2021-08-14
Le sette sorelle, isole di antifascisti e artisti
Le Eolie, poste sulle antiche rotte naviganti tra Sicilia e Calabria, hanno cucine e specialità differenti. A Lipari consolavano il palato in esilio di Ferruccio Parri, Emilio Lussu e Carlo Rosselli. Mentre Claude Monet pagava in natura lasciando i suoi dipinti.Se le conosci te ne innamori, questa potrebbe essere la sintesi per raccontare di queste «sette sorelle» poste sulle antiche rotte dei naviganti tra Sicilia e Calabria. Bene le ha descritte Stefania Barzini, per anni ambasciatrice della cucina italiana negli Usa. »Non puoi dimenticare il mare di un blu cupo, a tratti quasi nero, la loro anima di fuoco». Sette isole ricche di personalità, una diversa dall'altra. Star mediatica Panarea. Capitale storica Lipari. Poi le vulcaniche Stromboli e Vulcano, la rigogliosa Salina. Le appartate Filicudi e Alicudi. Ce n'è veramente per tutti i gusti, anche a tavola. Vicende storiche che le hanno viste al centro di traffici commerciali, scorrerie barbare, capitoli riassunti nello straordinario museo archeologico di Lipari. Entrate nell'immaginario collettivo della modernità grazie ai volti di Ingrid Bergman, in Stromboli, diretto da Roberto Rossellini, come di Anna Magnani, in Vulcano. Il turismo degli ultimi anni ha permesso ai residenti di mantenere le loro tradizioni a partire da una architettura residenziale in cui tutto era finalizzato, anche, al conservare al meglio quanto la terra poteva offrire. Dai pergolati ombrosi, le tettoie a cui erano appesi i prodotti dell'orto, ma anche i totani messi ad essiccare, assieme ad altri piccoli pesci.Nelle cucine, appesa alle travi, la muschera, un'intelaiatura in legno con una rete metallica filtro degli insetti a quanto vi era conservato, posto che i frigoriferi sono arrivati dopo e l'acqua piovana era conservata nel bumbulo, un recipiente di terracotta che la conservava potabile e possibilmente fresca. Il pane si infornava una volta al mese. Prima di avviarle al fuoco le forme ricevevano un triplo segno di croce, invocando la benedizione di Gesù e Santa Rosa. Ne usciva caliatu, cioè tostato e conservato avvolto in teli di cotone dentro cassapanche di legno. Sui terrazzamenti i pomodori, considerata la scarsità d'acqua, potevano essere coltivati «a scocca», cioè ponendo attorno alle piantine le pale di fico d'India, quali riserve di umidità. Il colore rosso vivo per i raggi del sole, il gusto unico, grazie alla ricchezza di potassio del terreno vulcanico. Conservati poi quasi a decorare larghe ruote di vimini per il consumo prossimo e venturo. Isole in cui si faceva di tutto necessità virtù, valorizzando al meglio anche le erbe aromatiche, quali ad esempio i rapuddi, le foglioline ricche di fibre e minerali. Spadellati con pomodori e acciughe, ma anche ideale lasciapassare dietetico abbinati a più grevi cotenne di maiale o salsicce. I totani sono frutto della pesca domestica effettuata con i vuzzi, le piccole barchette con cui, nelle notti di luna piena, si andava armati del lontro, un'esca a forma di cilindro con una luce che li attira per catturarli poi con i vari ami appesi a fare corona. Essiccati, ma anche ripieni, ovviamente con capperi e pecorino, come pure messi in balice, ovvero sottoaceto. Oppure consumati al volo dai pescatori affamati al ritorno a riva con brace compiacente. A Lipari la memoria storica della tradizione è stato Filippino Bernardi. Alla sua tavola consolavano il palato in esilio Ferruccio Parri, Emilio Lussu e Carlo Rosselli, mentre pagava in natura, lasciando i suoi dipinti, Claude Monet. Prima di andare a scoprire le bellezze delle altre isole imperdibile la brioche con granita e limone. Per i liparoti Salina è «la contadina», ovvero l'orto dell'arcipelago, grazie alla ricchezza unica di vene d'acqua sotterranee. Complice Eolo, antica divinità che da queste parti dimorava sornione «trasportando gli umori del mare sulla terraferma, “fecondando" piante e fiori». I capperi di Salina non hanno rivali. Li si trova lungo i muraglioni di pietra, le radici negli anfratti più profondi. La loro diffusione grazie alle