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2022-10-31
Prima di Dracula, il mito dei non-morti. Il vampirismo e la storia.
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Eliminazione di un vampiro in un cimitero della Romania (Getty Images)
Sono negli occhi e nella mente di tutti, dai libri alla filmografia del Ventesimo secolo, dal classico della letteratura gotica «Dracula» di Bram Stoker all’omonimo film con Bela Lugosi del 1931 fino al capolavoro del 1992 di Francis Ford Coppola. I vampiri che noi conosciamo, nobili figure notturne assetate di sangue ispirati dalla storia del conte rumeno Vlad Dracul sanguinario e impalatore di turchi, hanno in realtà radici che affondano nel remoto passato dell’Europa, dalla Grecia alla Serbia, fino all’Irlanda e all’Inghilterra.
Caratterizzati da un binomio costante che attraversa le culture e le superstizioni popolari, quello del ritorno in vita di un corpo morto e dell’ematofagia (la sete di sangue umano), sono stati nei secoli fenomeno di studio da parte di storici e filosofi che hanno ricondotto il vampirismo a epoche ben più remote rispetto a quelle in cui nacque e si sviluppò il mito gotico che ne decretò la fama universale.
Se i primissimi accenni al nutrimento con il sangue da parte di esseri sovrannaturali si possono ritrovare addirittura nel Talmud dove il nome di Lilith, la moglie ribelle di Adamo, fu descritta come vampiro. Corrispondente alla figura del sacro testo ebraico il mostro ermafrodita Lami, una creatura mostruosa della mitologia greca che avrebbe tratto nutrimento dal sangue dei bambini. E proprio in Grecia si ha traccia di una delle tradizioni popolari più vicine alla figura attuale del vampiro. Il Brucolaco (in greco Vrykolakas/βρυκόλακας) fu il tipico esempio del non-morto o redivivo, diffusosi in seguito anche in Puglia e in Bulgaria. Plasmato da timori ancestrali sul tema del peccato in vita, il corpo del vampiro ellenico rifiutava la sepoltura e cercava il sangue umano in quanto dotato delle proprietà necessarie a far rivivere la carne, meglio se succhiato da un essere umano in tenera età. Proprio il tema della sepoltura è fondante nella cultura classica greca come elemento fondamentale per un passaggio alla vita ultraterrena. Una mancata tumulazione dovuta a svariati motivi tra i quali una morte disonorevole in pace o in guerra era alle origini del fenomeno del non-morto dell’antica Grecia e della conseguente pena a cui il corpo, in una straziante ricerca della pace eterna era sottoposto. Fino alla ricerca del sangue e della carne altrui. Nell’Iliade la prima prova della correlazione tra potere del sangue e richiamo delle ombre dall’aldilà. Ulisse, per alimentare l’ombra del veggente Tiresia, riempie di sangue ovino una vasca perchè possa comunicare con lui. La tradizione dei brucolachi, nell’osmosi culturale balcanica, raggiunse la Serbia e la Bulgaria, per poi diffondersi in gran parte dell’Europa orientale. Qui, nei secoli, si creò la tradizione alla quale le fonti moderne attingeranno l’ispirazione per i capolavori della letteratura romantico-gotica. Alcuni dei più famosi brucolachi serbi passarono infatti alla storia della tradizione popolare ben prima del Dracula di Stoker. Sava Savanovic, un mugnaio di un borgo della Serbia centrale che, ritornato da una morte in circostanze misteriose, avrebbe attratto le sue vittime alla macina per poi berne il sangue. i ritorni dei non-morti, collegati ai decessi violenti o dovuti a circostanze non chiare, furono la base di investigazioni che altro non fecero che alimentare la leggenda. Molti sono infatti i rapporti nei paesi balcanici dal medioevo in poi in cui si accenna al fenomeno,con la prima comparsa del sostantivo vampiro forse derivato da Bàm (un dio manicheo che, traslitterato, suona in serbo e greco come Vàm) aggiunto alla parola russa pirb (bevuta, baldoria) oppure dallo slavo upirb in seguito upiri (a sua volta tratto dal latino impurus).
