2024-04-26
Mentre «Avvenire» fa da megafono all’Anpi, tacendo i crimini delle brigate comuniste, «Rep» e «Stampa» fanno scorpacciate di retorica sulla libertà. Garantita però, e il Covid lo dimostra, solo a chi esegue gli ordini.Vale la pena ogni anno di aspettare il 25 aprile soltanto per scorrere la rassegna stampa e compiacersi della faccia tosta che solo i media italiani sono capaci di sfoderare. La festa della Liberazione, al solito, garantisce scorpacciate di retorica e di banalità a basso prezzo, ma tutti gli anni i quotidiani sono in grado di escogitare qualcosa di nuovo e meravigliosamente sorprendente.Particolarmente suggestivo, per cominciare, il titolo di prima pagina di Avvenire: «Povertà, mafie e violenza. La resistenza è ancora viva». Si può dire che, con questo, il giornale dei vescovi abbia completato la mutazione e sia diventato Il Manifesto. Stupisce solo che non abbiano chiesto un editoriale a Luca Casarini, che con i prelati è di casa, ma non dubitiamo che presto saremo accontentati. Sotto al titolone, Avvenire ha piazzato ieri una bella foto di due ragazze con i fazzoletti dell’Anpi, avvolte in una bandiera arcobaleno della pace.Niente di male, per carità. Va benissimo che il cattolicesimo vescovile si unisca alle celebrazioni della ricorrenza laica, che condivida i valori espressi dal fronte progressista e che richiami all’azione politica sulle «grandi battaglie del presente», come le definisce. Colpisce soltanto il tono enfatico degli articoli e della sloganistica, la convinzione con cui il quotidiano curiale ribadisce «Ora e sempre resistenza!» (scritto così, con punto esclamativo). Non ci risulta, infatti, che la visione del mondo espressa dalla Chiesa abbia sempre coinciso con quella veicolata dall’Anpi, anzi. Diciamo che - almeno in virtù di una lucida riflessione storica - si consiglierebbe un filo di prudenza in più, o appena un po’ di distacco dalla retorica dei partigiani rossi. Giusto qualche giorno fa ricorreva l’anniversario della morte del beato Rolando Rivi, seminarista quattordicenne della provincia di Reggio Emilia che fu rapito da casa da un gruppo di partigiani comunisti il 10 aprile 1945. Il ragazzo fu accusato di essere una spia fascista: per tre giorni lo presero a botte e bastonate, e infine lo uccisero con un colpo di pistola. Di episodi del genere - e di sangue dei partigiani bianchi ammazzati dai rossi - è impregnata la storia dell’Emilia, e sarebbe dolce ricordarsene prima di gridare facili slogan. Ora e sempre resistenza: anche quella resistenza lì?Se Avvenire colpisce, Repubblica e Stampa commuovono. La prima ci regala un accorato editoriale di Maurizio Molinari dedicato alla «necessità della memoria». L’illustre direttore insiste sulla necessità di ricordare la lotta antifascista. «Si tratta di un ricordo tanto più importante», scrive, «quanto rinnova, di generazione in generazione, il valore del libero arbitrio ovvero della scelta che ognuno di noi può fare di battersi per difendere il prossimo, lo Stato di Diritto e l’idea di una società democratica basata sull’equilibrio fra i tre poteri cari a Montesquieu: esecutivo, legislativo e giudiziario. In ultima istanza, ciò che distingue le democrazie dai dispotismi è la capacità di garantire i diritti di tutti gli abitanti, senza eccezioni, proteggendoli da ogni pericolo».Questa storia dei diritti di tutti i cittadini che vanno difesi senza eccezioni è veramente interessante. Se la memoria non ci inganna, Repubblica era proprio quel giornale che nel settembre del 2021 titolò a tutta prima «Green pass per lavorare», approvando la scelta del governo Draghi di vincolare il diritto al lavoro e agli spostamenti al possesso della tesserina verde. In quel frangente non ci risulta che i colleghi progressisti fossero poi così tanto sensibili al tema «diritti per tutti». Ma sicuramente ricordiamo male.Fortuna che arriva anche la Stampa a darci lezioni di tolleranza e rispetto del prossimo. Il quotidiano torinese ci ha regalato ieri la perla della giornata, scodellando in copertina una bella frase di Piero Calamandrei: «La libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare». Ah, quanto è vero. Sospettiamo che, in questo caso, il riferimento nemmeno troppo velato sia al governo di Giorgia Meloni, accusato di limitare le libertà, in particolare quella d’esprimersi. Tuttavia la citazione, alla luce della storia più recente, assume un tono vagamente surreale. A ben vedere, sempre nell’era Covid, sia la libertà che letteralmente l’aria (tramite le indimenticabili mascherine) ci sono state tolte. Epperò non ci sembra che all’epoca alla Stampa si siano molto indignati. Tutt’altro: approvavano le restrizioni, le repressioni e le discriminazioni. Tifavano per le reclusioni e inveivano contro i contestatori. Nulla di inedito: lo hanno fatto anche in seguito, dilettandosi a pubblicare radiose liste di putiniani e di altri reprobi.Si festeggi pure, allora. E ci si riempia la bocca di parole importanti e dense, di libertà e di diritti, di lotta e di orgoglio. Massì, evviva: godiamoci la ricorrenza. Poi, da domani, si riprenderà alla consueta maniera, celebrando cioè la libertà di eseguire gli ordini e proteggendo i diritti, ma solo quelli di chi obbedisce.
Ursula von der Leyen (Ansa)
Dopo le critiche del cancelliere tedesco, il capo della Commissione «incassa» due mozioni di sfiducia: una dai lepenisti e l’altra da Left, il gruppo del M5s. Nella maggioranza, il Pse non esclude di firmarla. Il dem Nicola Zingaretti: «Valuteremo, la linea va cambiata».
Ecco Edicola Verità, la rassegna stampa del 4 settembre con Carlo Cambi
Emmanuel Macron (Getty)
- Il ministro dell’Economia Eric Lombard archivia la sua linea del rigore: con le dimissioni del premier François Bayrou «inevitabile fare concessioni» alla gauche. Ma il presidente ora teme la manifestazione del 10 settembre.
- Oggi riunione dei «volonterosi» a Parigi. Giorgia Meloni e Friederich Merz, perplessi sull’invio di truppe, si collegheranno solo da remoto come Donald Trump. A cui Volodymyr Zelensky proporrà nuove sanzioni.