2025-09-02
Il mistero del contratto di San Siro: Tancredi era l’unico a conoscerlo
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Mentre la giunta milanese si prepara a vendere lo stadio a Milan e Inter, dalle chat emerge lo scambio di carte tra l’assessore e il dg Christian Malangone. Ma anche gli insulti ai consiglieri dem. Alessandro Giungi: «Mi han dato dello psicotico».Un dossier che da più di tre anni sta tenendo sotto scacco il Comune di Milano e il sindaco, Beppe Sala, spaccando la maggioranza di centrosinistra e alimentando paure politiche, giudiziarie e urbanistiche. È lo stadio di San Siro, finito al centro delle conversazioni depositate agli atti dell’inchiesta sull’urbanistica che ha portato alle dimissioni dell’ex assessore Giancarlo Tancredi. È una vicenda che rischia di esplodere nelle prossime due settimane, mentre la giunta si prepara a varare la delibera che avvierà la vendita dell’impianto a Milan e Inter: passaggio cruciale per l’amministrazione che già da tempo aveva intuito quanto il dossier stadio fosse destinato a complicarsi. Ma intanto la maggioranza è sempre più in frantumi, con esponenti dem che accusano la giunta di averli insultati nelle chat agli atti dell’inchiesta urbanistica. Già oggi ci sarà una riunione con il vicesindaco, Anna Scavuzzo, per capire come sarà strutturata la delibera. I misteri intorno alla stesura del provvedimento sono molti. A cominciare dal contratto con le due squadre. Nessuno lo ha visto, né in giunta né in consiglio comunale, eppure nei messaggi dell’amministrazione se ne parlava. Il contratto di compravendita di San Siro, infatti, emerge solo dalle chat dell’inchiesta, inviato dal dg Christian Malangone all’assessore Giancarlo Tancredi il 12 marzo 2025. L’offerta prevede la cessione del Meazza, aree circostanti e diritti edificatori per 197 milioni euro, una cifra da ridurre dei costi di bonifica e demolizione stimati attorno agli 80 milioni. Il pagamento è in tre tranche: 73 milioni alla firma, una seconda rata sui diritti edificatori (1.261 €/mq) e il saldo al netto delle spese sostenute. Condizione sospensiva: via libera al documento di fattibilità e alla dichiarazione di pubblico interesse entro il 30 giugno 2025. Condizione risolutiva: se i lavori del nuovo stadio non partono entro il 28 febbraio 2027, l’area torna al Comune con restituzione delle somme già versate.Che San Siro fosse la spina nel fianco della giunta lo si era capito già a fine 2021. Tancredi avvertiva il direttore generale, Christian Malangone, sul fatto che la parola d’ordine fosse «prudenza»: «De Cesaris (Ada Lucia, ndr) mi manda un messaggio in cui suggerisce di seguire il dibattito nazionale e non inventarci nulla di nuovo… io la interpreterei come la necessità di prendere tempo». In quel momento l’Inter è alla ricerca di un nuovo socio, i rapporti con il Milan sono complicati. Per non perdere il filo, l’assessore mette in campo «la lettera di Collarini (Simona, dirigente, ndr) alle squadre» per avviare formalmente l’iter.Nei mesi successivi il tono delle chat si fa più esplicito. A febbraio 2022 Tancredi annota: «E pensare che se cambiassero procedura (Pgt) eviterebbero il dibattito pubblico nazionale, e gestiremmo tutto con un confronto soft». Malangone sbotta: «Dei cogli...».L’autunno segna il passaggio politico: il capogruppo dem, Filippo Barberis, valuta un ordine del giorno per «blindare la maggioranza» e non lasciare l’iniziativa ai consiglieri più critici. A dicembre, il cambio di schema: «Lo stadio alla Maura è una strada in salita. Se vogliamo portarlo a casa dobbiamo inserire anche l’area del Meazza e chiedere un’alleanza alle squadre per farsi carico del futuro del Meazza». Una linea che - annota - trova sponda nell’architetto Stefano Boeri.Dal 27 settembre 2022, a 24 ore dal via del «dibattito pubblico» gestito dal prof. Andrea Pillon, emerge la gestione degli «interlocutori critici». Il consigliere Pd Alessandro Giungi, scettico sul progetto, viene bollato come «il solito psicotico»; a Carlo Monguzzi (Verdi), che vuole parlare in aula delle inchieste urbanistiche, «non va lasciata la scena».Marzo 2023. Ecco lo sfogo di Tancredi: «Ma perché non si convincono a ristrutturare San Siro, e vaffanc...!!!». È la linea preferita da una parte del Pd: mantenere il Meazza, ridurre i rischi, evitare spaccature.Ma a maggio arriva l’ostacolo decisivo: la Soprintendenza. Dopo un colloquio con la soprintendente, Antonella Ranaldi (poi subentra Emanuela Carpani), Tancredi scrive: «Difficile non dare interesse culturale al secondo anello». Poche settimane dopo: «La Carpani mi dice che un’eventuale demolizione deve essere solo in parte… non si tratta certo di salvare solo le vestigia. La pronuncia formale esce tra qualche giorno». Alla dirigente Collarini spiega: «Mettono vincolo semplice. Non si può demolire se non in minima parte». E, sul piano istituzionale, ipotizza lo scenario estremo: «In caso di due interessi pubblici contrapposti, la presidenza del Consiglio avoca a sé e decide». Chiusura amara: «Il problema sono i tempi».Il 20 maggio 2024, di fronte all’opposizione di Enrico Fedrighini (gruppo Misto) sulla pista Maura dell’ippodromo, vincolata, Tancredi chiede a Malangone: «Vorrebbero uscire pubblicamente… che dici?». Risposta del dg: «Non lascerei nulla a lui visto come ci tratta. Anticipatelo».Ieri intanto è arrivata la controreplica di Alessandro Giungi, consigliere comunale pd e presidente della commissione Olimpiadi e Paralimpiadi Milano Cortina 2026. Cita gli insulti rivolti alla sua persona e rivendica il proprio ruolo di controllo: «Si è voluto far passare il mio diritto di indirizzo e controllo sugli atti della giunta come un problema caratteriale o addirittura psichiatrico, tuttavia non sarà certo questo a fermarmi. Anzi, la mia azione sarà ancora più incisiva, a partire dalla delibera su San Siro».
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)