2023-01-20
Spunta il terzo covo del capo dei capi. Lui diserta il processo per le stragi
Slitta la prima chemio in carcere per Matteo Messina Denaro. L’autista, che girava con un coltello, giura: «Non l’avevo riconosciuto». Le toghe: «Speriamo che il boss collabori». Sequestrata la casa della mamma del prestanome.La saletta per la videoconferenza era già pronta. Ma quando dall’aula bunker di Caltanissetta hanno fatto l’appello, il cancelliere del carcere di massima sicurezza dell’Aquila ha spiegato che l’imputato Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti delle stragi del 1992 e, per questo, condannato in primo grado all’ergastolo, «ha rinunciato a presenziare». L’ex Primula rossa, oggi definito dalla Procura antimafia di Palermo come «il custode di verità inerenti le pagine più cupe della storia repubblicana», per scelte difensive ma anche mediche (ha dovuto rinviare la prima seduta di chemioterapia) lascia vuota la sedia sulla quale era puntata la telecamera e tutti col fiato sospeso fino alla prossima udienza. Con il procuratore generale facente funzione Antonino Patti che spera di ottenere da Messina Denaro «un contributo in grado di squarciare veli sulla stagione stragista». Sulle coperture che gli hanno permesso 30 anni di latitanza e sui complici con i quali sarebbe riuscito a fare affari dal suo ultimo quartier generale di Campobello di Mazara, invece, gli inquirenti di Palermo stanno stringendo il cerchio. Dopo il covo in cui Messina Denaro si nascondeva, scoperto dai carabinieri del Ros, in via Cb 31 di Campobello, e dopo il bunker dalla particolare planimetria, al quale si poteva accedere tramite una finta parete nascosta da un armadio, individuato dagli investigatori del Gico della Guardia di finanza in via Maggiore Toselli, ieri, per la terza base logistica del capobastone, è entrato in azione lo Sco della polizia di Stato. E si è subito scoperto che quella di via San Giovanni 260, a 300 metri dall’abitazione comprata da Messina Denaro tramite il suo alias Andrea Bonafede, il geometra indagato a piede libero per associazione mafiosa e favoreggiamento che gli ha prestato la carta d’identità per consentirgli le cure, è la precedente casa scelta dal boss per la sua latitanza. L’alloggio è vuoto e risulta in vendita. Gli investigatori hanno controllato, oltre all’abitazione, anche tre garage. Il proprietario vive in Svizzera e ad aprire i locali è stato un suo familiare. Sarebbero stati i facchini che hanno eseguito il trasloco verso via Cb 31 agli inizi di giugno a indicare alla polizia l’indirizzo dell’edificio. E se dall’appartamento di ieri gli investigatori sono usciti a mani vuote, comincia a filtrare il contenuto delle scatole recuperate nel bunker: appunti e qualche documento da interpretare, oltre a monili e pietre apparentemente preziose, ma anche a pezzi di argenteria. Vanno a sommarsi all’agenda con appunti, nomi, numeri di telefono e spese di viaggio (considerato un «libro mastro»), al Viagra, ai preservativi, agli occhiali da sole e ad alcune fotografie trovati nell’appartamento di via Cb 31. Cresce anche il numero dei fiancheggiatori individuati. Insieme a Bonafede è finito nei guai Giovanni Luppino, il broker di olio d’oliva che faceva da autista al super boss. Al momento dell’arresto (che ieri è stato convalidato) aveva con sé un coltellaccio a serramanico con lama da 18,5 centimetri. E ieri, durante l’interrogatorio di garanzia, quando il gip Fabio Pilato gli ha chiesto come mai girasse armato, Luppino ha risposto candidamente: «Lo porto sempre con me. Anche per andare all’ospedale». Negli archivi dei carabinieri Luppino veniva definito «di buona condotta in genere, essendo immune da pregiudizi di polizia agli atti d’ufficio». Un insospettabile, insomma, che «in pubblico» godeva «di normale stima e reputazione». Ora, invece, secondo la Procura, «ha certamente contribuito, in senso materiale e causale, alla prosecuzione della latitanza di Messina Denaro. Facendogli da autista e accompagnatore personale, infatti, ha certamente garantito a questi possibilità di spostamento in via riservata senza necessità di dovere ricorrere a mezzi di locomozione direttamente condotti dallo stesso latitante o mezzi di locomozione pubblici o privati che potessero in qualche modo esporlo alla cattura». Nella rete degli investigatori sono poi rimasti impigliati due medici, l’oncologo Filippo Zerilli e il medico di base in pensione Alfonso Tumbarello, il cui nome è stato congelato dall’elenco degli iscritti alla loggia «Valle di Cusa» del Grande Oriente d’Italia. D’altra parte, ha spiegato il capo della Procura di Palermo Maurizio De Lucia, «il Trapanese è da sempre permeato di rapporti fra mafia e pezzi di ambienti che io chiamo genericamente della borghesia mafiosa. Ma lo faccio per non dare specificazione a elementi che invece riguardano particolari settori, dall’imprenditoria al mondo della sanità». Ed è a questo punto che il magistrato introduce un altro tema: «Certamente va considerato che la provincia di Trapani è la seconda in Sicilia, dopo quella di Messina, per presenza di logge massoniche. Tutti questi elementi ci inducono a spingere i nostri accertamenti e le nostre verifiche fra il materiale che abbiamo e la rilettura di quello che avevamo».
Jose Mourinho (Getty Images)