2020-08-18
Stop alle discoteche: la parola passa al Tar
I gestori, già danneggiati dal lockdown, fanno ricorso contro la chiusura decisa dall'esecutivo, che promette 100 milioni d'indennizzi a fronte di 4 miliardi di perdite. Preoccupati i governatori, incluso il dem Michele Emiliano. E adesso rischiano di proliferare i rave abusivi.A Milano assembramenti in moschea tollerati da Protezione civile e personale del Comune.Lo speciale contiene due articoli.Basta balli all'aria aperta e in discoteca, la musica è finita al culmine della stagione estiva. Se ne riparlerà, forse, dopo il 7 settembre, quando una villeggiatura se la potranno godere in pochi e sulle spiagge continueranno ad arrivare migranti, non vacanzieri. Ancora un duro colpo per gli imprenditori del settore che si vedono bloccare attività già pesantemente penalizzate, visto che dopo il lockdown «solo il 10% dei circa 3.500 locali ha riaperto», dichiara Gianni Indino, presidente in Emilia Romagna del sindacato italiano dei locali da ballo (Silb). L'ordinanza con cui il ministro della Salute, Roberto Speranza, toglie altro ossigeno alle imprese dell'intrattenimento serale e notturno, porta la data del 16 agosto ed è in vigore da ieri. Si è fatto passare il fine settimana più sospirato dell'anno, per poi applicare un nuovo blocco non tanto al divertimento, ma alla possibilità per i gestori di guadagnare dopo tante perdite. «Quattro miliardi di euro rischiano di andare in fumo, senza contare che senza una data per le riaperture siamo bloccati perché si ferma una programmazione artistica, l'organizzazione dei lavoratori», sostiene Indino a nome dell'intera categoria che vuole chiedere «compensazioni, anche Iva al 4% e Cig ai nostri lavoratori» e che ieri ha deciso di presentare ricorso immediato al Tar del Lazio contro il provvedimento restrittivo. Pierpaolo Paradiso, amministratore della discoteca Praja di Gallipoli, non ha dubbi: «Siamo diventati il capro espiatorio dei contagi in Italia anche se non è stato riportato nessun contagio in nessuna discoteca. I nostri dipendenti non riusciranno a raggiungere le giornate necessarie per avere la disoccupazione». Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, assicura un sostegno economico ma non si andrà oltre i 100 milioni di euro per un settore paralizzato in pieno agosto. «Questo è un governo di gente che non sa cosa significhi fare impresa, che non ha mai fatto niente nella vita», è stato il duro commento di Massimo Casanova, europarlamentare della Lega e proprietario del Papeete di Milano Marittima, per il quale agire «così vuol dire solo scagliarsi contro il mondo produttivo». Il ministro Speranza ha difeso la scelta sostenendo: «Non possiamo vanificare i sacrifici fatti nei mesi passati», ma rimane incomprensibile perché si sia arrivati a dover adottate «misure urgenti di contenimento e gestione dell'emergenza sanitaria» dopo aver riaperto le piste da ballo, dove il distanziamento è pura utopia. Da più di un mese si vedevano video e immagini di locali super affollati, con ragazzi che ballavano praticamente incollati gli uni agli altri. Era un rischio prevedibile dai tecnici del ministero. «Come puoi pensare che la gente in un locale non faccia quello per cui c'è andata, cioè stare insieme?», ha osservato Linus, voce storica di Radio Deejay, in un post su Instagram. «Adesso che è stata presa la decisione posso chiedermi... Ma quale imbecille di politico, governatore, sindaco o questore poteva pensare che si potessero aprire e non avere assembramenti?». Nel suo sfogo, il dj chiede: «Perché le avete fatte aprire, eravate ubriachi o interessati?». Alcuni governatori hanno cercato di evitare lo stop, come il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che proponeva discoteche aperte ma con obbligo di mascherina. La mediazione non era riuscita e Fedriga ha criticato «le contraddizioni di un'ordinanza di difficile applicazione, che colpisce duramente uno specifico settore senza avere evidenze statistiche di una correlazione tra il ballo e i casi di coronavirus». Anche il governatore del Veneto, Luca Zaia, pur definendo «innegabile che una condizione di assembramento si possa creare con più velocità in un locale notturno», non pensa che chiudere le discoteche abbia risolto il problema perché «sono attività produttive, e soprattutto qui da noi pesano tanto, anche a livello occupazionale». Attilio Fontana, presidente Regione Lombardia, sui social scrive di aver «chiesto al governo di consentire agli esercizi commerciali coinvolti il mantenimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, così come già previsto per bar e ristoranti», perché le discoteche possano rimanere aperte ma non per ballare. L'ordinanza non permette deroghe ai presidenti delle Regioni, che possono introdurre ulteriori misure solo in termini più restrittivi. «È un provvedimento di cui prendiamo atto», ha commentato il governatore della Liguria, Giovanni