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2022-06-04
La parata di stelle per celebrare i 70 anni di regno di Elisabetta II
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(Ansa)
Quattro giorni di celebrazioni, sette volti di Elisabetta II a illuminare le pietre di Stonehenge, la gioia del popolo britannico venduta come antidoto ai veleni di Palazzo. Il Giubileo di Platino, la gran festa nazionale con cui il Regno Unito ha deciso di osannare Sua Maestà la Regina, nel settantesimo anniversario dalla sua incoronazione, è piombata su Buckingham Palace con la frescura di una brezza estiva.
La cocente delusione del divorzio regale, di una frattura fra fratelli ormai insanabile, i bollori dei Sussex sono stati spenti. Travolti da altro, un vento allegro, destinato ad accarezzare party pubblici e privati. Perché il Giubileo di Platino, per il quale il Regno Unito ha deciso di sospendere ogni sua attività fra il 2 e il 5 giugno, non è destinato a vivere solo di manifestazioni ufficiali e parate. Altre feste sono previste, feste più piccole, domestiche: micro-eventi con cui ogni suddito residente al di fuori di Londra, centro nevralgico dei quattro giorni di giubilo, è chiamato a celebrare la Regina Elisabetta. E lì, fra torce accese in onore di Sua Maestà, falò di gloria e pranzi domenicali («Big Jubilee Lunches», li hanno ribattezzati), la televisione ha trovato un suo, naturale spazio.
Il Platinum Party at the Palace, vale a dire il sontuoso concerto organizzato a Buckingham Palace nella serata di sabato, non rimarrà confinato nello spazio – altrettanto sontuoso – di Palazzo. Telecamere internazionali sono pronte a far rimbalzare ogni canzone, ogni ospite in ogni angolo del globo. In Italia, pure, dove l’evento più evento del Giubileo regale verrà trasmesso su Sky, alle 21 del 4 giugno. La musica, allora, si mescolerà alla moda, e questa allo sport, lo sport all’ambiente. La serata, di cui Buckingham Palace, le sue facciate esterne, restituiranno l’immagine, trasformandosi per una notte nel più grande schermo che il Regno Unito abbia mai conosciuto, racconterà la Regina, le sue infinite passioni. Sir David Attenborough salirà sul palco, e con questi Emma Raducanu, David Beckham, Stephen Fry, Dame Julie Andrews, The Royal Ballet ed Ellie Simmonds. I Queen, o quel che di loro resta, apriranno il concerto, Diana Ross lo chiuderà, tornando dopo quindici anni sul territorio di Sua Maestà. Trenta artisti, Andrea Bocelli, Rod Stewart, George Ezra, i Duran Duran, Alicia Keys e Hans Zimmer, si esibiranno per celebrare il lungo regno di Elisabetta II, ed Elton John, Sir Elton John, lui pure si unirà alla festa. In via virtuale, però, ché gli impegni del tour lo hanno costretto a rinunciare ad una performance dal vivo.
Il Platinum Party at the Palace, tre palchi e connessi fra loro da settanta colonne, una per ogni anno in cui Lilibet è stata sul trono, sarà l’evento dell’anno, per i sudditi britannici. Il più grande, prima della parata che, domenica, metterà fine ai festeggiamenti.
Il 5 giugno, con la Gold State Coach a guidare la marcia, la Platinum Jubilee Pageant si spingerà fino a Buckingham Palace, dove il Paese, una sola voce, intonerà God save the Queen. Allora, fra le note dell’inno nazionale, si spegnerà il Giubileo. Elisabetta II non dovrebbe assistere, non al gran finale. Non dovrebbe, ma forse lo farà. Una «sorpresa» è stata promessa ai sudditi. Forse, un incontro ufficiale e pubblico fra Sua Maestà e i Sussex, Harry, Meghan Markle, il piccolo Archie e Lilibet. Forse, una riunione armonica consumata a beneficio del popolo, sulla soglia di Buckingham Palace, fra la musica di una nazione. Forse, che forse, chissà. Che quel che è certo, alla vigilia del Giubileo e del gran concerto, brezza leggera sul bollore delle faide familiari, è solo il gossip, maggior attrattiva dell’ambito regale.
