2023-08-28
Castori, cimici e tintinnar di sciabole
Un presidente emerito della Consulta attacca «tarli e parassiti». E «La Stampa» sprona Sergio Mattarella: «I discorsi non bastano più».Allora, mettiamola così: Sergio Mattarella è un castoro che quotidianamente costruisce argini a difesa della Costituzione; tutti gli altri, a cominciare da Roberto Vannacci per finire all’attuale maggioranza di governo, sono parassiti che cercano di corrodere i principi fondamentali su cui si basa la repubblica italiana. Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte costituzionale e uno dei grandi vecchi della scuola di Torino che da anni condiziona - e purtroppo non in meglio - il diritto italiano, non usa mezzi termini nel suo intervento sul quotidiano di casa Agnelli. Per mettere in chiaro che i valori della Carta su cui si regge il nostro Paese sono sotto attacco, su Repubblica definisce chiunque abbia un pensiero critico rispetto agli argomenti in discussione «cimice, tarlo, parassita» eccetera. E per fortuna che a essere accusato di rivolgere con il suo libro insulti pesanti nei confronti delle minoranze è Vannacci. Come ha chiarito sulla Stampa Lucetta Scaraffia, una delle poche commentatrici che prima di scriverne lo ha letto, il libro del generale della Folgore non è né omofobo né razzista, ma è semplicemente un libro coraggioso, che esprime opinioni di buon senso.Dunque, dove stanno le cimici che succhiano il sangue della democrazia e vivono a spese di chi li ospita? Dove sono i parassiti che si nutrono a danno della Costituzione e sfruttandone i valori? Probabilmente abitano solo nella testa dell’ex giudice costituzionale, il quale forte del suo concetto di supremazia degli Illuminati, non riesce neppure a concepire che esista la possibilità di avere un pensiero diverso dal suo e quando qualcuno manifesta perplessità non esita a usare le parole forti. Non siamo molto distanti dal dire che un oppositore è un cane o una canaglia. Paradossalmente, il discorso di chi si è autonominato difensore dei principi costituzionali e dei diritti universali, quali «uguaglianza, solidarietà, amicizia tra i popoli, asilo per gli stranieri perseguitati, cultura, eccetera», non è diverso da quello di un qualunque dittatore che agli oppositori toglie qualsiasi parvenza umana, definendoli animali di cui liberarsi con una disinfestazione. Ma se su Repubblica questo è il clima, sull’altra testata di casa Agnelli, cioè di uno dei principali gruppi industriali del Paese, non si respira un’aria molto diversa. Il direttore della Stampa Massimo Giannini, dopo aver definito uno sfacelo la pubblicazione di un libro, si profonde in sperticate lodi nei confronti di Mattarella, giudicando il suo discorso al Meeting di Rimini un manifesto etico e morale. Il termine non è usato a caso, in quanto subito dopo non soltanto si chiarisce che lo scontro prossimo venturo avverrà tra l’attuale maggioranza di governo e il presidente della Repubblica, ma quasi a voler tirare l’uomo del Colle per la giacchetta si aggiunge che anche per Mattarella verrà il tempo delle scelte, perché «di fronte ai fatti compiuti, purtroppo, non basteranno più né la moral suasion né le prediche utili e bellissime come quella di Rimini». E allora, per seguire il discorso di Giannini, che cosa servirà? Una definitiva «discesa in campo» del capo dello Stato? Che cosa auspicano Zagrebelsky e Giannini, che il castoro del Quirinale smetta i panni di costruttore di argini costituzionali contro i nuovi barbari per guidare l’offensiva contro «cimici, tarli e parassiti»? Da tempo assistiamo a un’élite che non si rassegna non soltanto a essere stata battuta alle elezioni, ma pretende di impedire a chi ha vinto di poter governare e, il caso Vannacci ne è un esempio, perfino di poter esprimere opinioni che, pur essendo largamente condivise nel Paese, non trovano spazio sulla maggioranza dei media. Ciò che questa élite auspica è un golpe democratico, una presa del potere attraverso gli apparati dello Stato, ovvero un condizionamento pesante della burocrazia e delle istituzioni, al fine di impedire che il governo scelto dagli italiani possa governare. Il caso Vannacci è una spia del sentimento di una classe dirigente che rifiuta la realtà e inventa pericoli inesistenti per giustificare le proprie azioni. Siamo di fronte a una democrazia in libertà vigilata, dove basta un libro per evocare, come sempre La Stampa ha fatto, controlli sull’esercito per impedire che spuntino altri Vannacci. Il tintinnio di sciabole funzionò negli anni Sessanta e Settanta per evitare cambiamenti, chissà che a distanza di oltre mezzo secolo serva ancora a spaventare gli italiani.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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