Scaduta la misura che congela sia i prestiti garantiti dallo Stato, sia i finanziamenti concessi dalle banche. E nel Sostegni ter per ora non è prevista proroga. La tegola si aggiunge a caro energia e risveglio del fisco.
Scaduta la misura che congela sia i prestiti garantiti dallo Stato, sia i finanziamenti concessi dalle banche. E nel Sostegni ter per ora non è prevista proroga. La tegola si aggiunge a caro energia e risveglio del fisco.La moratoria sui debiti è scaduta. Da marzo 2020 fino allo scorso dicembre lo Stato ha garantito prestiti per 216 miliardi attraverso più decreti (esclusi i circa 30 miliardi veicolati da Sace). A fine anno sull’intero ammontare di richieste arrivate al fondo di garanzia (circa 2,5 milioni) circa 500.000 ancora godevano della sospensione delle rate. Mezzo milione di aziende per un importo di circa 56 miliardi di euro. Per questo esercito è tempo di rimborsare il prestito e iniziare a pagare le rate. A tutto ciò si aggiunge l’altra grande sospensiva in capo al sistema bancario. Nello stesso periodo di tempo (dal marzo 2020 fino a metà dicembre 2021) le banche hanno concesso 694.000 moratorie. In gran parte di fidi, ma anche di mutui. L’ammontare dei finanziamenti congelati dagli istituti alla data del 31 dicembre era di 27 miliardi e pochi spiccioli. Con l’anno nuovo l’intento del Cura Italia e del decreto Liquidità cambia drasticamente faccia. Il 31 dicembre 2021 la moratoria è scaduta. L’ossigeno erogato sotto forma di liquidità ora i si trasforma in debito. Tant’è che con la fine del mese, sommando ai prestiti a garanzia pubblica i fidi congelati per iniziativa del settore bancario, circa 1,2 milioni di aziende (e qualche decina di migliaia di privati) si troverà a rimborsare con la prima rata i soldi ricevuti e aggiungere altre caselle alla voce uscite del bilancio. I vertici dell’associazione bancaria hanno già lanciato l’allarme. Oltre ad Antonio Patuelli anche i sindacati nei mesi scorsi avevano sparato un razzo di segnalazione. Lando Maria Sileoni, segretario generale Fabi, lo scorso giugno aveva sollecitato Bankitalia e governo per un intervento preventivo. Siamo invece arrivati al 2022 e la moratoria è scaduta. Le imprese si trovano così a restituire rata su rata 83 miliardi di euro fino a poco tempo fa congelati nel momento peggiore della crisi economica. L’inflazione sta schizzando. Le materie prime sono carissime o introvabili, i ristoranti e i locali si trovano aperti ma senza clienti e al tempo stesso costretti a pagare bollette più care anche del 50%. Ieri la banca d’affari Citygroup ha calcolato che nel 2022 le imprese europee si troveranno a pagare una bolletta di 1.000 miliardi di dollari. Circa 700 in più del 2020 e il doppio rispetto al 2019 quando si viaggiava e si lavorava ignorando l’arrivo del Covid e soprattutto la pratica del lockdown. Davanti a questo panorama di indebitamento e dunque di difficoltà a investire e gestire equity, parlare di rilancio è chiaramente un palliativo psicologico che forse varrebbe la pena rispedire al mittente. Meglio che il governo sia sincero. O ammette le difficoltà a cui gli imprenditori devono andare incontro, compreso l’enorme massa di debiti caricati sulle loro spalle, oppure si muove per cercare una soluzione. Invece al momento lavora a un decreto Sostegni ter che - stando alla riunione di lunedì al Mef - cuberebbe qualcosa come 1,7 miliardi di aiuti. Da spartire tra settore turismo, discoteche e Horeca, che sarebbe la distribuzione alimentare. Briciole. Resta aperto il grosso nodo della Cig Covid e soprattutto della moratoria dei prestiti. Se il Sostegni ter, in fase di lavorazione, dovesse decidere di prorogare lo stop dei rimborsi del debito, quel milione e 200.000 aziende si troverebbe ad avere più ossigeno. Anche se subito dopo si dovrebbe affrontare il tema del che cosa fare al termine del 2022. Cancellare i debiti e coprirli con altro debito pubblico? Facendo scostamento apposito? Abbiamo più volte criticato il governo di Giuseppe Conte perché nel momento dell’apice della pandemia avrebbe dovuto prevedere una buona fetta di insolvenze e aggiungere altro scostamento di bilancio caricando tutto il peso sul 2020. Invece non è stato fatto rendendo adesso l’operazione più complicata. Sempre che la politica e il governo vogliano farsene carico. A noi qualche dubbio sorge. Lo intuiamo dall’andazzo che sta prendendo la pressione fiscale. Non nel senso tecnico del termine. Ma in quello sostanziale. È ormai noto che l’obiettivo dell’Agenzia delle entrate sia quello di spingere il piede sull’acceleratore sugli adeguamenti spontanei con l’intento già nel 2022 di aumentare il relativo gettito del 15%. Per poi ottimizzare come si dice in gergo al 30% entro la fine del 2024. È ormai chiaro che per l’amministrazione finanziaria la pandemia e l’emergenza sono finite. Al di fuori dei fondi che via via saranno stanziati tramite Pnrr, sarà difficile se non impossibile per i prossimi governi ottenere scostamenti e gestire aiuti post pandemici. Questa sembra dunque essere l’ultima finestra possibile. Al momento a quanto risulta le direttive del premier sono di non chiedere scostamento fino a che la partita del Colle non sarà risolta. Le esigenze della politica non collimano con quelle delle aziende. Vedremo. Sarebbe però il caso di pensare a scelte drastiche sul fronte fiscale e finanziario (un condono generalizzato almeno sul 2020 e sul 2021) e su quello energetico. La crisi delle bollette non si risolve con qualche miliardo per calmierare i prezzi. Servirebbe piuttosto un intervento militare in Libia. Anche a costo di farlo al fianco dei francesi. Con l’obiettivo di farsi aprire i rubinetti di gas.
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






