2024-12-11
«Ho visto Craxi piangere per Moro. Ai giornalisti serve un po’ di anarchia»
Stella Pende (Pigi Cipelli)
Stella Pende, che su Rete 4 conduce «Confessione reporter»: «Provocai Gheddafi e lui mi parlò per due ore. Sapeva tutto del Medio Oriente, mi disse che il conflitto arabo-israeliano terminerà con la fine del mondo».A differenza di David Locke, giornalista in crisi esistenziale interpretato da Jack Nicholson in Professione reporter, film del 1975 diretto da Michelangelo Antonioni, che finiva per sostituire i suoi dati anagrafici con quelli di un uomo trovato morto in Africa, Stella Pende, romana, classe 1951, conferma la propria identità. E lo fa con la quattordicesima edizione del programma, da lei ideato e condotto, Confessione reporter, partito con la prima puntata il 23 novembre 2024, su Rete 4, il sabato sera, in seconda serata, in cui la nota giornalista tratta un genere a lei caro, l’inchiesta. Incominciò da bambina a scrivere?«A sei anni. Poi, molto giovane, ho iniziato a collaborare con Panorama, quando un bravo redattore mi catturò». Le prime inchieste…«Ricordo che, alle inchieste, si lavorava in cinque o sei. Emilia Granzotto ci metteva in fila facendoci raccogliere dati, storie, interviste. Noi, sgarrupati collaboratori, portavamo gli appunti. Ci passava in rassegna e poi si metteva alla macchina da scrivere. Lei continuava fino all’alba per consegnare il pezzo».Prima di tornare a Panorama passò all’Occhio.«Devo molto a Maurizio Costanzo, perché mi ha assunto, con altri ragazzi giovani. Il mio vicino di scrivania era Gianni Mura. Mi ha insegnato molto, perché venivo dal settimanale, tipo: “L’attacco si fa così…”». In un film del 1948, Chiamate nord 777, un giornalista, interpretato da James Stewart, riusciva a far liberare un detenuto innocente. Il giornalismo di oggi può ottenere risultati simili?«No, c’è pochissimo giornalismo investigativo serio. Quando sono stata, con Emma Bonino, a Chicago, nel braccio della morte, incontrammo un detenuto nero, che arrivò con la palla di ferro al piede. Arrestato a 15 anni perché era in una banda. Si laureò in legge, in carcere. Faceva l’avvocato difensore perché, allora, non esisteva nero che potesse averne uno. Poi, alla Columbia University, incontrammo giornalisti investigativi che tiravano fuori dalla prigione un sacco di gente. Sarà stato, forse, il 1992». Nelle prime due puntate, inchiesta sui penitenziari italiani. Problema sovraffollamento: 60.637 detenuti, di cui 18.958 stranieri. La capienza regolamentare è di 51.347. Suicidi: 4-5 al mese. «Abbiamo avuto l’illusione di accendere una piccola luce per persone al buio. Siamo andati a Regina Coeli, a San Vittore, ma anche a Bollate, un carcere modello. Il mondo carcerario è cambiato. Una volta c’erano i criminali-divi, Turatello, Vallanzasca, Riina... Ora il 70-80% dei detenuti sono tossicodipendenti e psichiatrici. Il carcere finisce per diventare una sorta di welfare, perché non ci sono altri posti dove mandare questi detenuti, ad esempio comunità».Capita non di rado che in carcere finisca un innocente.«Come Beniamino Zuncheddu (definitivamente assolto nel gennaio 2024, dopo 32 anni di reclusione, nda). Mi ha raccontato che stavano in undici in una cella a Badu ‘e Carros, con un solo bagno a vista». Negli istituti di pena italiani si verificano violenze, anche di carattere sessuale?«Penso si siano ridotte. I detenuti che si sono macchiati di reati sessuali, ad esempio a Bollate, fanno corsi e sono aiutati da psichiatri. Il problema della violenza può essere legato anche agli agenti penitenziari. Pensiamo alle torture ai detenuti nei carceri di Foggia e Trapani. Spesso gli agenti diventano anche vittime, perché fanno orari mostruosi, fino a 14-15 ore».Nella terza puntata il tema dell’escalation del consumo di Fentanyl, oppioide sintetico, 100 volte più potente della morfina e 50 più dell’eroina.«È una droga per poverissimi. Costa poco. Siamo andati a Philadelphia, immagini raccapriccianti, un mondo di zombie. Ma tanti si fanno non solo di Fentanyl, ma anche di tranq, un anestetico per rinoceronti o animali di grossa taglia». L’uso non ospedaliero del Fentanyl si riscontra anche in Italia? «Sandra Magliani è andata a Rogoredo. I primi effetti del Fentanyl sono la caduta dei denti e di brandelli di carne. Alcune associazioni hanno osservato piaghe di questo tipo. Chi abbiamo intervistato in Usa arriva spesso da operazioni chirurgiche molto dolorose». Nella quarta puntata (in onda sabato) il tema dei «figli di nessuno», bambini, diventati adulti, le cui madri hanno deciso di non crescerli. «Sono sempre di più, come la ragazza che ha seppellito i due neonati, la neonata partorita nel night club di Padova… Una volta erano abbandonati e finivano negli ospedali. Al San Giovanni, a Roma, c’è stata, fino a poco tempo fa, una corsia per il parto delle cosiddette “celate”, con un lenzuolo bianco sulla faccia. Ora ci sono associazioni che aiutano questi figli a cercare la loro madre».Qualora la madre opponesse un rifiuto?