lucertole. Ghiotte del succo dei cucunci, il frutto, quando tornano nelle loro tane ne diventano automaticamente inseminatrici naturali. La raccolta un rito dalle regole precise. Avviene all'alba, posti dentro le paute, sacche legate alla cintura. La calibratura effettuata con i crivi, griglie vibranti di metallo. I migliori sono anche i più piccoli. Se non vengono raccolti i fiori sbocciano con colori vivi da far concorrenza alle orchidee. Vulcano, nel medioevo, era considerata l'anticamera dell'inferno, con i diavoli che passavano attraverso i suoi anfratti. Nell'Ottocento venne acquistata da James Stevenson, uno scozzese che scorrazzava vestito di tutto punto con la sua carrozza. Qui la pastorizia è tradizione viva, ottima la ricotta di capra, che potete godervi come frittelle. Addentrandosi lungo gli scogli i più coraggiosi raccolgono le attinie, urticanti anemoni di mare che però si riscattano al piatto una volta fritti. A Stromboli, il faro del Mediterraneo, vulcano in attività permanente, provate a cercare la murena in agrodolce. Un pesce mansueto ingiustamente descritto di natura feroce, forse perché gli antichi romani, un tempo, gli davano in pasto gli schiavi ribelli. Panarea è meta del jet set, ma un tempo neanche tanto lontano gli isolani erano arrivati ad addomesticare i gabbiani, offrendo loro pesciolini golosi, per papparseli poi spennati al forno. Qui si svolge ogni anno la sagra locale dove protagonisti sono gli spaghetti alla disgraziata. I locali e qualche ospite si sfidano tra loro a chi più si spazzola spaghetti iniettati di peperoncino. I fichi d'India delimitavano le proprietà. Ispidi, ma golosi, una volta raccolti, erano accompagnati da questa filastrocca «lasciami stare, non mi toccare. Lasciami spogliare e ti faccio godere». Robe che neanche Kim Basinger in Nove settimane e mezzo. Un piccolo paradiso a parte Alicudi, la più lontana e riservata delle sette sorelle. Qui ci vieni a vivere per scelta, e non te ne stacchi più. Una antologia antropologica di storie diverse ben descritte da Giovanna Nigi. Non esistono praticamente strade, ma lunghe scalinate, tanto che non si abita al civico, ma allo scalino numero x o y. I più fortunati, quando vanno a fare la spesa, si appoggiano all'asinello paziente, tanto che Stefania Barzini, che ad Alicudi è fedele da lustri, è stata chiara «se esiste la reincarnazione la punizione peggiore che possa capitare è quella di rinascer asino ad Alicudi». Qui la tradizione è stata tenuta viva, per anni, da Angelino Barbuto, O Fiocco, l'ultimo contadino dell'isola. La minestra di legumi il grande classico, con la rotazione regolare, ogni giorno, di un legume diverso. Qui i capperi ve li offrono ad ogni angolo. Al piatto in diverse versioni. Con l'insalata arcudara assieme a patate, pomodori e cipolla o come caponata, con olive, menta e basilico e una spruzzata di vino rosso. Le patelle sono molluschi golosi attaccati agli scogli. Il massimo è papparseli al volo, a pelo d'acqua, una spruzzatina di limone a tiro di barca d'appoggio anche se il piatto del buon ricordo, senza se e senza ma, è la ghiotta di cuti di mare. I cuti sono i sassi dei fondali, ricoperti di un vello di alghe. Li si prepara in una zuppa assieme a pomodoro e basilico. Adeguatamente «spellati» li si ributta in acqua ricettacolo di nuove alghe future. Ghiotto della ghiotta ne scrive meraviglie Roberto Alajmo, palermitano doc nel suo «viaggio in Sicilia». Nei tempi di magra si faceva tesoro delle carrube, tolte dalla dieta animale, umanizzate con minestra di cipolle e carote. I bovini avviati ai mercati del continente in maniera originale. Li si buttava in acqua, bendati e trainati dalle barchette da pesca. Da lì poi, al porto di Lipari, ci pensavano i motovelieri a farne tradotta mercantile. Sui dolci, alle Eolie, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Piccole sculture edibili i nacatuli, un tempo delizia natalizia. Ogni donna di casa li modellava a piacere con il pizzicaloru, piccole pinzette e i tuornu, rotelline per tagliare la pasta che poi andava a custodire un impasto di mandorle aromatizzate con agrumi e cannella.
