2022-08-08
La sponda tra Erdogan e Putin si consolida
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Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
Nel corso del recente incontro a Sochi, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan hanno significativamente rafforzato le loro relazioni. I due leader hanno dichiarato di voler fortificare i rapporti bilaterali «sulla base del rispetto reciproco», evidenziando inoltre la necessità «della piena attuazione dell'accordo di Istanbul, compresa l'esportazione senza ostacoli di grano, fertilizzanti e materie prime russe per la loro produzione». Il riferimento era ovviamente agli accordi, siglati a fine luglio da Ucraina e Russia, per sbloccare il grano stoccato nei porti ucraini e scongiurare così il rischio di una devastante crisi alimentare. Erdogan ha inoltre dichiarato di aver discusso con Putin le misure da adottare contro le organizzazioni terroristiche in Siria. «Abbiamo concordato la decisione di dare la risposta necessaria alla nostra lotta contro queste mandrie di assassini che hanno attaccato i nostri soldati, polizia, forze di sicurezza e cittadini civili», ha detto il presidente turco. I due leader hanno inoltre sottolineato di voler irrobustire la cooperazione economica tra Mosca e Ankara, puntando ad aumentare il volume del commercio bilaterale a 100 miliardi di dollari. Il sultano ha poi confermato un accordo per pagare il gas russo in rubli ed è infine tornato a proporre di organizzare un incontro in Turchia tra Putin e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Non stupisce questa convergenza tra il sultano e lo zar. Non solo perché, a partire dal 2017, i due leader si sono progressivamente avvicinati nel settore della difesa e in quello dell’energia. Ma anche perché Ankara e Mosca sembra che stiano man mano trovando delle forme di collaborazione anche sui dossieri in cui le due capitali nutrono interessi divergenti. Prendiamo la Libia (di cui si è non a caso parlato durante il vertice di Sochi). Qui è stato recentemente stretto un inedito accordo tra il premier di Tripoli, Abdel Hamid Dbeibah, e il generale Khalifa Haftar: il primo è notoriamente vicino a Erdogan, mentre il secondo è storicamente spalleggiato da Putin. Non si può quindi escludere che il Paese nordafricano si stia avviando verso una spartizione definitiva tra Russia e Turchia. Senza poi dimenticare che entrambe le potenze stanno gradualmente aumentando la propria influenza su ampie parti del Sahel (a cominciare dal Mali). Anche sulla Siria, lo abbiamo visto, si stanno smussando gli angoli. Certo: Putin, che sostiene il governo di Bashar al Assad, non gradisce troppo i piani di una nuova incursione militare, espressi dal sultano. Lo zar sa tuttavia bene di non potersi alienare le simpatie di Ankara in un momento delicato come questo ed è dunque costretto a fare buon viso a cattivo gioco. In tutto ciò la questione del pagamento in rubli del petrolio russo è un chiaro assist del leader turco al capo del Cremlino. Un elemento che, tra l’altro, accresce l’ambiguità di Ankara all’interno dell’Alleanza atlantica: un’Ankara che, ricordiamolo, aveva posto strumentalmente il veto sull’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. Questi fattori dovrebbero spingere il presidente americano, Joe Biden, a riconsiderare l’arrendevolezza con cui ha trattato Erdogan a partire (almeno) dal summit Nato di Madrid. Questa sempre più profonda convergenza tra Putin e il leader turco rischia infatti di rivelarsi dannosa per la gestione del fianco meridionale dell’Alleanza atlantica: un fianco dall’elevata strategicità e di cui ci si interessa ancora troppo poco. Le ramificazioni russo-turche in Libia, nel Sahel e nei Balcani costituiscono un problema. E’ urgente che la Casa Bianca se ne renda conto quanto prima.