I Btp sono andati sotto pressione, come quelli di tutti i Paesi avanzati, dopo le parole della Fed sui tassi. Nel complesso, però, hanno tenuto. Così chi aveva scommesso al ribasso ha tutto l’interesse a diffondere previsioni negative, sperando si auto avverino.
I Btp sono andati sotto pressione, come quelli di tutti i Paesi avanzati, dopo le parole della Fed sui tassi. Nel complesso, però, hanno tenuto. Così chi aveva scommesso al ribasso ha tutto l’interesse a diffondere previsioni negative, sperando si auto avverino.È appena cominciata un’altra settimana di grande tensione sui mercati finanziari. Tensione ripartita mercoledì 20 settembre, quando il presidente della Banca centrale Usa (Fed) Jerome Powell ha lanciato chiare indicazioni sulla prospettiva di tassi più alti per un periodo più lungo del previsto. Una mossa che ha preso in contropiede i mercati, che invece prevalentemente puntavano sul termine del ciclo di undici rialzi e ragionavano già su riduzioni nel 2024. È così partita la corsa a vendere i titoli di Stato Usa con il rialzo dei rendimenti e la inevitabile trasmissione su tutti gli altri titoli delle economie più avanzate.Da allora, il rendimento del nostro Btp decennale è rimasto strenuamente aggrappato intorno a 4,80%/4,90%, dopo una rapida puntata verso il 5% mercoledì scorso, con il divario rispetto all’analogo titolo tedesco attestatosi ieri a 207 punti (2,07%). Quest’ultimo incremento attribuibile al calo del rendimento del Bund tedesco, tradizionale bene rifugio (col bond Usa) quando soffiano venti di guerra, che l’azione terroristica di Hamas contro Israele ha reso molto probabile.Un fenomeno di portata internazionale e di eccezionale intensità è stato subito colto per fare partire la solita grancassa sui timori legati al debito pubblico italiano. In sincrono si è mossa la solita compagnia di giro composta da Economist, Bloomberg, Financial Times, tutti pronti a fare le pulci alla sostenibilità del debito italiano in questo rinnovato scenario che mette sotto pressione i titoli di Stato. Da ultimo, domenica sul Financial Times, Ignazio Visco ha suggerito a Giorgia Meloni di «fare attenzione ai timori degli investitori». Timori che però lui potrebbe far svanire in un attimo, comprando titoli.Sul fronte italiano abbiamo dovuto leggere improbabili inviti al governo Meloni a «cambiare al ribasso gli obiettivi della Nadef», sotto la pressione dello spread. Accompagnati da improponibili confronti tra rendimenti di Paesi i cui titoli pubblici a malapena fanno prezzo, come la Grecia, detenuti per l’80% da enti sovranazionali, con un debito pubblico pari ad un decimo di quello italiano. Oppure il Portogallo, con uno stock di debito addirittura inferiore anche a quello greco.Il ventaglio di spiegazioni à la carte, con disprezzo del ridicolo, si è spinto anche a indicare tra le cause dei timori sul debito italiano il dato negativo sul Pil del secondo trimestre uscito il 31 luglio e l’annuncio della tassa sugli extraprofitti delle banche annunciata il 7 agosto. Peccato che, ancora il 31 agosto, il rendimento del Btp decennale veleggiasse tranquillo intorno al 4,10% e lo spread fosse incollato a 165. Forse gli investitori ad agosto erano tutti in spiaggia o in montagna?Nessuna di queste fantomatiche interpretazioni presta attenzione ad un fatto certificato dai dati. A partire dalla primavera 2022, quando negli Usa partì (in colpevole ritardo) il ciclo di rialzo dei tassi, a cui si accodò a luglio la Bce, il rendimento del Btp salì subito fino a raggiungere il 4,80% già ad ottobre (quando a fine marzo era ancora intorno al 2%) con 250 punti di spread (dai 150 di fine marzo). Non dimentichiamo che in quei mesi il governo era guidato da Mario Draghi. Il «credibile» per definizione, che ciononostante assistette impotente all’aumento di 100 punti di spread in 6 mesi. E, per non farsi mancare nulla, tra il 2021 e il 2022 non fece ricorso a massicce emissioni di titoli con lunga durata a rendimenti bassissimi, peraltro