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Quattro giorni di celebrazioni, la gioia del popolo britannico venduta come antidoto ai veleni di Palazzo. Il Giubileo di Platino, la gran festa nazionale con cui il Regno Unito ha deciso di osannare Sua Maestà, nel settantesimo anniversario dalla sua incoronazione, è piombata su Buckingham Palace con la frescura di una brezza estiva. Da David Beckham a Elton John, i Queen, i Duran Duran, Andrea Bocelli, Rod Stewart, George Ezra, Alicia Keys e Hans Zimmer si esibiranno per celebrare il lungo regno della Regina.Quattro giorni di celebrazioni, sette volti di Elisabetta II a illuminare le pietre di Stonehenge, la gioia del popolo britannico venduta come antidoto ai veleni di Palazzo. Il Giubileo di Platino, la gran festa nazionale con cui il Regno Unito ha deciso di osannare Sua Maestà la Regina, nel settantesimo anniversario dalla sua incoronazione, è piombata su Buckingham Palace con la frescura di una brezza estiva.La cocente delusione del divorzio regale, di una frattura fra fratelli ormai insanabile, i bollori dei Sussex sono stati spenti. Travolti da altro, un vento allegro, destinato ad accarezzare party pubblici e privati. Perché il Giubileo di Platino, per il quale il Regno Unito ha deciso di sospendere ogni sua attività fra il 2 e il 5 giugno, non è destinato a vivere solo di manifestazioni ufficiali e parate. Altre feste sono previste, feste più piccole, domestiche: micro-eventi con cui ogni suddito residente al di fuori di Londra, centro nevralgico dei quattro giorni di giubilo, è chiamato a celebrare la Regina Elisabetta. E lì, fra torce accese in onore di Sua Maestà, falò di gloria e pranzi domenicali («Big Jubilee Lunches», li hanno ribattezzati), la televisione ha trovato un suo, naturale spazio. Il Platinum Party at the Palace, vale a dire il sontuoso concerto organizzato a Buckingham Palace nella serata di sabato, non rimarrà confinato nello spazio – altrettanto sontuoso – di Palazzo. Telecamere internazionali sono pronte a far rimbalzare ogni canzone, ogni ospite in ogni angolo del globo. In Italia, pure, dove l’evento più evento del Giubileo regale verrà trasmesso su Sky, alle 21 del 4 giugno. La musica, allora, si mescolerà alla moda, e questa allo sport, lo sport all’ambiente. La serata, di cui Buckingham Palace, le sue facciate esterne, restituiranno l’immagine, trasformandosi per una notte nel più grande schermo che il Regno Unito abbia mai conosciuto, racconterà la Regina, le sue infinite passioni. Sir David Attenborough salirà sul palco, e con questi Emma Raducanu, David Beckham, Stephen Fry, Dame Julie Andrews, The Royal Ballet ed Ellie Simmonds. I Queen, o quel che di loro resta, apriranno il concerto, Diana Ross lo chiuderà, tornando dopo quindici anni sul territorio di Sua Maestà. Trenta artisti, Andrea Bocelli, Rod Stewart, George Ezra, i Duran Duran, Alicia Keys e Hans Zimmer, si esibiranno per celebrare il lungo regno di Elisabetta II, ed Elton John, Sir Elton John, lui pure si unirà alla festa. In via virtuale, però, ché gli impegni del tour lo hanno costretto a rinunciare ad una performance dal vivo. Il Platinum Party at the Palace, tre palchi e connessi fra loro da settanta colonne, una per ogni anno in cui Lilibet è stata sul trono, sarà l’evento dell’anno, per i sudditi britannici. Il più grande, prima della parata che, domenica, metterà fine ai festeggiamenti. Il 5 giugno, con la Gold State Coach a guidare la marcia, la Platinum Jubilee Pageant si spingerà fino a Buckingham Palace, dove il Paese, una sola voce, intonerà God save the Queen. Allora, fra le note dell’inno nazionale, si spegnerà il Giubileo. Elisabetta II non dovrebbe assistere, non al gran finale. Non dovrebbe, ma forse lo farà. Una «sorpresa» è stata promessa ai sudditi. Forse, un incontro ufficiale e pubblico fra Sua Maestà e i Sussex, Harry, Meghan Markle, il piccolo Archie e Lilibet. Forse, una riunione armonica consumata a beneficio del popolo, sulla soglia di Buckingham Palace, fra la musica di una nazione. Forse, che forse, chissà. Che quel che è certo, alla vigilia del Giubileo e del gran concerto, brezza leggera sul bollore delle faide familiari, è solo il gossip, maggior attrattiva dell’ambito regale.