Un secondo impulso alla tradizione del vampirismo avvenne tra Seicento e Settecento, quando alla superstizione e alla tradizione si avvicinò lo spirito scientifico e in particolare l’evoluzione degli studi in anatomia e fisiologia sui fenomeni post-mortem. Dalle riesumazioni di cadaveri furono per la prima volta annotati casi di morte apparente o segni fisiologici come le macchie ipostatiche o la crescita di capelli e unghie, così come rumori dovuti alla decomposizione. Legati ai segni ed alle manifestazioni dei non-morti furono anche le grandi epidemie dei secoli XVII e XVIII. Alla base delle ispirazioni letterarie del secolo successivo, oltre ai testi di anatomo patologia, vi furono anche trattati e resoconti di viaggio fondamentali per lo sviluppo della mitologia del vampiro, come il diario del botanico francese Jacques Pitton de Tournefort, Relation d'un voyage du Levant, Fait par Ordre du Roy del 1714. Nel resoconto del gesuita scienziato è descritto un brucolaco dell’isola di Mykonos, violento ed aggressivo.Un cadavere tornato in vita dalla pelle tesa e secca come quella di un tamburo. Ma il tassello che diverrà uno dei temi ricorrenti nell’epica del vampiro contenuto tra le righe scritte dal botanico è la strategia grazie alla quale gli abitanti dell’isola greca ebbero ragione del mostro assetato del sangue dei loro figli ossia strappandone il cuore e successivamente ricoprendo il non-morto di acquasanta per poi cremarne il cadavere. La storia successiva, romanzata dagli autori gotici, introdurrà la pratica del paletto di frassino per fermare il cuore del vampiro e il crocifisso per inibirne l’anima demoniaca. Pochi anni più tardi, in Polonia, fu pubblicato un volume di storia naturale in cui per la prima volta veniva utilizzato il termine vampiro (in polacco upìer), riportato dalle memorie del gesuita Don Gengell il quale, riferendo le parole di testimoni del fenomeno scriveva:
«Ho sentito spesso da fidati testimoni oculari che i corpi sono stati trovati
non solo integri, flessibili e dal colorito vivo per parecchio tempo, ma che
anche testa, bocca, lingua e occhi a volte si muovevano. Il lenzuolo funebre
che li avvolgeva era lacero e parti del corpo erano state divorate. A volte si
notava anche che un corpo di questa risma si rialzava dalla tomba, vagava
per crocicchi e case, mostrandosi ora a taluno, ora a talaltro, e molti anche
li attaccava, tentando di soffocarli. Se e` un corpo maschile, viene chiamato
Upier.»
La strada per il mito di Vlad Dracula, di Nosferatu e di tutti i vampiri che hanno popolato la letteratura, il cinema, il teatro, i fumetti era stata tracciata in molti secoli di paura e suggestione che dalla tradizione popolare passarono nelle mani dei più raffinati autori.
Per approfondire la storia e il mito del vampirismo tra scienza e tradizione il libro di riferimento è Vampiri. Una nuova storia. di Nick Groom (Il Saggiatore).
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Riduci
Dal Talmud all'Iliade, alla tradizione greca e serba agli studi di anatomopatologia seicenteschi. Il percorso tra superstizione popolare, scienza e letteratura che ha plasmato il mito assetato di sangue.Sono negli occhi e nella mente di tutti, dai libri alla filmografia del Ventesimo secolo, dal classico della letteratura gotica «Dracula» di Bram Stoker all’omonimo film con Bela Lugosi del 1931 fino al capolavoro del 1992 di Francis Ford Coppola. I vampiri che noi conosciamo, nobili figure notturne assetate di sangue ispirati dalla storia del conte rumeno Vlad Dracul sanguinario e impalatore di turchi, hanno in realtà radici che affondano nel remoto passato dell’Europa, dalla Grecia alla Serbia, fino all’Irlanda e all’Inghilterra. Caratterizzati da un binomio costante che attraversa le culture e le superstizioni popolari, quello del ritorno in vita di un corpo morto e dell’ematofagia (la sete di sangue umano), sono stati nei secoli fenomeno di studio da parte di storici e filosofi che hanno ricondotto il vampirismo a epoche ben più remote rispetto a quelle in cui nacque e si sviluppò il mito gotico che ne decretò la fama universale.Se i primissimi accenni al nutrimento con il sangue da parte di esseri sovrannaturali si possono ritrovare addirittura nel Talmud dove il nome di Lilith, la moglie ribelle di Adamo, fu descritta come vampiro. Corrispondente alla figura del sacro testo ebraico il mostro ermafrodita Lami, una creatura mostruosa della mitologia greca che avrebbe tratto nutrimento dal sangue dei bambini. E proprio in Grecia si ha traccia di una delle tradizioni popolari più vicine alla figura attuale del vampiro. Il Brucolaco (in greco Vrykolakas/βρυκόλακας) fu il tipico esempio del non-morto o redivivo, diffusosi in seguito anche in Puglia e in Bulgaria. Plasmato da timori ancestrali sul tema del peccato in vita, il corpo del vampiro ellenico rifiutava la sepoltura e cercava