il diario del botanico francese Jacques Pitton de Tournefort, Relation d'un voyage du Levant, Fait par Ordre du Roy del 1714. Nel resoconto del gesuita scienziato è descritto un brucolaco dell’isola di Mykonos, violento ed aggressivo.Un cadavere tornato in vita dalla pelle tesa e secca come quella di un tamburo. Ma il tassello che diverrà uno dei temi ricorrenti nell’epica del vampiro contenuto tra le righe scritte dal botanico è la strategia grazie alla quale gli abitanti dell’isola greca ebbero ragione del mostro assetato del sangue dei loro figli ossia strappandone il cuore e successivamente ricoprendo il non-morto di acquasanta per poi cremarne il cadavere. La storia successiva, romanzata dagli autori gotici, introdurrà la pratica del paletto di frassino per fermare il cuore del vampiro e il crocifisso per inibirne l’anima demoniaca. Pochi anni più tardi, in Polonia, fu pubblicato un volume di storia naturale in cui per la prima volta veniva utilizzato il termine vampiro (in polacco upìer), riportato dalle memorie del gesuita Don Gengell il quale, riferendo le parole di testimoni del fenomeno scriveva:
«Ho sentito spesso da fidati testimoni oculari che i corpi sono stati trovati
non solo integri, flessibili e dal colorito vivo per parecchio tempo, ma che
anche testa, bocca, lingua e occhi a volte si muovevano. Il lenzuolo funebre
che li avvolgeva era lacero e parti del corpo erano state divorate. A volte si
notava anche che un corpo di questa risma si rialzava dalla tomba, vagava
per crocicchi e case, mostrandosi ora a taluno, ora a talaltro, e molti anche
li attaccava, tentando di soffocarli. Se e` un corpo maschile, viene chiamato
Upier.»
La strada per il mito di Vlad Dracula, di Nosferatu e di tutti i vampiri che hanno popolato la letteratura, il cinema, il teatro, i fumetti era stata tracciata in molti secoli di paura e suggestione che dalla tradizione popolare passarono nelle mani dei più raffinati autori.
Per approfondire la storia e il mito del vampirismo tra scienza e tradizione il libro di riferimento è Vampiri. Una nuova storia. di Nick Groom (Il Saggiatore).
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Dal Talmud all'Iliade, alla tradizione greca e serba agli studi di anatomopatologia seicenteschi. Il percorso tra superstizione popolare, scienza e letteratura che ha plasmato il mito assetato di sangue.Sono negli occhi e nella mente di tutti, dai libri alla filmografia del Ventesimo secolo, dal classico della letteratura gotica «Dracula» di Bram Stoker all’omonimo film con Bela Lugosi del 1931 fino al capolavoro del 1992 di Francis Ford Coppola. I vampiri che noi conosciamo, nobili figure notturne assetate di sangue ispirati dalla storia del conte rumeno Vlad Dracul sanguinario e impalatore di turchi, hanno in realtà radici che affondano nel remoto passato dell’Europa, dalla Grecia alla Serbia, fino all’Irlanda e all’Inghilterra. Caratterizzati da un binomio costante che attraversa le culture e le superstizioni popolari, quello del ritorno in vita di un corpo morto e dell’ematofagia (la sete di sangue umano), sono stati nei secoli fenomeno di studio da parte di storici e filosofi che hanno ricondotto il vampirismo a epoche ben più remote rispetto a quelle in cui nacque e si sviluppò il mito gotico che ne decretò la fama universale.Se i primissimi accenni al nutrimento con il sangue da parte di esseri sovrannaturali si possono ritrovare addirittura nel Talmud dove il nome di Lilith, la moglie ribelle di Adamo, fu descritta come vampiro. Corrispondente alla figura del sacro testo ebraico il mostro ermafrodita Lami, una creatura mostruosa della mitologia greca che avrebbe tratto nutrimento dal sangue dei bambini. E proprio in Grecia si ha traccia di una delle tradizioni popolari più vicine alla figura attuale del vampiro. Il Brucolaco (in greco Vrykolakas/βρυκόλακας) fu il tipico esempio del non-morto o redivivo, diffusosi in seguito anche in Puglia e in Bulgaria. Plasmato da timori ancestrali sul tema del peccato in vita, il corpo del vampiro ellenico rifiutava la sepoltura e cercava il sangue umano in quanto dotato delle proprietà necessarie a far rivivere la carne, meglio se succhiato da un essere umano in tenera età. Proprio il tema della sepoltura è fondante nella cultura classica greca come elemento fondamentale per un passaggio alla vita ultraterrena. Una mancata tumulazione dovuta a svariati motivi tra i quali una morte disonorevole in pace o in guerra era alle origini