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Andrea Sempio (Ansa)
Un attacco frontale. Ribadito anche commentando i risultati dell’incidente probatorio genetico-forense depositati dalla perita genetista Denise Albani: «L’ennesimo buco nell’acqua a spese del contribuente, ho perso il conto, tutto per alimentare un linciaggio mediatico di innocenti, sbattuti da mesi in prima pagina».
Il punto è che queste parole, pronunciate per demolire l’impianto accusatorio delle nuove indagini, finiscono per sbattere contro un dettaglio che l’avvocato Aiello (che aveva chiesto di trasferire il fascicolo da Pavia a Brescia «per connessione» ottenendo un rigetto) tiene da parte: fu proprio Venditti, nel 2016, a iscrivere il fascicolo (poi archiviato) su Andrea Sempio sulla base quasi degli stessi presupposti che anche all’epoca sembravano non tenere conto dell’intangibilità del giudicato, ovvero la sentenza definitiva di condanna a 16 anni per Stasi. Tant’è che furono richieste (proprio da Venditti e dalla collega Giulia Pezzino) e poi disposte dal gip perfino intercettazioni di utenze e, in ambientale, di automobili (attività che, proprio come quelle odierne, non sono gratuite). Anche la critica sulla prova genetica nasce zoppa. La genetista Albani, incaricata nell’incidente probatorio, ha depositato una relazione di 94 pagine che evidenzia gli stessi limiti già noti all’epoca: «L’analisi del cromosoma Y non consente di addivenire a un esito di identificazione di un singolo soggetto». Ma, nonostante le criticità, i calcoli mostrano una corrispondenza «moderatamente forte/forte e moderato» tra le tracce di Dna sulle unghie di Chiara Poggi e l’aplotipo Y della linea paterna di Sempio. La conclusione è matematica: per la traccia «Y428 – MDX5», la contribuzione di Sempio è «da 476 a 2153 volte più probabile». Per la «Y429 – MSX1» è «approssimativamente da 17 a 51 volte più probabile». Non un’assoluzione, non una condanna, ma un dato: Sempio, o un soggetto imparentato in linea paterna con lui, ha contribuito a quelle tracce biologiche. La genetista avverte: «L’analisi del cromosoma Y non consente di addivenire a un esito di identificazione di un singolo soggetto». Ricorda però un passaggio importante: che la mancata replica (in genetica forense un risultato è considerato affidabile solo se può essere riprodotto più volte) è dovuta a «strategie analitiche adottate nel 2014» dal perito Francesco De Stefano, che «hanno di fatto condizionato le successive valutazioni perché non hanno consentito di ottenere esiti replicati». Ovvero: non è colpa delle nuove indagini se i dati sono lacunosi, ma degli errori di allora.
La relazione (di 94 pagine) sostanzialmente non si discosta da quella già effettuata in passato dal professor Carlo Previderé, che nulla aggiunge su come e quando quelle tracce del profilo «Y» sino finite sulle unghie di Chiara. «Nel caso di specie», scrive infatti la genetista, «si tratta di aplotipi misti parziali per i quali non è possibile stabilire con rigore scientifico se provengano da fonti del Dna depositate sotto o sopra le unghie della vittima e, nell’ambito della stessa mano, da quale dito provengano; quali siano state le modalità di deposizione del materiale biologico originario; perché ciò si sia verificato (per contaminazione, per trasferimento avventizio diretto o mediato); quando sia avvenuta la deposizione del materiale biologico».