il sangue umano in quanto dotato delle proprietà necessarie a far rivivere la carne, meglio se succhiato da un essere umano in tenera età. Proprio il tema della sepoltura è fondante nella cultura classica greca come elemento fondamentale per un passaggio alla vita ultraterrena. Una mancata tumulazione dovuta a svariati motivi tra i quali una morte disonorevole in pace o in guerra era alle origini del fenomeno del non-morto dell’antica Grecia e della conseguente pena a cui il corpo, in una straziante ricerca della pace eterna era sottoposto. Fino alla ricerca del sangue e della carne altrui. Nell’Iliade la prima prova della correlazione tra potere del sangue e richiamo delle ombre dall’aldilà. Ulisse, per alimentare l’ombra del veggente Tiresia, riempie di sangue ovino una vasca perchè possa comunicare con lui. La tradizione dei brucolachi, nell’osmosi culturale balcanica, raggiunse la Serbia e la Bulgaria, per poi diffondersi in gran parte dell’Europa orientale. Qui, nei secoli, si creò la tradizione alla quale le fonti moderne attingeranno l’ispirazione per i capolavori della letteratura romantico-gotica. Alcuni dei più famosi brucolachi serbi passarono infatti alla storia della tradizione popolare ben prima del Dracula di Stoker. Sava Savanovic, un mugnaio di un borgo della Serbia centrale che, ritornato da una morte in circostanze misteriose, avrebbe attratto le sue vittime alla macina per poi berne il sangue. i ritorni dei non-morti, collegati ai decessi violenti o dovuti a circostanze non chiare, furono la base di investigazioni che altro non fecero che alimentare la leggenda. Molti sono infatti i rapporti nei paesi balcanici dal medioevo in poi in cui si accenna al fenomeno,con la prima comparsa del sostantivo vampiro forse derivato da Bàm (un dio manicheo che, traslitterato, suona in serbo e greco come Vàm) aggiunto alla parola russa pirb (bevuta, baldoria) oppure dallo slavo upirb in seguito upiri (a sua volta tratto dal latino impurus). Un secondo impulso alla tradizione del vampirismo avvenne tra Seicento e Settecento, quando alla superstizione e alla tradizione si avvicinò lo spirito scientifico e in particolare l’evoluzione degli studi in anatomia e fisiologia sui fenomeni post-mortem. Dalle riesumazioni di cadaveri furono per la prima volta annotati casi di morte apparente o segni fisiologici come le macchie ipostatiche o la crescita di capelli e unghie, così come rumori dovuti alla decomposizione. Legati ai segni ed alle manifestazioni dei non-morti furono anche le grandi epidemie dei secoli XVII e XVIII. Alla base delle ispirazioni letterarie del secolo successivo, oltre ai testi di anatomo patologia, vi furono anche trattati e resoconti di viaggio fondamentali per lo sviluppo della mitologia del vampiro, come il diario del botanico francese Jacques Pitton de Tournefort, Relation d'un voyage du Levant, Fait par Ordre du Roy del 1714. Nel resoconto del gesuita scienziato è descritto un brucolaco dell’isola di Mykonos, violento ed aggressivo.Un cadavere tornato in vita dalla pelle tesa e secca come quella di un tamburo. Ma il tassello che diverrà uno dei temi ricorrenti nell’epica del vampiro contenuto tra le righe scritte dal botanico è la strategia grazie alla quale gli abitanti dell’isola greca ebbero ragione del mostro assetato del sangue dei loro figli ossia strappandone il cuore e successivamente ricoprendo il non-morto di acquasanta per poi cremarne il cadavere. La storia successiva, romanzata dagli autori gotici, introdurrà la pratica del paletto di frassino per fermare il cuore del vampiro e il crocifisso per inibirne l’anima demoniaca. Pochi anni più tardi, in Polonia, fu pubblicato un volume di storia naturale in cui per la prima volta veniva utilizzato il termine vampiro (in polacco upìer), riportato dalle memorie del gesuita Don Gengell il quale, riferendo le parole di testimoni del fenomeno scriveva: «Ho sentito spesso da fidati testimoni oculari che i corpi sono stati trovatinon solo integri, flessibili e dal colorito vivo per parecchio tempo, ma cheanche testa, bocca, lingua e occhi a volte si muovevano. Il lenzuolo funebreche li avvolgeva era lacero e parti del corpo erano state divorate. A volte sinotava anche che un corpo di questa risma si rialzava dalla tomba, vagavaper crocicchi e case, mostrandosi ora a taluno, ora a talaltro, e molti ancheli attaccava, tentando di soffocarli. Se e` un corpo maschile, viene chiamatoUpier.» La strada per il mito di Vlad Dracula, di Nosferatu e di tutti i vampiri che hanno popolato la letteratura, il cinema, il teatro, i fumetti era stata tracciata in molti secoli di paura e suggestione che dalla tradizione popolare passarono nelle mani dei più raffinati autori.Per approfondire la storia e il mito del vampirismo tra scienza e tradizione il libro di riferimento è Vampiri. Una nuova storia. di Nick Groom (Il Saggiatore).