del fenomeno del non-morto dell’antica Grecia e della conseguente pena a cui il corpo, in una straziante ricerca della pace eterna era sottoposto. Fino alla ricerca del sangue e della carne altrui. Nell’Iliade la prima prova della correlazione tra potere del sangue e richiamo delle ombre dall’aldilà. Ulisse, per alimentare l’ombra del veggente Tiresia, riempie di sangue ovino una vasca perchè possa comunicare con lui. La tradizione dei brucolachi, nell’osmosi culturale balcanica, raggiunse la Serbia e la Bulgaria, per poi diffondersi in gran parte dell’Europa orientale. Qui, nei secoli, si creò la tradizione alla quale le fonti moderne attingeranno l’ispirazione per i capolavori della letteratura romantico-gotica. Alcuni dei più famosi brucolachi serbi passarono infatti alla storia della tradizione popolare ben prima del Dracula di Stoker. Sava Savanovic, un mugnaio di un borgo della Serbia centrale che, ritornato da una morte in circostanze misteriose, avrebbe attratto le sue vittime alla macina per poi berne il sangue. i ritorni dei non-morti, collegati ai decessi violenti o dovuti a circostanze non chiare, furono la base di investigazioni che altro non fecero che alimentare la leggenda. Molti sono infatti i rapporti nei paesi balcanici dal medioevo in poi in cui si accenna al fenomeno,con la prima comparsa del sostantivo vampiro forse derivato da Bàm (un dio manicheo che, traslitterato, suona in serbo e greco come Vàm) aggiunto alla parola russa pirb (bevuta, baldoria) oppure dallo slavo upirb in seguito upiri (a sua volta tratto dal latino impurus). Un secondo impulso alla tradizione del vampirismo avvenne tra Seicento e Settecento, quando alla superstizione e alla tradizione si avvicinò lo spirito scientifico e in particolare l’evoluzione degli studi in anatomia e fisiologia sui fenomeni post-mortem. Dalle riesumazioni di cadaveri furono per la prima volta annotati casi di morte apparente o segni fisiologici come le macchie ipostatiche o la crescita di capelli e unghie, così come rumori dovuti alla decomposizione. Legati ai segni ed alle manifestazioni dei non-morti furono anche le grandi epidemie dei secoli XVII e XVIII. Alla base delle ispirazioni letterarie del secolo successivo, oltre ai testi di anatomo patologia, vi furono anche trattati e resoconti di viaggio fondamentali per lo sviluppo della mitologia del vampiro, come il diario del botanico francese Jacques Pitton de Tournefort, Relation d'un voyage du Levant, Fait par Ordre du Roy del 1714. Nel resoconto del gesuita scienziato è descritto un brucolaco dell’isola di Mykonos, violento ed aggressivo.Un cadavere tornato in vita dalla pelle tesa e secca come quella di un tamburo. Ma il tassello che diverrà uno dei temi ricorrenti nell’epica del vampiro contenuto tra le righe scritte dal botanico è la strategia grazie alla quale gli abitanti dell’isola greca ebbero ragione del mostro assetato del sangue dei loro figli ossia strappandone il cuore e successivamente ricoprendo il non-morto di acquasanta per poi cremarne il cadavere. La storia successiva, romanzata dagli autori gotici, introdurrà la pratica del paletto di frassino per fermare il cuore del vampiro e il crocifisso per inibirne l’anima demoniaca. Pochi anni più tardi, in Polonia, fu pubblicato un volume di storia naturale in cui per la prima volta veniva utilizzato il termine vampiro (in polacco upìer), riportato dalle memorie del gesuita Don Gengell il quale, riferendo le parole di testimoni del fenomeno scriveva: «Ho sentito spesso da fidati testimoni oculari che i corpi sono stati trovatinon solo integri, flessibili e dal colorito vivo per parecchio tempo, ma cheanche testa, bocca, lingua e occhi a volte si muovevano. Il lenzuolo funebreche li avvolgeva era lacero e parti del corpo erano state divorate. A volte sinotava anche che un corpo di questa risma si rialzava dalla tomba, vagavaper crocicchi e case, mostrandosi ora a taluno, ora a talaltro, e molti ancheli attaccava, tentando di soffocarli. Se e` un corpo maschile, viene chiamatoUpier.» La strada per il mito di Vlad Dracula, di Nosferatu e di tutti i vampiri che hanno popolato la letteratura, il cinema, il teatro, i fumetti era stata tracciata in molti secoli di paura e suggestione che dalla tradizione popolare passarono nelle mani dei più raffinati autori.Per approfondire la storia e il mito del vampirismo tra scienza e tradizione il libro di riferimento è Vampiri. Una nuova storia. di Nick Groom (Il Saggiatore).