acquistati dalla Bce, come denunciammo tempestivamente su questo giornale. Mentre Francia e Spagna mettevano fieno in cascina.In tutti i cicli di rialzi che si sono succeduti da allora, il Btp è andato sotto pressione ma chi ha scommesso pesantemente al ribasso puntando sulla rottura della soglia di rendimento tra 4,60% e 4,90% è tornato a casa sempre con pesanti perdite. Infatti il Btp – beneficiando della ricorrente prospettiva del termine del ciclo di rialzi – è tornato più volte a poggiarsi sul pavimento del 4%.Per comprendere che l’ultimo punto di svolta sia stato quello partito da oltreoceano il 20 settembre, basta osservare ciò che è accaduto nell’ultimo mese ai rendimenti di tutti i titoli governativi che hanno un mercato significativo, uno scossone di eccezionale magnitudo.Parliamo dei titoli di Stato Usa, cioè lo strumento finanziario più scambiato al mondo, la cui scadenza decennale 6 mesi fa oscillava intorno al 3,40%, e che, dopo aver sfiorato il 4,9%, solo ieri è riuscito a tornare al 4,67%, oscillando quasi come una criptovaluta. Allo stesso modo il Bund tedesco (salito di 31 punti dal 2,47% del 31 agosto al 2,78% di ieri) e il decennale francese (salito di 41 punti dal 2,96% del 31 agosto al 3,37% di ieri). In questa bufera internazionale, il nostro Btp nello stesso periodo ha lasciato sul terreno 73 punti di rendimento (dal 4,12% al 4,85% di ieri). Si spiega così lo spread col Bund salito di 42 punti da 165 a 207.Ma perché il Btp è andato sotto (relativa) pressione? Non perché esistano fantomatici complotti, ma per la presenza di fattori di fragilità strutturale e di rischio del nostro debito, purtroppo utilizzati strumentalmente per costruire posizioni ribassiste, magari dimenticando che noi possiamo finanziarci il nostro debito pubblico con l’avanzo dei conti con l’estero, ma i francesi no. Non è «speculazione», è il mercato che, nelle ondate di rialzi dei tassi e quindi di calo dei prezzi, utilizzando strumenti finanziari derivati (il Btp futures), ha cercato legittimi guadagni puntando al ribasso, senza necessità di lavorare sul singolo titolo. E non è andato certo a farlo sugli inconsistenti titoli greci o portoghesi, infatti parliamo di uno strumento eccezionalmente liquido (i volumi sul Btp futures osservati quotidianamente negli ultimi giorni sono quasi raddoppiati). E, quando il gioco non gli riesce, corrono a lamentarsi sulle pagine di Bloomberg o del Financial Times, rincarando la dose sui difetti atavici dell’Italia e spacciando aspettative per previsioni. Sperando che al prossimo giro diventino profezie autoavveranti e quel gioco finalmente riesca.Certo, il derivato è come un coltello. Normalmente serve per tagliare, ma poi ci si può pure ferire e quindi, per questo, non porta alcuna colpa. Ma c’è un fattore che rende quel coltello capace di ferire, ed è l’assenza della Bce. Perché nessun investitore azzarderebbe posizioni ribassiste se sapesse che la Bce è, anche solo a parole, compratore senza limiti. Invece da luglio scorso la Bce è venditrice netta di titoli italiani (16 miliardi negli ultimi 3 mesi), perché non reinveste i proventi dei titoli in portafoglio che progressivamente giungono a scadenza. In più, sui mercati ci sono dubbi sul fatto che il programma Tpi annunciato a giugno 2022 dall’Eurotower, per comprare titoli di Stato di Paesi sottoposti a pressioni ribassiste non giustificate dai fondamentali economici, possa applicarsi a Paesi come l’Italia il cui deficit/Pil supera il 3%.Pur con tutte queste vulnerabilità, nel bel mezzo di una bufera epocale sul mercato dei bond governativi, ci siamo difesi con le nostre forze e la tenuta del Btp si è finora dimostrata notevole. Ma se dagli Usa arrivassero ulteriori pressioni rialziste sui tassi – un vero «Volcker moment» ricordando gli aumenti dei primi anni Ottanta – sarà la Bce a dover mettere i sacchetti di sabbia intorno alle finestre, cominciando da Parigi.
Leone XIV (Ansa)
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