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Nel riquadro Nathan Trevallion, il papà della cosiddetta famiglia nel bosco, firma il contratto della nuova casa (Ansa)
I documenti sono stati depositati nell’udienza di ieri pomeriggio, dove avrebbero dovuto essere ascoltati Catherine Birmingham e Nathan Trevallion. Si tratta della coppia anglo-australiana che viveva con i tre figli minori, nella casa nel bosco, ma la coppia non era presente in aula. I genitori stanno combattendo per riottenere i bambini, lontani dalla casa nel bosco ormai da 14 giorni. Le importanti relazioni esaminate in aula sono una della casa-famiglia in cui i minorenni sono ospitati dal 20 novembre e l’altra dei servizi sociali. I ragazzi, dall’inizio della loro permanenza nella casa-famiglia in cui sono ospitati, sarebbero tranquilli e non avrebbero subito traumi, incontrano spesso la madre che viene considerata punto di riferimento dei piccoli e che sarebbe anche molto empatica. E anche il padre, pur vivendo ancora nella casa nel bosco, si prende cura dei figli.
Secondo la relazione, i bambini Trevallion hanno mostrato sorpresa davanti ai comfort moderni che trovano nella casa famiglia come l’acqua corrente sempre disponibile, il riscaldamento, gli elettrodomestici. Tutte cose che per i coetanei sono la normalità, ma per loro rappresentano una scoperta. All’udienza di comparizione, iniziata ieri verso le 15.30, erano presenti i due avvocati della famiglia, Marco Femminella e Danila Solinas. Sono loro che hanno chiesto un ricongiungimento urgente al tribunale minorile per la famiglia, presentando delle nuove argomentazioni alla luce di nuovi elementi che non erano conosciuti al tempo dell’ordinanza che ha separato genitori e figli. Anche i minori hanno un loro avvocato, Marica Bolognese. Maria Luisa Palladino è la tutrice provvisoria dei tre bambini.
I genitori hanno anche presentato ricorso, sulla decisione di allontanare i figli minori, alla Corte d’appello che dovrà decidere il 16 dicembre. Intanto, ieri si è iniziato a valutare l’impegno della coppia per garantire quanto disposto dal magistrato in termini di adeguatezza dell’ambiente domestico. La coppia ha deciso di cambiare abitazione per tre mesi, gli è stata messa a disposizione una casa colonica, sempre a Palmoli, immersa nel verde, dove resterà il tempo necessario per sistemare il casolare in cui abitava. A quanto sembra, però, si attende ancora un progetto di ristrutturazione della vecchia abitazione e in Comune a Palmoli non è stata ancora avviata alcuna procedura in merito. «Abbiamo fiducia nella magistratura, speriamo nel ricongiungimento, forniremo altri elementi utili, ma per ora non possiamo dire nulla», ha spiegato l’avvocato Solinas, assediata dai cronisti, all’ingresso del Tribunale per i minorenni dell’Aquila. «Stiamo lavorando bene», ha detto rispondendo alle domande dei giornalisti riferite alla strategia difensiva da attuare in udienza.
E anche all’uscita, i toni della Solinas e di Femminella erano distesi: «È stato un momento di colloquio, di confronto, di chiarimento e quindi di condivisione di un percorso. La decisione spetta al tribunale. L’udienza è il luogo deputato all’interlocuzione, al confronto è stata un’udienza assolutamente proficua, lunga. Si prospetta una proficua collaborazione». «Tra gli elementi che sono valutati in maniera positiva dal tribunale c’è sicuramente la disponibilità dei genitori in questi giorni», hanno aggiunto i due legali, che però non hanno potuto nemmeno ipotizzare quando i giudici scioglieranno la riserva. «Le tempistiche non le posso prevedere», ha risposto la Solinas ai cronisti. Non è chiaro, quindi, se la decisione del Tribunale dei minori arriverà prima o dopo quella della Corte d’appello.
Nelle due ore di udienza sono stati valutati su richiesta degli avvocati dei Trevallion i nuovi aspetti non conosciuti al momento dell’ordinanza di allontanamento del 20 novembre, questo per ottenere l’accoglimento della richiesta di ricongiungimento urgente per la famiglia, che sarà decisa nei prossimi giorni.
