Dove vuol andar a parare Stellantis in Italia? La domanda che si pongono da mesi economisti e politici non riesce a trovare una risposta convincente. A meno che non si voglia considerare convincente la tesi dell’azienda secondo la quale il nostro resta un mercato centrale e l’obiettivo di vendere un milione di vetture all’anno è ancora alla portata della multinazionale franco-italiana. Il problema è che questa tesi si scontra con i fatti: oggi la produzione è poco sopra quota 500.000 vetture (esclusi i veicoli commerciali leggeri) e tutti gli stabilimenti fanno un’enorme fatica. Mirafiori, che assembla Maserati e 500e, tra cassa integrazione e solidarietà, è praticamente ferma. Melfi arranca e si porta dietro l’indotto che rappresenta buona parte della ricchezza di quell’area. Pomigliano ha appena scioperato e le sicurezze sui posti di lavoro e sulle batterie «realizzate» nella nascente gigafactory di Termoli iniziano a vacillare. Si potrebbe continuare, ma non è solo un problema di numeri. Anzi. Quelli volendo è possibile ribaltarli, se ci fosse una strategia lungimirante. Ma non esiste. Stellantis in Italia punta sul full electric, la nuova frontiera che però non sfonda. Soffre in generale e ancor di più in Italia dove la quota è ferma tra il 2 e il 4% contro il 14% medio dell’Europa, e dove (eccezion fatta per il centro delle grandi città) si fa davvero fatica a capire perché una «famiglia media» debba acquistare un’auto da almeno 25.000 euro, con scarsissima autonomia e alti costi di manutenzione. Di ragioni ce ne sono poche. E per questo nella prima parte dell’anno in Italia sono state vendute circa 500 (scusate il gioco di numeri) 500e, mentre a livello globale le immatricolazioni di 600e raggiungono a malapena quota 2.600 unità (la maggior parte in Francia). Il punto è che se aspettiamo di svelare l’arcano rischiamo di perdere anche quel po’ di produzione e lavoro che Stellantis garantisce all’Italia. Serve un cambio di visione. E alcuni spunti arrivano dagli ottimi dati delle vendite dei veicoli commerciali. Autobus di linea, autocarri, furgoni di piccola grande e media dimensione, auto da noleggio ecc. Nel primo quadrimestre 2024 «i commerciali» del gruppo hanno confermato la leadership nel mercato italiano. Ad aprile la casa fronco-italiana ha immatricolato oltre 6.360 veicoli commerciali arrivando nell’anno a quota 30.000 (41,3% del totale). Fiat Professional è il brand leader (18.250 immatricolazioni) grazie in particolare al Ducato, con oltre 7.500 immatricolazioni, e al Doblò van.
Ma non ci sono solo il Ducato e il Doblò. Nello stabilimento di Atessa (Chieti) vengono realizzati, sempre nel segmento dei Large Van, anche il Peugeot Boxer, Citroën Jumper e Opel Movano. Ecco un primo passo per Stellantis in Italia sarebbe quello di garantire la produzione italiana dei veicoli commerciali. Anzi di rafforzarla. E qui torna in ballo il discorso dell’elettrico.
Fatte le debite distinzioni tra due diversi segmenti di mercato, proprio la scarsa quota di veicoli elettrici rappresenta uno dei segreti del successo dei veicoli commerciali rispetto ai privati. «Le normative europee», spiega alla Verità il segretario nazionale della Uilm Gianluca Ficco, «impongono di vendere delle quote di veicoli elettrici, pena severe multe. Ovvio che ciascuna casa faccia delle scelte ed è altrettanto naturale che le aziende di automotive preferiscano continuare a produrre e vendere più veicoli commerciali diesel e benzina perché sono quelli che trasportano merci e necessitano di avere garanzie sulle lunghe percorrenze che a oggi l’elettrico non dà». Insomma, nei veicoli commerciali ancor di più che per le vetture dei privati si percepisce quanto il consumatore sia restio a passare all’elettrico e quanto la nuova tecnologia sia immatura. E non è solo una questione di motori. «C’e anche», continua il sindacalista, «un discorso di know how e di eccellenza italiana nel settore. Il sito di Atessa riesce a fornire un mix produttivo e una capacità di assemblaggio dei diversi veicoli con molteplici varianti dello stesso modello che ha pochi pari. Per non parlare dell’Iveco e del modello Daily prodotto a Suzzara. Non chiediamo solo garanzie sui siti, ma anche iniziative per tutelare l’indotto, un grande bacino di occupazione per quelle aree».
Il governo continua a incalzare, diversi i tavoli convocati, l’azienda che intanto ha subito una sforbiciata del target price (prezzo obiettivo) da parte di Barclays. La banca Usa pensava che il titolo valesse 28,50 euro e adesso, complici gli ultimi conti deludenti, non lo quota sopra i 24 euro. Insomma, i campanelli d’allarme si moltiplicano e anche il management (il direttore finanziario Natalie Knight in testa) apre alla possibilità di offrire versioni termiche di alcuni modelli inizialmente lanciati come veicoli solo elettrici. Si parla della Jeep Recon e della Wagoneer S, ma anche delle nuove Alfa Romeo Stelvio e Giulia. Speriamo sia un viatico che porti buone nuove (la produzione di modelli ibridi) anche per l’Italia.