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Attualmente gli Stati Uniti mantengono 84.000 militari in Europa, dislocati in circa cinquanta basi. I principali snodi si trovano in Germania, Italia e Regno Unito, mentre la Francia non ospita alcuna base americana permanente. Il quartier generale del comando statunitense in Europa è situato a Stoccarda, da dove viene coordinata una forza che, secondo un rapporto del Congresso, risulta «strettamente integrata nelle attività e negli obiettivi della Nato».
Sul piano strategico-nucleare, sei basi Nato, distribuite in cinque Paesi membri – Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia – custodiscono circa 100 ordigni nucleari statunitensi. Si tratta delle bombe tattiche B61, concepite esclusivamente per l’impiego da parte di bombardieri o caccia americani o alleati certificati. Dalla sua istituzione nel 1949, con il Trattato di Washington, la Nato è stata il perno della sicurezza americana in Europa, come ricorda il Center for Strategic and International Studies. L’articolo 5 garantisce che un attacco contro uno solo dei membri venga considerato un’aggressione contro tutti, estendendo di fatto l’ombrello militare statunitense all’intero continente.
Questo impianto, rimasto sostanzialmente invariato dalla fine della Seconda guerra mondiale, oggi appare messo in discussione. Il discorso del vicepresidente J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, i segnali di dialogo tra Donald Trump e Vladimir Putin sull’Ucraina e la diffusione di una dottrina strategica definita «aggressiva» da più capitali europee hanno alimentato il timore di un possibile ridimensionamento dell’impegno americano.
Sul fronte finanziario, Washington ha alzato ulteriormente l’asticella chiedendo agli alleati di destinare il 5% del Pil alla difesa. Un obiettivo giudicato irrealistico nel breve termine dalla maggior parte degli Stati membri. Nel 2014, solo tre Paesi – Stati Uniti, Regno Unito e Grecia – avevano raggiunto la soglia minima del 2%. Oggi 23 Paesi Nato superano quel livello, e 16 di essi lo hanno fatto soltanto dopo il 2022, sotto la spinta del conflitto ucraino. La guerra in Ucraina resta infatti il contesto determinante. La Russia controlla quasi il 20% del territorio ucraino. Già dopo l’annessione della Crimea nel 2014, la Nato aveva rafforzato il fianco orientale schierando quattro gruppi di battaglia nei Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) e in Polonia. Dopo il 24 febbraio 2022, altri quattro battlegroup sono stati dispiegati in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia.
Queste forze contano complessivamente circa 10.000 soldati, tra cui 770 militari francesi – 550 in Romania e 220 in Estonia – e si aggiungono al vasto sistema di basi navali, aeree e terrestri già presenti sul continente. Nonostante questi numeri, la capacità reale dell’Europa rimane limitata. Come osserva Camille Grand, ex vicesegretario generale della Nato, molti eserciti europei, protetti per decenni dall’ombrello americano e frenati da bilanci contenuti, si sono trasformati in «eserciti bonsai»: strutture ridotte, con capacità parziali ma prive di profondità operativa. I dati confermano il quadro: 12 Paesi europei non dispongono di carri armati, mentre 14 Stati non possiedono aerei da combattimento. In molti casi, i mezzi disponibili non sono sufficientemente moderni o pronti all’impiego.
La dipendenza diventa totale nelle capacità strategiche. Intelligence, sorveglianza e ricognizione, così come droni, satelliti, aerei da rifornimento e da trasporto, restano largamente insufficienti senza il supporto statunitense. L’operazione francese in Mali nel 2013 richiese l’intervento di aerei americani per il rifornimento in volo, mentre durante la guerra in Libia nel 2011 le scorte di bombe a guida laser si esaurirono rapidamente. Secondo le stime del Bruegel Institute, riprese da Le Figaro, per garantire una sicurezza credibile senza l’appoggio degli Stati Uniti l’Europa dovrebbe investire almeno 250 miliardi di euro all’anno. Una cifra che fotografa con precisione il divario accumulato e pone una domanda politica inevitabile: il Vecchio Continente è disposto a sostenere un simile sforzo, o continuerà ad affidare la propria difesa a un alleato sempre meno disposto a farsene carico?
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Riduci
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Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
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Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
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