Intanto ieri il portavoce di Pro vita & famiglia, Jacopo Coghe, ha consegnato oltre 50.000 firme al ministero della Giustizia, raccolte dalla onlus con una petizione popolare rivolta al ministro Carlo Nordio per chiedere l’immediato ricongiungimento della famiglia Trevallion. «Il caso è diventato il simbolo di una deriva pericolosa, ovvero quando lo Stato, invece di sostenere i genitori, si sostituisce a loro. Così facendo calpesta il diritto dei minori a crescere con il proprio padre e la propria madre e lede il primato educativo che spetta alla famiglia», ha spiegato Coghe.
«In attesa di novità, speriamo positive, dall’udienza al Tribunale dei minori dell’Aquila di oggi pomeriggio (ieri, ndr)», aggiunge Coghe, «chiediamo al ministro Nordio di fare tutto quanto in suo potere affinché questa famiglia venga riunita e simili casi non si ripetano più. Non esiste tutela dei bambini senza rispetto dei loro genitori».
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La famiglia Trevallion-Birmingham
Il ragionamento non fa una grinza: i bambini sottratti ai propri genitori non erano maltrattati ed erano in regola con il programma scolastico nonostante non frequentassero una scuola (proprio come gli Amish). Il loro unico «difetto» è che vivevano nel bosco, senza i servizi igienici dei loro coetanei a disposizione. Lasciamo perdere il fatto che molti italiani fino agli anni Sessanta, e alcuni anche dopo, sono cresciuti nelle stesse condizioni, ma se vale il principio che i bambini devono vivere in un’abitazione adeguata, che facciamo con i figli dei rom? Crescere in una baracca o in una roulotte senza servizi igienici è meglio che vivere in una casupola nel bosco? Se il problema è la qualità dell’alloggio, perché ai rom non tolgono i bimbi ma, anzi, servizi sociali e giudici li lasciano crescere in condizioni a dir poco precarie, senza tutele né istruzione? Tra le accuse che pare siano state mosse ai genitori dei piccoli c’è la mancata socializzazione. Ne deduco che, se i minori rom non vengono tolti ai rispettivi papà e mamma, ci sono assistenti sociali e giudici secondo cui vivere a fianco di chi ruba il portafogli o la catenina è un modo di socializzare.
Ho letto la relazione degli educatori della casa-famiglia di Vasto in cui, dal 20 novembre, vivono i bambini della famiglia Trevallion. A quanto ho capito, i minori sottratti per ordine del giudice ai legittimi genitori non mostrano affatto i segni di un degrado educativo o affettivo. Sono bambini normali, cresciuti con mamma e papà in mezzo al bosco. Sono stupiti dall’acqua corrente o dalla luce elettrica. E allora? Con la madre hanno un approccio sereno e con il padre pure. Quando lui li va a visitare porta con sé frutta, oggetti utili, piccoli pensieri per moglie e figli. E quando i bimbi rivedono il papà, «sono momenti di gioia autentica». «I figli lo accolgono con grande calore» e, dopo i saluti, tornano a giocare con naturalezza. «Una dinamica che suggerisce autonomia e assenza di quell’ansia da separazione tipica dei contesti traumatici». E allora, perché portarli via ai genitori? Perché vivono in una comunità neo rurale a cui l’opinione pubblica (o, forse, qualche assistente sociale e magistrato) non è abituata?
Ma chi decide quale progetto domestico sia giusto applicare? Chi, soprattutto, stabilisce se uno stile di vita debba essere distrutto perché non rientra nella norma? I quesiti non sono cosa da poco, perché aprono lo spazio a diverse riflessioni. Alle bambine che crescono in alcune comunità islamiche è consentita la socializzazione? E nel caso fossero costrette a vivere in un ambiente chiuso, che non si relaziona con bambine di altre culture, sarebbe giusto sottrarle ai genitori prima che si ripeta un caso Saman Abbas? Aggiungo anche questa ulteriore considerazione: dato che ci sono figli che crescono in ambienti malsani, non per via dei servizi igienici ma per la contiguità criminale, perché assistenti sociali e giudici non se ne occupano prima che qualche minorenne educato alla violenza accoltelli un coetaneo?
Le mie potrebbero sembrare provocazioni, ma non lo sono. Sono semplici osservazioni: se deleghiamo allo Stato la scelta di come e dove crescere i figli, la logica conseguenza è che i bimbi non saranno più nostri, ma dello Stato. Come in ogni regime.
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