Toti, «abbiamo fatto il possibile per migliorarlo e renderlo meno vessatorio». Perfino il dem Michele Emiliano su Facebook ha parlato di «danni economici rilevantissimi»: il presidente della Puglia ha chiesto «al governo immediatamente un provvedimento a sostegno delle imprese, dei lavoratori e degli artisti del settore». Ma adesso i ragazzi che cosa faranno? «Ci sarà abusivismo, rave party illegali, situazioni non controllate nelle ville, sulle spiagge o in fabbriche abbandonate», prevedeva Gianni Indino all'indomani dell'ordinanza. Proprio ieri, il leader della Lega Matteo Salvini denunciava: «Mentre chiudono discoteche e locali da ballo all'aperto, a Spino d'Adda in provincia di Cremona c'è un rave party da quattro giorni e quattro notti con musica ad alto volume e centinaia di ragazzi arrivati anche dall'estero. Per imprenditori e cittadini perbene, il governo prevede restrizioni e multe. Per clandestini e abusivi, invece, tolleranza e coccole. Esiste ancora un ministro dell'Interno?».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/stop-alle-discoteche-la-parola-passa-al-tar-2647009363.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-milano-folla-di-islamici-senza-dpi-sotto-gli-occhi-di-autorita-e-volontari" data-post-id="2647009363" data-published-at="1597702844" data-use-pagination="False"> A Milano folla di islamici senza Dpi sotto gli occhi di autorità e volontari Il governicchio del doppio standard, quello che lascia scorrazzare i clandestini contagiosi per il Paese e, intanto, si prepara a ripristinare il regimetto sanitario a colpi di chiusure, non poteva certo rinunciare ad adoperare due pesi e due misure su cattolici e musulmani. Lo denuncia la Nuova Bussola Quotidiana, ricordando come venerdì 14 agosto la Cei avesse ottenuto una generosissima concessione dal Conte bis: nientepopodimeno che la possibilità, per i membri di uno stesso nucleo familiare, di sedersi l'uno accanto all'altro in chiesa. Ricorderete, d'altronde, quanto battagliare fu necessario per fare in modo che le celebrazioni eucaristiche fossero riaperte ai fedeli a maggio: servirono evidenti segni d'insofferenza dell'assemblea dei vescovi per indurre i giallorossi a ripristinare la libertà di culto. Ebbene, a fronte di tanta severità, spicca, per contrasto, l'atteggiamento permissivo delle autorità nei confronti dei musulmani. La Bussola, appunto, ha documentato che proprio venerdì scorso, nel tendone moschea di Lampugnano a Milano, non solo gli islamici non rispettavano alcuna delle norme di sicurezza concordate dalle associazioni di credo maomettano con le autorità civili, ma addirittura la loro noncuranza delle regole veniva osservata passivamente dai volontari della Protezione civile e dal personale del Comune. Entrambi presenti, ha documentato Anna Bono, con un camion all'interno dell'area della moschea (una seconda auto è arrivata al termine del rito) e due uomini con la divisa dell'organismo guidato da Angelo Borrelli. La situazione nel tendone? Nessun addetto a gestire il flusso dei fedeli, centinaia di persone assembrate, nessuna distanza di sicurezza, nessun tappeto individuale per la preghiera, zero mascherine - come invece prevedono i protocolli d'intesa siglati dalle associazioni islamiche. Il tutto, sotto gli occhi di chi dovrebbe assicurare che ogni evento pubblico, religioso o profano, si svolga nell'osservanza delle norme utili a prevenire il contagio da Covid-19. Evidentemente, nella «Milanostan» di Beppe Sala, chi s'inchina verso la Mecca non ha doveri: bastano un cartello che ricorda le regole antivirus, qualche contenitore di gel igienizzante e tutto può continuare come se il coronavirus non esistesse. L'emergenza sanitaria scatta a intermittenza: è pericolossimo recarsi ai funerali cattolici, è rischiosissimo ricevere il Corpo di Cristo dalle mani del sacerdote (una modalità di comunicarsi che evita la sacrilega dispersione di particole dell'ostia), però ammassarsi senza Dpi in un tendone adibito a moschea è del tutto privo di controindicazioni. Tanto che gli assembramenti non sono semplicemente il frutto di disobbedienza, bensì della tolleranza di Protezione civile e Comune meneghino. Siamo alle solite. I giallorossi puntano a un capro espiatorio - prima i runner, poi quelli delle arrostate di Pasquetta, ora i giovani - per nascondere i propri fallimenti. Minacciano gli italiani, ne calpestano diritti e libertà costituzionali. E intanto le minoranze, che siano clandestini in fuga, o i frequentatori di moschee poco attenti alla prevenzione del contagio, continuano a fare i loro comodi. Per queste categorie, non c'è vigile zelante, non c'è volontario puntiglioso, non c'è virologo allarmato. Al contrario: come ha lasciato intendere Franco Locatelli, numero uno del Consiglio superiore di sanità, se aumentano i casi di Covid, la colpa è di chi torna dalle ferie. Scusate se, dopo mesi di domiciliari, qualcuno ha osato andare in vacanza.