2024-01-28
Stupri, massacri, corruzione da Srebrenica ad Haiti. La galleria dell’orrore Onu
Le Nazioni Unite sono un carrozzone dai costi abnormi, nel migliore dei casi inutile. Gli scandali non si contano, ma volevano mandare i caschi blu a monitorare Salvini.Raramente riesce a evitare una guerra. Anzi. In compenso, nella sua lunga e controversa storia, l’Onu ha brillato per giganteschi scandali. I 12 dipendenti dell’agenzia per i rifugiati palestinesi, accusati di aver fiancheggiato il raid di Hamas dello scorso 7 ottobre, sono solo l’ultimo e tragico esempio. L’impero del bene è fradicio di vergogna. Ancora una volta. Migliaia di dipendenti e collaboratori delle Nazioni Unite, negli ultimi decenni, si sono macchiati dei peggiori crimini. A partire proprio dall’Unrwa, dove lavora quella sporca dozzina che rischia di terremotare per sempre la già labile reputazione dell’Onu e delle sue agenzie. Già nel 2018, Donald Trump, allora presidente degli Stati Uniti, decide di ridurre i fondi americani destinati all’organizzazione. E tra le motivazioni, c’è pure il sospetto di ammiccare ai terroristi palestinesi.Malafede a parte, ci sono le critiche di fumosità. O gli sperperi reiterati. La dubbia utilità di questo baraccone planetario. Niente di nuovo, purtroppo. Come lo scandalo sessuale che travolge qualche tempo fa proprio l’Unrwa: con l’ex commissario generale, Pierre Krähenbühl, tacciato di «cattiva condotta sessuale». Ma pure di frode, corruzione e allegra gestione dei fondi. Accuse ignominiose. Che lo costringono alle dimissioni. Dopo una discussa indagine interna, Krähenbühl viene riabilitato. Tanto da conquistare, lo scorso dicembre, la direzione generale della Croce Rossa. Stupri, abusi, sfruttamento, prostituzione, molestie sessuali, corruzione, frodi. Il più mastodontico impero del bene planetario è un ricettacolo di vergogne. Con direttori e vicedirettori rimossi da questa selva di agenzie dai nomi astrusi. A partire dall’Unhcr. Ecco, prendiamo proprio l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. Persino sul sito si legge: «Anche noi abbiamo assistito a casi in cui colleghi o collaboratori hanno utilizzato una posizione di potere per approfittarsi di altri. Queste azioni arrecano danni intollerabili alle vittime e alle loro famiglie, vanno contro i valori fondanti dell’Unhcr e minano il lavoro e la credibilità della nostra organizzazione». Segue la creazione di un’apposita task force per tentare di prevenire le turpitudini. Quanto ai numeri, l’ultimo aggiornamento dell’agenzia è datato, ma emblematico. Solo nei primi nove mesi del 2018, ci sono state 78 denunce per sfruttamento sessuale e abusi. Da sommare ad altre 22, per molestie. In nemmeno un anno. In una sola agenzia dell’Onu. Agghiaccianti statistiche a parte, gli episodi sono innumerevoli. A partire dagli stupri nella missione ad Haiti, iniziata nel 2004 dopo la fuga in esilio dell’allora presidente, Bertrand Aristide. I caschi blu sono accusati di aver abusato di centinaia di minorenni, in cambio di qualche elemosina. Nel 2017, Associated press racconta il calvario. Come quello della ragazzina costretta per tre anni, fin da quando ne aveva dodici, a far sesso con cinquanta peacekeeper. Compreso un comandante, che la paga meno di un dollaro. Da queste violenze sarebbero nati centinaia di bambini. La Repubblica Centrafricana, poi. La Minusca, arrivata come contingente di pace nel 2014 mentre infuriava il conflitto tra fazioni ribelli, è accusata da anni di abusi sessuali e violenze nei confronti della popolazione. E pure in Congo, una delle più possenti e disastrose missioni dell’Onu, i caschi blu sono pizzicati ripetutamente per violenze sessuali e contrabbando di oro. Così come in Somalia. O in Sri Lanka. Spesso e volentieri i colpevoli degli abusi rimangono impuniti. Nonostante il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, abbia promesso in passato di «mettere in ordine».«Sex for food»: sesso in cambio di cibo. È il motto osceno coniato per sintetizzare il mercimonio imposto dai portatori di pace predoni. Diverso invece l’oggetto dell’assonante scandalo, «Oil for food»: petrolio iracheno al posto di cibo e medicine. Sono i tempi di Saddam Hussein e delle sanzioni dell’Onu. Un meccanismo diventato una gigantesca mangiatoia, grazie alla collusione di pezzi grossi del Palazzo di Vetro, l’indimenticabile e pletorica sede newyorkese dell’organizzazione. Secondo uno studio americano, la grande truffa ha generato 10,1 miliardi di mazzette, distribuite in tutto il mondo. Insomma, l’operazione doveva sfamare la popolazione irachena. Invece serve, alla fine, per arricchire burocrati e politici. Un scandalo internazionale diventato anche un film con Ben Kingsley, nei panni del grande corruttore.Sapete come Oriana Fallaci, indimenticata