(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Paolo Inselvini alla sessione plenaria di Strasburgo.
Giornata cruciale per le relazioni economiche tra Italia e Arabia Saudita. Nel quadro del Forum Imprenditoriale Italia–Arabia Saudita, che oggi riunisce a Riyad istituzioni e imprese dei due Paesi, Cassa depositi e prestiti (Cdp), Simest e la Camera di commercio italo-araba (Jiacc) hanno firmato un Memorandum of Understanding volto a rafforzare la cooperazione industriale e commerciale con il mondo arabo. Contestualmente, Simest ha inaugurato la sua nuova antenna nella capitale saudita, alla presenza del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani.
L’accordo tra Cdp, Simest e Jiacc – sottoscritto alla presenza di Tajani e del ministro degli Investimenti saudita Khalid A. Al Falih – punta a costruire un canale stabile di collaborazione tra imprese italiane e aziende dei Paesi arabi, con particolare attenzione alle opportunità offerte dal mercato saudita. L’obiettivo è facilitare l’accesso delle aziende italiane ai mega-programmi legati alla Vision 2030 e promuovere partnership industriali e commerciali ad alto valore aggiunto.
Il Memorandum prevede iniziative congiunte in quattro aree chiave: business matching, attività di informazione e orientamento ai mercati arabi, eventi e missioni dedicate, e supporto ai processi di internazionalizzazione. «Questo accordo consolida l’impegno di Simest nel supportare l’espansione delle Pmi italiane in un’area strategica e in forte crescita», ha commentato il presidente di Simest, Vittorio De Pedys, sottolineando come la collaborazione con Cdp e Jiacc permetterà di offrire accompagnamento, informazione e strumenti finanziari mirati.
Parallelamente, sempre a Riyad, si è svolta la cerimonia di apertura del nuovo presidio SIMEST, inaugurato dal ministro Tajani insieme al presidente De Pedys e all’amministratore delegato Regina Corradini D’Arienzo. L’antenna nasce per fornire assistenza diretta alle imprese italiane impegnate nei percorsi di ingresso e consolidamento in uno dei mercati più dinamici al mondo, in un Medio Oriente considerato sempre più strategico per la crescita internazionale dell’Italia.
L’Arabia Saudita, al centro di una fase di profonda trasformazione economica, ospita già numerose aziende italiane attive in settori quali infrastrutture, automotive, trasporti sostenibili, edilizia, farmaceutico-medicale, alta tecnologia, agritech, cultura e sport. «L’apertura dell’antenna di Riyad rappresenta un passo decisivo nel rafforzamento della nostra presenza a fianco delle imprese italiane, con un’attenzione particolare alle Pmi», ha dichiarato Corradini D’Arienzo. Un presidio che, ha aggiunto, opererà in stretto coordinamento con la Farnesina, Cdp, Sace, Ice, la Camera di Commercio, Confindustria e l’Ambasciata italiana, con l’obiettivo di facilitare investimenti e cogliere le opportunità offerte dall’economia saudita, anche in settori in cui la filiera italiana sta affrontando difficoltà, come la moda.
Le due iniziative – il Memorandum e l’apertura dell’antenna – rafforzano dunque la presenza del Sistema Italia in una delle aree più strategiche del panorama globale, con l’ambizione di trasformare le opportunità della Vision 2030 in collaborazioni concrete per le imprese italiane.
Continua a leggereRiduci