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Di fronte a questa ondata di insicurezza, i labour propongono più telecamere nelle città più importanti del Paese, applicando così, in modo massiccio, il riconoscimento facciale dei criminali. Oltre 45 milioni di cittadini verranno riconosciuti attraverso la videosorveglianza. Secondo la proposta avanzata dai labour, la polizia potrà infatti utilizzare ogni tipo di videocamera. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle presenti sulle auto, le cosiddette dashcam, e pure quelle dei campanelli dei privati cittadini. Come riporta il Telegraph, «le proposte sono accompagnate da un’iniziativa volta a far sì che la polizia installi telecamere di riconoscimento facciale “live” che scansionino i sospetti ricercati nei punti caldi della criminalità in Inghilterra e in Galles. Anche altri enti pubblici, oltre alla polizia, e aziende private, come i rivenditori, potrebbero essere autorizzati a utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale nell’ambito del nuovo quadro giuridico».
Il motivo, almeno nelle intenzioni, è certamente nobile, come sempre in questi casi. E la paura è tanta. Eppure questa soluzione pone importanti interrogativi legati alla libertà della persone e, soprattutto, alla loro privacy. C’è infatti già un modello simile ed è quello applicato in Cina. Da tempo infatti Pechino utilizza le videocamere per controllare la popolazione in ogni suo minimo gesto. Dagli attraversamenti pedonali ai comportamenti più privati. E premia (oppure punisce) il singolo cittadino in base ad ogni sua singola azione. Si tratta del cosiddetto credito sociale, che non ha a che fare unicamente con la liquidità dei cittadini, ma anche con i loro comportamenti, le loro condanne giudiziarie, le violazioni amministrative gravi e i loro comportamenti più o meno affidabili.
Quella che sembrava una distopia lì è diventata una realtà. Del resto anche in Italia, durante il Covid, è stato applicato qualcosa di simile con il Green Pass. Eri un bravo cittadino - e quindi potevi accedere a tutti i servizi - solamente se ti vaccinavi, altrimenti venivi punito: non potevi mangiare al chiuso, anche se era inverno, oppure prendere i mezzi pubblici.
Per l’avvocato Silkie Carlo, a capo dell’organizzazione non governativa per i diritti civili Big Brother, «ogni ricerca in questa raccolta di nostre foto personali sottopone milioni di cittadini innocenti a un controllo di polizia senza la nostra conoscenza o il nostro consenso. Il governo di Sir Keir Starmer si sta impegnando in violazioni storiche della privacy dei britannici, che ci si aspetterebbe di vedere in Cina, ma non in una democrazia». Ed è proprio quello che sta accadendo nel Regno Unito e che può accadere anche da noi. Il sistema cinese, poi, sta potenziando ulteriormente le proprie capacità. Secondo uno studio pubblicato dall’Australian strategic policy institute, Pechino sta potenziando ulteriormente la sua rete di controllo sulla cittadinanza sfruttando l’intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda la censura online. Un pericolo non solo per i cinesi, ma anche per i Paesi occidentali visto che Pechino «è già il maggiore esportatore mondiale di tecnologie di sorveglianza basate sull’intelligenza artificiale». Come a dire: ciò che stanno sviluppando lì, arriverà anche da noi. E allora non saranno solamente i nostri Paesi a controllare le nostre azioni ma, in modo indiretto, anche Pechino.
C’è una frase di Benjamin Franklin che viene ripresa in Captain America e che racconta bene quest’ansia da controllo. Un’ansia che nasce dalla paura, spesso provocata da politiche fallaci. «Baratteranno la loro libertà per un po’ di sicurezza». Come sta succedendo nel Regno Unito, dopo anni di accoglienza indiscriminata. O come è successo anhe in Italia durante il Covid. Per anni, ci siamo lasciati intimorire, cedendo libertà e vita. Oggi lo scenario è peggiore, visto l’uso massiccio della tecnologia, che rende i Paesi occidentali sempre più simili alla Cina. E non è una bella notizia.
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Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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