scrittrice, definiva l’Onu? «Una banda di mangia-a-ufo, una mafia di imbroglioni che ci menano per il naso». Ecco, appunto. Decine di migliaia di burocrati. Dipendenti pagati a peso d’oro. Costi del personale che rappresentano più dei due terzi delle uscite. Poi le strombazzate missioni, pleuriche e inutili. Se non ammantate di vergogna. Come il massacro di Srebrenica, nella ex Jugoslavia, di cui caschi blu furono complici. Su tutto, una politicizzazione strisciante. Che diventa spesso manifesta. Vedi l’ingloriosa dozzina scoperta adesso a trafficare con i tagliagole palestinesi. Pericolosa commistione d’intenti su cui, tragicamente, nel Palazzo di Vetro si chiudono gli occhi da sempre. Salvo poi, magari, annunciare di voler inviare solerti osservatori in Italia, per scoprire se i migranti vengono trattati in modo inumano. Come escogita, ai tempi del governo gialloverde, Michelle Bachelet, già alla guida dell’Alto commissariato per i diritti umani e adesso il lizza per diventare segretario generale dell’Onu al posto di Guterres. Ovviamente, l’attacco riguarda il tipaccio che, in quel momento, siede al Viminale: il segretario leghista, Matteo Salvini, ora vicepremier. Già, Bachelet allora minaccia di mandare i caschi blu. Per controllare come, dalle nostre parti, si comportano con i profughi. Mentre, magari, altre sporche dozzine trafficano indisturbate con i terroristi. Sempre in nome dell’inaffondabile impero del bene.
Jeffrey Epstein (Getty Images)
Nel riquadro, Giancarlo Tulliani in una foto d'archivio
A Fontanellato il gruppo Casalasco inaugura l’Innovation Center, polo dedicato a ricerca e sostenibilità nella filiera del pomodoro. Presenti il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini e il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta. L’hub sarà alimentato da un futuro parco agri-voltaico sviluppato con l’Università Cattolica.
Casalasco, gruppo leader nella filiera integrata del pomodoro, ha inaugurato oggi a Fontanellato il nuovo Innovation Center, un polo dedicato alla ricerca e allo sviluppo nel settore agroalimentare. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la competitività del Made in Italy e promuovere un modello di crescita basato su innovazione, sostenibilità e radicamento nel territorio.
All'evento hanno partecipato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini, il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta e il management del gruppo. Una presenza istituzionale che sottolinea il valore strategico del progetto.
Urso ha definito il nuovo centro «un passaggio fondamentale» e un esempio di collaborazione tra imprese, ricerca e istituzioni. Per Marco Sartori, presidente di Casalasco Spa e del Consorzio Casalasco del Pomodoro, l’hub «non è un punto d’arrivo ma un nuovo inizio», pensato per ospitare idee, sperimentazioni e collaborazioni capaci di rafforzare la filiera.
L’amministratore delegato Costantino Vaia parla di «motore strategico» per il gruppo: uno spazio dove tradizione e ricerca interagiscono per sviluppare nuovi prodotti, migliorare i processi e ridurre l’impatto ambientale. Tamagnini, alla guida di FSI – investitore del gruppo – ricorda che il progetto si inserisce in un percorso di raddoppio dimensionale e punta su prodotti italiani «di qualità valorizzabili all’estero» e su una filiera sostenibile del pomodoro e del basilico.
Progettato dallo studio Gazza Massera Architetti, il nuovo edificio richiama le cascine padane e combina materiali tradizionali e tecnologie moderne. I mille metri quadrati interni ospitano un laboratorio con cucina sperimentale, sala degustazione, auditorium e spazi di lavoro concepiti per favorire collaborazione e benessere. L’architetto Daniela Gazza lo definisce «un’architettura generativa» in linea con i criteri di riuso e Near Zero Energy Building.
Tra gli elementi distintivi anche l’Archivio Sensoriale, uno spazio immersivo dedicato alla storia e ai valori dell’azienda, curato da Studio Vesperini Della Noce Designers e da Moma Comunicazione. L’arte entra nel progetto con il grande murale di Marianna Tomaselli, che racconta visivamente l’identità del gruppo ed è accompagnato da un’esperienza multimediale.
All’esterno, il centro è inserito in un parco ispirato all’hortus conclusus, con orti di piante autoctone, una serra e aree pensate per la socialità e il benessere, a simboleggiare la strategia di sostenibilità del gruppo.
Casalasco guarda già ai prossimi sviluppi: accanto all’edificio sorgerà un parco agri-voltaico realizzato con l’Università Cattolica di Piacenza, che unirà coltivazioni e produzione di energia rinnovabile. L’impianto alimenterà lo stesso Innovation Center, chiudendo un ciclo virtuoso tra agricoltura e innovazione tecnologica.
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