«Abbiamo intervistato una donna che, a 17 anni, ha scoperto di essere stata adottata. Ha girato per tutti i cimiteri della provincia di Cuneo per cercare nelle tombe il volto della madre. L’ha ritrovata ma, purtroppo, era morta. Però poi ha trovato delle lettere, dove sua madre scriveva che l’ha cercata tutta la vita». Nell’ottobre 2000, nel Sahara, ha intervistato, per Panorama, Muammar Gheddafi, chiedendogli del destino del conflitto israelo-palestinese. «“Finirà mai il conflitto?” gli domandai. Lui: “Certo che finirà. Ma con la fine del mondo”. Sapeva tutto dei Paesi arabi. All’inizio rispondeva a monosillabi. Gli ho chiesto: “Senta, ha tanti figli, chi prenderà il testimone?”. S’infuriò: “Io non sono il leader della Libia. Il leader è il popolo”. E io: “Questa intervista non vale niente. Allora è uno scoop. Perché scriverò che Gheddafi in Libia non conta niente”. Da lì mi tenne due ore». Cosa pensò quando l’ex leader libico fu giustiziato? «Pur essendosi macchiato di crimini feroci, era l’unico che poteva tenere insieme migliaia di tribù. Morto lui, la Libia si è disintegrata. Noi non l’avremmo mai ammazzato. Berlusconi non l’avrebbe mai fatto. Sono stati i francesi, in collaborazione con gli americani, che l’hanno fatto prendere e ammazzare. Avevamo un video acquistato in Libia. Nessuno di noi inviati l’ha mai pubblicato. Era atroce. Dopo la cattura, i rivoltosi l’hanno torturato e ucciso infilandogli un Kalashnikov nell’ano, fuoriuscito dallo stomaco». Qualcuno ipotizza che sia stato Gheddafi a ordinare la strage alla stazione di Bologna, in collaborazione con il Fnlp, per la violazione del lodo Moro.«Io non ci credo». A proposito del caso Moro, non ritiene sia un’ipocrisia che lo Stato continui a considerare ufficiale una verità che, come ha detto Maria Fida Moro, è una «non verità»?«Certo che lo è. Tra l’altro non hanno voluto trattare. L’unico che voleva farlo era Craxi. Stavo facendo un’intervista con lui. Si alzò. Parlò al telefono e tornò con le lacrime agli occhi. Dall’altro capo del filo, Spadolini gli diceva che la Dc non trattava».Qual è il personaggio italiano da lei intervistato che le è parso più sincero?«Cesare Musatti, lo psichiatra. Aveva già l’ossigeno. L’avevo chiamato cento volte per intervistarlo e poi mi disse: “Venga signora Pende, altrimenti, con questa insistenza, mi fa morire prima”. Sono andata. Sembrava un capo Sioux, questi capelli bianchi e occhi azzurri, il filo dell’ossigeno che gli attraversava la faccia. Mi raccontò di una suora di 25 anni che lo assisteva: “Ti rendi conto cosa vuol dire, a 90 anni, essere accarezzato da una suora?”. Poi non gli stava tanto simpatico Wojtyla. Secondo me è stato il più sincero». Il problema più evidente nel giornalismo di oggi, stampato o televisivo?«Fa pochissimo approfondimento e troppi talk show. Le trasmissioni importanti arrivano all’ora dei vampiri».Max Weber ha scritto che il giornalista dovrebbe essere una sorta di paria, di anarchico, distanziato da tutto.«Ha ragione Max Weber. Credo che il giornalista debba essere non privo di opinioni, ma privo di giudizi. Un po’ di anarchia va bene».Vedendo l’assurdo dolore del mondo, è mai andata in crisi, come il David Locke di Professione reporter? «No, in zona di guerra o davanti a grandi dolori, metto l’anestesia e saltano fuori dopo. Kapuscinski diceva che la paura è più intelligente del coraggio».«Saltano fuori dopo», ha detto.«Poi ti rimane un tatuaggio di dolore dentro». La cosa che la fa più arrabbiare…«La violenza e la prepotenza della voce. Sono stata fortunata perché i miei direttori non mi hanno mai umiliato. Altri personaggi invece… Subire un’umiliazione è la cosa che più mi fa arrabbiare».E quella che, invece, la gratifica di più?«Cantare una canzone in maniera intonata. Mi piacciono soprattutto Lucio Dalla e Gianna Nannini. E poi l’amicizia, perché ho una grande amica. La mia migliore amica è la compagna del padre di mio figlio, Myrta Merlino. Siamo una famiglia molto allargata».Per chi non lo sapesse, il padre di suo figlio è Marco Tardelli. La giornalista e il calciatore.«Marco è una mia gamba. Non è che gli voglio bene perché ho avuto un figlio da lui. Io gli voglio proprio bene. È una delle persone più pure che conosca. Sa qual è la sua battuta preferita?».Quale? «Marco dice che nostro figlio, Nicola, che ha 33 anni, ha preso i piedi della madre e il cervello del padre. Capito?».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)